SETTIMANA DEL CERVELLO 2019: CHE GENERE E CHE GENDER DI CERVELLO?

In collaborazione con PSICHELOGIANon dovrebbe essere solo una l’anno, la settimana del cervello. Dovrebbero essere 366 giorni, almeno. Ma intanto un passo. Al via dall’11 marzo la Settimana Mondiale del Cervello alla sua quarta edizione, appoggiata dall’Enpap, l’Ente di previdenza e assistenza degli psicologi: 834 eventi in 800 città e oltre mille professionisti psicologi, psicoterapeuti, neuropsicologi, biologi, neuroscienziati, medici, logopedisti, insegnanti, tutti con l’obiettivo di diffondere i benefici e i progressi delle scoperte neuroscientifiche e di “animare il cervello”. La “Brain Awareness Week” nella versione italiana è coordinata dalle psicologhe Donatella Ruggeried Elisabetta Grippa.

GUARDA TUTTI GLI INTERVENTI

Per il presidente dell’Enpap Felice Torricelli, un dato vale la pena sottolineare: “Abbiamo sempre più strumenti che ci consentono di intervenire in maniera efficace per aiutare le persone a vivere una vita di migliore qualità: collaborare in maniera costruttiva e creativa tra professioni diverse mettendo insieme punti di vista diversi sul cervello, che non è soltanto il substrato fisiologico su cui costruiamo la nostra attività fisica, ma è anche un elemento di studio su cui convergono attenzioni da parte di discipline professioni molto varie, a disposizione di tutti per dare più possibilità a una vita piena e più dignitosa”.

Felice Torricelli, presidente dell’ENPAP

Federico Zanon, vicepresidente ENPAP

Molta attenzione è data al genere, nelle sue varie declinazioni: orientamento sessuale, coppie di fatto, discriminazioni, rapporti donna-ricerca. Federico Zanon, vicepresidente dell’ente di previdenza, spiega:

“La ricerca scientifica sulla psicologia delle differenze di genere sta aiutando a fare luce sulle reali caratteristiche che differenziano uomini e donne, differenze che sono molto lontane dagli stereotipi popolari su cui si fondano le gravi discriminazioni di cui la nostra società purtroppo è ancora intrisa. Queste discriminazioni, purtroppo, hanno effetti tangibili e molto concreti: dal gender pay gap alle difficoltà che le donne incontrano nel mondo del lavoro. Contiamo che la psicologia e i suoi risultati scientifici possono giocare un ruolo determinante nei prossimi anni per un’evoluzione sul piano dell’eguaglianza e dei diritti civili, e contro ogni forma di discriminazione basata sul genere e sull’orientamento sessuale”.

Istituita nel 1996 dalla Dana Alliance for Brain Initiatives, in corso ogni anno a marzo, la campagna italiana “La Settimana del Cervello” è organizzata e coordinata da Hafricah.net, portale di divulgazione neuroscientifica partner della Dana Foundation e creato da Donatella Ruggeri, psicologa e coordinatrice dell’evento.

Le psicologhe Elisabetta Grippa e Donatella Ruggeri

Dal 2007 Hafricah.net funge da anello di congiunzione tra il mondo accademico e il pubblico interessato all’argomento. Di anno in anno, sono cresciuti i consensi e le iniziative offerte ai cultori della materia e ai cittadini. Rispetto all’edizione precedente, quella del 2019 interessa tutte le Regioni (erano 19 nel 2018), gli eventi e i momenti di incontro sono 234 in più, e i professionisti impegnati sono passati da 600 a 1.139.

In questa edizione, come sottolinea la psicoterapeuta Elisabetta Grippa, è stato introdotto anche il Progetto Scuola, curato da Giorgia Marziani e Nicoletta Agostinelli e dall’Associazione Calliope. Il progetto ha vinto un prestigioso premio di riconoscimento da parte della Federation of European Neuroscience Societies (FENS), volto a dare a bambini ed adolescenti, attraverso un opportuno linguaggio, nuove conoscenze scientifiche, e inserendole in un apposito eBook di teorie e attività da svolgere in classe. Oltre ad offrire momenti dedicati alla conoscenza, nelle scuole potranno essere effettuati screening sulle abilità dell’apprendimento, per l’identificazione precoce dei DSA (disturbi specifici dell’apprendimento).

Da destra a sinistra: Federico Zanon, vicepresidente ENPAP, psicologo; Felice Damiano Torricelli, presidente ENPAP, psicologo; Antonella De Minico, moderatrice; Donatella Ruggeri, psicologa e UX designer, coordinatrice nazionale Settimana del Cervello; Elisabetta Grippa, psicologa, coordinatrice nazionale della Settimana del Cervello

“La figura dello psicologo è vicina ai bisogni delle persone, diffonde conoscenza–specifica Grippa–. Cominciare a compiere quest’opera già a partire dalla giovane età aiuta ad avere consapevolezza nelle scelte quotidiane, ad attuare decision making, a riconoscere le notizie vere da quelle false mettendole in discussione aldilà di pregiudizi e stereotipi. Perché la conoscenza rende liberi, più riflessivi e più inclini al pensiero critico”. Aumentano anche le possibilità di effettuare screening cognitivi per gli adulti, promossi con un protocollo uguale in tutta Italia e coordinati dalla Scuola di specializzazione in Neuropsicologia del Dipartimento di Psicologia dell’Università La Sapienza di Roma, che ha dato all’evento il patrocinio istituzionale.

Michela Balconi, coordinatrice del progetto dell’Unità di ricerca in Neuroscienze sociali e delle emozioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

È inoltre introdotto il paradigma dell’hyperscanning: cosa accade nel nostro cervello e in quello dell’interlocutore quando iniziamo a interagire durante una conversazione e in che modo ci si sintonizza? Non più l’attenzione ad un cervello, bensì a due, in interazione, in una neuroscienza “a due persone”. Tema che trova applicazione utile in diversi settori, sociale, aziendale, clinico e riabilitativo, a cui risponde la professoressa Michela Balconi, coordinatrice del progetto dell’Unità di ricerca in Neuroscienze sociali e delle emozioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

“Divulgare, diffondere, oggi, vuole anche dire utilizzare i social network“, sottolinea la RuggeriL’edizione 2019 della Settimana del Cervello è anche online e sui social. In rete sono state lanciate due campagne: #chegeneredicervello e #ricerchepazze. La prima indaga sulle innegabili differenze tra cervello femminile e maschile, sottolineando come queste differenze siano un punto di forza e non un motivo per continuare ad alimentare gli stereotipi di genere; la seconda si propone di intrattenere il pubblico raccontando alcuni tra gli studi neuroscientifici più stravaganti.

Iscrivendosi alla newsletter del sito www.settimanadelcervello.it si può ricevere l’eBook “Share some Lobe”, ricco di informazioni scientifiche sul personaggio Mr. Brain (link diretto per iscrizione alla newsletter: http://bit.ly/2GYMOtf).

La settimana terminerà, ma l’auspicio è che il cervello non faccia la stessa fine. (ROMINA CIUFFA)

#gallery-1 { margin: auto; } #gallery-1 .gallery-item { float: left; margin-top: 10px; text-align: center; width: 33%; } #gallery-1 img { border: 2px solid #cfcfcf; } #gallery-1 .gallery-caption { margin-left: 0; } /* see gallery_shortcode() in wp-includes/media.php */




NON BASTA INFORMARE: È LA PSICOLOGIA AD INCORAGGIARE I COMPORTAMENTI ECOLOGICI

«Una persona sana di mente non preferirà mai la vista di un cumulo di foglie morte a quella dell’albero da cui sono cadute», scriveva nel 1985 il filosofo e psicologo Edward O. Wilson, teorico della biofilia, ossia la tendenza umana verso la natura. Da quest’ultima l’uomo proviene e a quest’ultima accede attraverso comportamenti differenziali che possono proteggere l’ambiente o indebolirlo, se non deformarlo o distruggerlo.

Il rapporto uomo-natura è l’oggetto di studio degli psicologi ambientali soprattutto in ragione delle distorsioni che l’hanno viziato e che hanno condotto al deterioramento di entrambe le parti dell’equazione ecologica: la natura, che vive una situazione di estrema emergenza causata dall’errore antropocentrico, e l’uomo, la cui qualità della vita si è ridotta, in quanto strettamente collegata alla qualità dell’ambiente e, attraverso di essa, alla qualità dello sviluppo economico.

Alla base del difficile e conflittuale rapporto tra uomo e ambiente stanno il diverso modo di funzionare del «tecnosistema» umano – in particolare di quello economico – in relazione con l’ecosistema, e la tendenza delle società industrializzate ad affrontare la natura come sfida ambientale e non come dimensione entro cui adattarsi. Affrontare la crisi ecologica impone innanzitutto di scoprirne le fondamenta: infatti, la crisi ecologica si profila sostanzialmente quale crisi del rapporto fra il mondo naturale e il mondo umano, segno di un equilibrio distrutto. La delicata situazione presente sottolinea la necessità di tornare a far proprio il concetto di «limite», perché quello adottato sino ad oggi non è l’unico modo possibile di vivere, si offrono anche percorsi diversi: al centro della questione vanno ricondotti l’uomo e lo stile di vita che ha deciso di adottare.

La perdita di biodiversità è frutto di scelte indipendenti di miliardi d’individui che fanno uso di risorse e servizi ecologici: il comportamento umano deve essere guidato nel senso di uno sviluppo sostenibile che, lungi dal costituire una definitiva condizione di armonia, è piuttosto un processo di cambiamento che mette l’una di fronte all’altra le generazioni. Il punto di partenza della progressiva presa di coscienza ecologica è l’avvio del programma dell’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, le Scienze e la Cultura, denominato Mab ossia «Man and Biosphere», varato agli inizi degli anni Settanta, un osservatorio privilegiato per affrontare con mezzi e competenze adeguati i diversi problemi dell’ecosistema: nel binomio uomo-biosfera, l’uomo è proposto al centro della Terra come elemento centrale e attivo nei processi bioecologici, e il sistema ecologico è la nuova unità di analisi.

Nel 1987 il concetto di sostenibilità fu lanciato per la prima volta all’attenzione dell’opinione pubblica e degli studiosi dal rapporto Brundtland, conosciuto anche come «Our Common Future», della Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo; esso è divenuto un obiettivo dichiarato delle politiche economiche e ambientali dei vari Paesi e degli accordi internazionali aventi per oggetto materie ambientali a partire dalla Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, cui parteciparono 172 Governi, 108 capi di Stato o di Governo, 2.400 rappresentanti di organizzazioni non governative e oltre 17 mila persone.

In quell’occasione fu firmata la Convenzione sulla diversità biologica, finalizzata ad anticipare, prevenire e combattere alla fonte le cause di significativa riduzione o perdita della diversità biologica in considerazione del suo valore intrinseco e dei suoi valori ecologici, genetici, sociali, economici, scientifici, educativi, culturali, ricreativi ed estetici, oltre che a promuovere la cooperazione tra gli Stati e le organizzazioni intergovernative. Un nuovo meeting a Rio si è svolto nel 2012, il «Rio+20», e le dichiarazioni a margine sono state scoraggianti: «Questo è un momento unico in cui il mondo ha bisogno di una visione comune, di impegno e di una forte leadership. Ma il documento che abbiamo per le mani in questo senso è un fallimento», dichiarava Mary Robinson, ex presidente della Repubblica irlandese ed ex alto commissario dell’Onu per i diritti umani; Jeremy Wates, segretario generale dell’Ufficio per l’Ambiente europeo, ha definito il meeting un flop, e Fernando Cardoso, che nel 1992 era presente all’Earth Summit e dal 1995 è stato anche presidente del Brasile, affermava che «la divisione tra ambiente e sviluppo è anacronistica e non porterà alla soluzione dei problemi che stiamo creando ai nostri discendenti diretti. La soluzione è nella crescita sostenibile, non nella crescita a tutti i costi».

L’interesse verso i temi trattati dalla Psicologia ambientale ha richiesto un inquadramento della materia a livello istituzionale e accademico. In Italia non solo è stato compiuto un grande passo in ambito universitario verso il riconoscimento formale della disciplina, ma è stato anche creato, nel 2005, il Centro interuniversitario di ricerca in Psicologia ambientale (Cirpa) per la promozione e lo sviluppo della materia, un consorzio tra le università italiane e gli enti di ricerca, nel quale risultano fino al momento più consolidati gli interessi della ricerca psicologica in questo senso. Sotto la direzione di Mirilia Bonnes e la vicedirezione di Marino Bonaiuto, provenienti dall’Università Sapienza di Roma, il Cirpa vanta un comitato scientifico nel quale sono presenti ricercatori dalle Università di Padova, di Roma Tre, di Cagliari, di Napoli.

«Sostenibilità» fa riferimento alla necessità di venire incontro ai bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri: le variazioni apportate all’ambiente dalle attività umane devono mantenersi entro limiti tali da non danneggiare irrimediabilmente il contesto biofisico globale e permettere alla vita umana di continuare a svilupparsi. Ciò significa fare in modo che il tasso di inquinamento e di sfruttamento delle risorse ambientali rimanga nei limiti della capacità di assorbimento dell’ambiente ricettore e delle possibilità di rigenerazione delle risorse secondo quando consentito dai cicli della natura, per evitare la crescita dello stock di inquinamento e dell’elettrosmog nel tempo, l’effetto serra, l’estinzione di specie naturali, la deforestazione, la desertificazione, la distruzione della foresta amazzonica, e molti altri dei danni irreparabili che l’uomo provoca e ha provocato con il proprio comportamento non «biosferico».

È sull’uomo che si deve incidere per compiere l’improcrastinabile e necessaria inversione di marcia: solo attraverso la modificazione dei comportamenti individuali è possibile salvare il pianeta. Ciò non è cosa facile: il comportamento è frutto di meccanismi spesso incontrollabili o difficilmente trasformabili. Inoltre, la profonda sfiducia del singolo nel sistema rende l’impresa ancora più ardua, dovendo intervenire non solo sugli aspetti cognitivi del comportamento, ma più spesso sulla sfera motivazionale ed emotiva che guida il comportamento umano ed è parte integrante del «making plan» decisionale. Di tale impresa si stanno occupando gli psicologi ambientali con studi e ricerche sul campo e utilizzando metodi quantitativi e qualitativi, attraverso «case studies» che mettono al centro l’uomo – da solo e nella sua componente sociale – con le credenze, i valori, il sistema normativo, le motivazioni, in generale tutti quegli elementi che muovono il comportamento individuale e che vanno a comporre lo stile di vita.

Un comportamento ecologico può essere realizzato in modo intenzionale (prendere la bicicletta al posto dell’auto per un fine ambientale) o non intenzionale (prendere la bicicletta al posto dell’auto per risparmiare i costi della benzina), ma essere comunque efficace sul punto dell’impatto ambientale. È ecologico, o più ecologico di un altro, anche un comportamento che, pur non arrecando beneficio all’ambiente, si pone su un piano neutrale. La maggior parte dei comportamenti rilevanti sono espressione di abitudini, nelle quali l’intenzionalità è pressoché nulla, azzerata da meccanismi di risparmio cognitivo, e l’unità di analisi è più lo stile di vita che non il gesto singolo: le abitudini sono stringhe comportamentali nemiche dell’ambiente ed è soprattutto su queste che devono intervenire gli psicologi ambientali, risvegliando i singoli sulle conseguenze di azioni non ponderate e fornendo delle motivazioni differenti per gli atteggiamenti e la condotta routinaria. Oltre a ciò, la differente direzione motivazionale dei comportamenti colloca, accanto a valori altruistici ed egoistici, valori «biosferici» che sottendono ai comportamenti ambientali e li guidano, e che devono essere stimolati nell’ottica di un cambiamento globale.

La psicologia ambientale ha, inoltre, preso atto di un fenomeno in grado di dare una netta sferzata al comportamento, le «epifanie ambientali», che si presentano all’individuo come una rivelazione improvvisa, repentina, che lo avvicinano al senso della natura, e lo inducono a modificare il proprio stile di vita in funzione di un’ecologicità cosciente. Si verifica, in questi casi, quel ritorno alla natura che gli psicologi ambientali auspicano, si ricuce il rapporto uomo-natura in funzione di quest’ultima e si prende atto della sua presenza, prima invisibile.

Vi sono anche casi, affatto rari, in cui l’uomo nasce con una spiccata predisposizione verso l’ambiente o in cui, avendo l’occasione di vivere in un contesto naturale, matura non solo convinzioni, abitudini e stile di vita ecologici, bensì un’identità ambientale che può eventualmente evolversi nel senso di un impegno costante per la salvaguardia della natura. Per Wilson, «le persone preferiscono stare in ambienti naturali, in particolare nella savana o in un habitat simile a un parco. Amano poter spaziare con lo sguardo su una superficie erbosa relativamente piana punteggiata di alberi e cespugli. Vogliono stare vicino a una massa d’acqua: un oceano, un lago, un fiume o un ruscello. Cercano di costruire le proprie abitazioni su un rilievo, da cui poter osservare in sicurezza la savana o l’ambiente acqueo. Con regolarità quasi assoluta, questi paesaggi sono preferiti agli scenari urbani brulli o con poca vegetazione. In una certa misura, le persone mostrano di non amare le immagini di boschi in cui lo sguardo non può spaziare, la vegetazione è complessa e disordinata e il terreno è accidentato: in breve, le foreste con alberi piccoli e fitti e un denso sottobosco. Prediligono caratteristiche topografiche e aperture che consentono una visione più ampia».

Con il termine di biofilia si è definita una predisposizione dell’uomo verso la natura che per Wilson ha origini genetiche, e ciò si sintetizza nell’innata affiliazione emozionale dell’uomo agli altri organismi viventi, quel rapporto emotivo che da sempre lega gli esseri umani alle altre forme di vita che l’hanno accompagnato nel viaggio dell’evoluzione. «Biofilia–dice Wilson–è la tendenza innata a concentrare il proprio interesse sulla vita e sui processi vitali (…). Fin dall’infanzia, con animo felice, noi concentriamo la nostra attenzione su noi stessi e sugli altri organismi. Apprendiamo a distinguere la vita dal mondo inanimato e a dirigerci verso la vita come una farfalla attratta dalla luce di una veranda».

L’affinità dell’uomo con la natura, e con tutti gli esseri viventi, sarebbe dunque un prodotto della selezione naturale. Il concetto di verde appare come un punto di riferimento molto coinvolgente, archetipico e quasi viscerale. Il fatto che soggetti di differenti culture mostrino preferenze analoghe avvalora l’eventualità di una base genetica delle preferenze umane per l’habitat, che costituisce indubbiamente per tutti gli organismi il primo e cruciale passo per la sopravvivenza. Gli effetti benefici per la salute psichica e fisica dell’uomo derivanti da un contatto diretto con la natura sono ampiamente documentati da un’estesa letteratura scientifica: l’espressione «restorativeness» si riferisce agli effetti positivi che l’ambiente naturale ha per il benessere psicologico dei soggetti.

L’identificazione con il tema ambientale può sorgere, in misura più o meno ampia, anche nelle aree verdi degli ambienti urbani – se presenti, se note, se accessibili – o essere guidata da un’educazione ambientale attenta e mirata. La sola informazione, però, non è sufficiente a produrre un cambiamento nei comportamenti, o comunque un cambiamento stabile, come non sono sempre utili le strategie impiegate dalla politica, ad esempio tasse ambientali e incentivi monetari, in grado addirittura di spiegare un effetto inverso riducendo la motivazione morale delle persone a comportarsi in modo pro-ambientale.

Gli interventi sono distinti in strategie «soft», quelle informative, che hanno lo scopo di incrementare la conoscenza, la consapevolezza, le regole e le abitudini delle persone, come le campagne di sensibilizzazione sulla raccolta differenziata; e «hard» o strutturali, aventi lo scopo di cambiare le circostanze in cui sono messi in atto i comportamenti decisionali; fornire servizi per il riciclo dei rifiuti ne è un esempio. È importante individuare quei comportamenti che possono migliorare, in modo significativo rispetto ad altri, le condizioni ambientali, per indurre più massicciamente i primi; gli interventi devono essere dotati di un buon fondamento teorico e ad ogni intervento deve seguire una valutazione corretta delle sue conseguenze. Dove bisogna gettare un tovagliolo di carta? In quale dei contenitori: indifferenziato, umido o carta? L’azione informativa è utile a colmare il deficit di conoscenza; subito dopo deve intervenire l’azione strutturale, ossia la predisposizione, da parte delle autorità troppe volte sorde, di servizi per la raccolta, perché il comportamento compreso possa essere concretamente attuato. Da ciò consegue la forte necessità di educare la politica prima di tutto.

Sebbene sia sempre più possibile riscontrare una dichiarata consapevolezza ambientale, quest’ultima non risulta accompagnata da una matura azione quotidiana di sostenibilità ambientale, e i lavori realizzati dagli psicologi mostrano il ridotto riscontro delle campagne massicce volte a promuovere comportamenti ecologici responsabili. L’eccesso di informazione e le propagande morali non sono sufficienti a produrre processi di cambiamento di questo genere; secondo gli «ecopsicologi» della branca della «Ecopsicologia» è erroneo ritenere che la sensibilità ambientale possa maturare principalmente attraverso campagne di informazione e di comunicazione, o attraverso interventi di educazione ambientale nelle scuole, senza piuttosto l’esperienza di natura che tende a favorire l’emergere di un nuovo atteggiamento verso l’ambiente naturale, coinvolgendo non solo il sapere razionale ma anche la riflessione astratta, per modificare le immagini mentali e cambiare, riaccendendo un senso di profonda connessione con la Terra, nella consapevolezza che i valori non si modificano in un corso di formazione più o meno convenzionale, bensì attraverso azioni di formazione in cui la persona abbia modo di disimparare credenze che aveva dato come immodificabili nel passato.

In tempi recenti le società europee hanno acquisito la consapevolezza della necessità di comportamenti più responsabili e delle conseguenze delle azioni individuali e collettive sull’ambiente, e l’educazione ambientale ha assunto un ruolo centrale e diverso rispetto alla tradizionale accezione che la confinava nell’ambito dell’educazione naturalistica o negli spazi destinati alle campagne informative o di sensibilizzazione, o nelle aree protette.

La pura didattica o la semplice informazione non sono più in grado di fornire gli strumenti necessari ad agire in modo responsabile ed autonomo e garantire un grado di sviluppo sostenibile della nostra società; l’educazione ambientale deve sempre più configurarsi come educazione alla sostenibilità (ambientale, economica, sociale o dello sviluppo in senso lato): un impegno e un’opportunità in grado di coinvolgere tutti gli attori sociali, chiamati a diversi livelli e con competenze pluridisciplinari a definire obiettivi, strategie, azioni per attività integrate, utili a produrre una crescita culturale tale da riflettersi, mediante modifiche permanenti di atteggiamenti e comportamenti, sulla qualità ambientale e sulla nostra società, per preparare gli individui all’intenzione di prendere decisioni consapevoli rispetto all’ambiente.    (ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – Aprile 2014