EBBENE SÌ, IL CAR SHARING L’HO INVENTATO IO

C’è un pessimismo dilagante, il mondo va a rotoli. Ma ripassiamo la teoria dell’apprendimento sociale dello psicologo Albert Bandura, con una premessa: l’autoefficacia percepita si distingue dall’ottimismo e corrisponde alla convinzione di «sapere di saper fare». Un alto livello di autoefficacia percepita rende i compiti difficili occasioni per mettere alla prova le proprie capacità con forte aspirazione e impegno e agisce sui sistemi autonomico ed immunitario: aumenta la tolleranza della sofferenza, attiva difese nei confronti delle malattie, tiene le distanze da condotte e agenti patogeni ed integra il concetto di autostima. Dipende da attribuzioni causali: il «locus of control», la percezione che il controllo di determinate situazioni sia interno o esterno alla persona; la stabilità delle cause (la facilità del compito è stabile, la fortuna instabile); la controllabilità sui fattori in gioco. In un momento difficile come questo, è molto probabile che il «locus of control» della nostra vita sia collocato all’esterno: è lo Stato che non ci permette di, è la crisi che non rende possibile il, è la burocrazia, è l’America, sono i dem, sono i conservatori, è la corruzione…

È l’anticamera della depressione: attribuire un insuccesso a fattori esterni, instabili, incontrollabili, fa ritenere che i risultati negativi si verificheranno di nuovo, innescando una spirale di scarso impegno, sfiducia nelle proprie capacità e un senso di impotenza. Martin E. P. Seligman, descrivendo questo stile attributivo come caratterizzato da 4P – permanente, pervasivo, personale, pesante – elabora una vera e propria ricetta per il pessimismo. È invece caratterizzato dalla formula delle 4E l’ottimismo ottuso: sono le «e» che definiscono le situazioni dell’ottimista come estemporanee, esclusive, esterne, esigue, una predisposizione che conduce alla deresponsabilizzazione. Eppure un bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto nello stesso momento. È il «feel bullish», il sentirsi un toro, a predisporre al bicchiere mezzo pieno, ben rappresentato nella statua del «Charging Bull», toro di Wall Street, opera dell’italoamericano Arturo Di Modica che troneggia nel Bowling Green Park di New York. Ed è anche la locuzione «start up»: la scalabilità è il presupposto essenziale per lanciare sul mercato un’idea.

Era il 1986, avevo 10 anni quando inventai il «car sharing», mentre mio padre era intento a cercare posto per la macchina sotto il palazzo di Valentino: nessuno mi dette credito, ero troppo piccola. Mi trovavo a Piazza Mignanelli, a Roma, e ne parlai a mia sorella Giosetta, della mia stessa età. Internet non esisteva, i numeri di telefono di casa non avevano nemmeno il prefisso. Eppure elaborai un business plan sulla base delle domande che lei, sempre geniale, mi poneva. Avevo previsto la possibilità di installare, nelle vetture, un apparecchio che avesse registrato la carta prepagata dell’utente; che lo stesso sarebbe stato sanzionato per le infrazioni e responsabilizzato per eventuali incidenti; un’assicurazione completa; la possibilità di riparcheggiare le auto ovunque a Roma in modo che altri avrebbero potuto prelevarle nella medesima modalità. Avevo previsto tutto salvo una App, giacché non era tempo di App ed io non avevo ancora inventato Internet e smartphone. Non venni ascoltata se non da mia sorella, che dopo anni mi mandò un articolo sul bike sharing francese: avevamo, a quel punto, circa vent’anni. La vivemmo come una sconfitta personale. La mia intuizione avrebbe cambiato la modalità, l’approccio e la vita automobilistica del Paese. Ma, soprattutto, mi avrebbe resa miliardaria.

Il problema fu che non avevo inventato la start up. Ossia, troppo presa dai miei studi di scuola media, non avevo coscienza dell’esistenza di bandi e fondi per poter far progredire un’idea. E, soprattutto, nessuno mi avrebbe ascoltato, se non la mia gemella. Oggi la start up è il futuro del nostro ottimismo, unica possibilità per sentirsi un toro. Materassi sottovuoto sono quelli di Eve Sleep, prezzi competitivi e consegna a casa; ravioli cinesi con ingredienti italiani consegnati a domicilio quelli di Hujian Zhou, cinese residente in Italia da 20 anni, in società con un macellaio meneghino; cabine-letto per gli aeroporti, quelle notti infinite di scalo, ed ecco la ZzzleepandGo di tre ventenni, che ne hanno realizzato in casa il prototipo automatizzato completo di letto, wi-fi, sveglia, cromioterapia, luci a Led, contenuti multimediali e possibilità di prenotazione, ora presente negli aeroporti di Malpensa e Bergamo-Orio al Serio; ci sono i «supereroi» di Gabriele di Bella prenotabili online: colf, badanti, personal trainer, baby sitter, fisioterapisti, tuttofare.

Il figlio di Mogol, Francesco Rapetti, anziché cantare produce Nuvap, un dispositivo in grado di rilevare l’inquinamento negli spazi chiusi, che uno spedizioniere passerà a ritirare dopo una settimana per poi inviare un report al cliente con le soluzioni per eliminare gli agenti inquinanti. Per la salute c’è il rilevatore di ictus, Neuron Guard, start up di Mary Franzese, 30 anni; c’è Empatica, del trentaduenne Matteo Lai, per il rilevamento dei segnali fisiologici della vita quotidiana; c’è Eucardia, di Francesca Parravicini e del padre Roberto, cardiochirurgo di Milano; c’è D-Eye, prototipo dell’oculista Andrea Russo, che attraverso uno smartphone compie uno screening per una prima diagnostica sull’occhio del paziente. Flavio Lanese a 56 anni cambia vita e inventa SpeedyBrick, un mattone che si monta come i Lego; Solenica, del 24enne Mattia Di Stasi, produce Lucy, una lampada che insegue la luce del sole, idea nata dalla scomodità di un ufficio non luminoso e dall’illuminazione – è il caso di dire – che la luce della strada di fronte potesse essere ridirezionata nel punto giusto. Cinque sardi, riuniti a casa di nonna Elvira, inventano Sardex, una moneta che vale come l’euro, per far fronte alla crisi finanziaria (una sorta di Sardexit?) nella consapevolezza che la crisi della liquidità non corrisponda a una crisi di produttività: basta dare la possibilità di sostenersi a vicenda attraverso un mercato parallelo.

A chi si chiedesse come trovare i soldi per lanciare una start up (oltre trovare sponsor e finanziamenti), ovviamente, rispondono altre startup: Crowdbooks, del 42enne Stefano Bianchi, pubblica libri in crowfunding: chiunque può sostenere un progetto editoriale preacquistando una copia a prezzo scontato; DeRev, portale di raccolta di fondi del salernitano Roberto Esposito, ha trovato 1.463 milioni di euro per ricostruire a Napoli la Città della Scienza distrutta da un incendio; Iubenda, del 27enne Andrea Giannangelo, aiuta i clienti a costituire una start up innovativa in pochi passaggi online. Si può anche fare una colletta su Collettiamo, idea nata da tre giovani marsigliesi che si trovarono a raccogliere i soldi per organizzare la festa di Capodanno con parenti ed amici.

Personalmente, ho una soddisfazione: aver inventato il car sharing a 10 anni. Morale della favola: i bambini, ascoltiamoli. Il plagio, a volte, è telepatico.   (ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – febbraio 2017




ROMPILGHIACCIO

ROMPILGHIACCIO

Senti, non sarà forse l’istinto
di conservazione a salvare
l’onta di contraddizione
che traduce in neve il mare
e sintetizzando il sale
lo fa friggere in padella
per saltare una patata
come in una zuccherata
cortesia, e in cucina
il tempo ammina
tutti i miei desiderata?
Senti, non sarà forse un’orata
a parlare dei pinguini
mentre il vecchio pescatore
crede solo nei delfini?
Questo dico: ogni tanto
anche un pesce pensa al freddo,
rompe il ghiaccio,
si ripara nel fondale
e lì pensa alla Groenlandia –
sarà grande, sarà come
descriveva il nonno squalo? –
che curiosità l’amore
quando l’ignoranza duole.

2 febbraio 20017, Romina Ciuffa 




ROMPI

ROMPI

Sette anni di guai
per il tuo riflettere
non sconterò mai.

20 gennaio 20017, Romina Ciuffa 




ANDIRIVIENI

ANDIRIVIENI 

Il sesso è venire,
l’amore è andare.

18 gennaio 2017, Romina Ciuffa

 




AMERICAN EXPRESS: MELISSA PERETTI, DIVERSIFICAZIONE DEI PRODOTTI MA ANCHE DELLE DIVERSITÀ UMANE

American Express viene fondata a Buffalo nel 1850 da Henry Wells e William Fargo come società di trasporto valori. Il logo, un cane poggiato sopra un baule, è già un forte richiamo alla sicurezza e alla protezione. Di strada questo cane ne avrebbe fatta molta. Intanto, il marchio nel 1891 inventa il «travel cheque», primo strumento prepagato della storia che contribuisce al rapido processo di internazionalizzazione dell’azienda. È nel 1958 che viene creata la prima carta di credito, che già prima del suo lancio riceve oltre 250 mila richieste e a soli tre mesi dalla comparsa conta già 500 mila titolari negli Usa. In Italia, le carte di credito personali sono lanciate nel 1971, quelle dedicate alle aziende nel 1979, e risale agli anni 90 il programma di fidelizzazione «Club Membership Rewards». A fine 2003 l’Amex raggiunge una quota di oltre un milione di titolari di carta in Italia. Nel tempo American Express è diventata «più di una semplice carta», offrendo valore aggiunto per il semplice uso della stessa: dal programma di fidelizzazione al «cash back» per il prodotto più giovane, dalle miglia e i punti accumulabili ai benefici esclusivi offerti dai partners. Oggi in Italia la società sta beneficiando di grandi cambiamenti: innanzitutto un trasferimento della sede romana principale di Cinecittà a quella di Via Eiffel, tutta trasparente, che ha consentito un cambio epocale. È l’introduzione dello «smart working», ma non solo: è l’avvio di specifiche attività di «Diversity & Inclusion», come il programma «Women in the Pipeline and at the Top», per incrementare il numero di dirigenti donne, o il «Pride Network», per promuovere i temi di inclusione della comunità LGBT. Infatti la diversità è sempre stato uno degli elementi più forti dell’American Express. Quindi, la nomina di Melissa Ferretti Peretti, già in azienda da molti anni, come direttore generale per l’Italia, anche riconosciuta dal Premio Bellisario per la sua eccellenza. Specchio Economico lo conferma. I lettori di Specchio Economico potranno farlo attraverso questa intervista, che dà conto dell’importanza di chiamarsi American Express.

Domanda. Iniziamo proprio dalla sua nomina e dalla femminilità in questo ruolo: l’American Express è molto attiva nell’attenzione alla parità di genere. Cosa ci può dire?
Risposta. La cosa più interessante in realtà non è stata solo la nomina di una donna, ma la nomina di una persona giovane e italiana: le tre componenti insieme rendono tale nomina particolare, ma credo che se anche fosse stato nominato un giovane adulto italiano sarebbe stato altrettanto importante, ciò avrebbe costituito una novità positiva per il mondo della finanza, soprattutto avvenendo nell’ambito di un marchio già forte, non una start up bensì un’azienda che lavora in Italia dal 1901 e che è nata, in America, 166 anni fa, nel 1850, facendo cose ben diverse da quelle che facciamo oggi: trasportando i valori con le carovane dall’est all’ovest e già rappresentando i valori della sicurezza, della security, del trust, dell’affidabilità. Infatti era un cane poggiato sopra un baule a rappresentare il brand, ossia proprio il valore della protezione, che ci siamo portati dietro in tutti questi anni di storia. Il fatto che un’azienda con un ruolo così rilevante nella finanza da cent’anni scelga, alla guida di un mercato importante come l’Italia – fra i primi tre europei e fra i primi otto nel mondo per Amex – una persona cresciuta in azienda e italiana secondo me è un segno importante. Che io sia donna non lo trovo altrettanto interessante, sebbene ciò comunque avvenga in un momento in cui si discute tanto del ruolo della donna dopo l’entrata in vigore della legge sulle Pari opportunità. Ma questo ci fa parlare, per l’appunto, di un tema a noi molto caro, quello più generale della «diversity». Oggi come oggi non può esistere nessun ambiente che funzioni e che sia in grado di competere in maniera efficace ed efficiente in un contesto competitivo complesso, in continuo mutamento, globale, senza non soltanto accogliere, ma valorizzare ogni tipo di diversità.

D. Il 17 novembre l’American Express a Roma ha tenuto un evento specifico per la comunità LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Di cosa si è trattato?
R. È stato un evento interno all’azienda molto sentito, che non abbiamo fatto per avere visibilità sui giornali proprio perché la diversità è nel dna di American Express. Siamo un’azienda globale, presente in 130 Paesi con 166 mila dipendenti che, come è ovvio, sono tutti diversi tra loro, così come lo sono i nostri clienti, circa 130 milioni nel mondo. Già dall’inizio del 2013 in Italia abbiamo esteso tutti quanti i benefici del dipendente al partner dello stesso sesso, quindi ben prima della legge sulle unioni civili. È chiaro che un’azienda del genere non può non fare della diversità e dell’inclusione uno dei valori chiave. Ci siamo dedicati molto negli ultimi anni al tema del genere; personalmente, prima di diventare Country Manager, sono stata sponsor, all’interno di American Express, di un programma volto ad aumentare il numero delle donne nelle posizioni dirigenziali, con l’obiettivo di raggiungere in Italia il 50 per cento dell’impiego femminile. Siamo ora al 43 per cento, con una media italiana assestata attorno al 18 per cento.

D. Nella vostra nuova sede la disabilità è finalmente tutelata. Può parlarci di questo?
R. Ci stiamo dedicando molto alla disabilità soprattutto dopo il cambio di sede, da quella di Cinecittà a questa di Via Eiffel, che grazie alla conformazione dell’edificio ci ha permesso di creare un «work and talk», parlare e agire, e di avere finalmente un «building friendly» da ogni punto di vista. A Cinecittà erano presenti delle barriere architettoniche, trattandosi di un edificio costruito negli anni 70. Bisogna però pensare che il «private network», una rete interna per i dipendenti, in America esiste da vent’anni, essendo nato in Amex nel 1995, e l’impegno nel «Diversity & Inclusion» è iniziato nel 1985, quindi da 30 anni. I due network che si occupano di «diversity» – il Women’s Interest Network (Win) per le donne, e il Pride per l’orientamento sessuale, che in America esiste dal 1995 – adesso hanno il 40 per cento di dipendenti iscritti. Ho chiesto a tutti di iscriversi, LGBT e non LGBT, per attivare un’alleanza utile a portare avanti la parità dei diritti e la sensibilizzazione su tali temi, e ci saranno una serie di iniziative non soltanto interne all’azienda per facilitare l’inclusione da ogni punto di vista: sessuale, della disabilità, del genere. Questo tema è per noi più forte perché in Italia siamo indietro. La legge grazie al cielo è stata votata ma con trent’anni di ritardo, tanto che prima di essa a livello europeo l’Italia aveva un bollino rosso di «discriminazione». Se oggi è più facile parlare delle donne e della disabilità, ciò non accade in tema di orientamento sessuale, tanto da aver ricevuto attacchi su alcuni canali Twitter personali per aver pubblicato foto dell’evento LGBT, ma questo vuol dire solo che stiamo facendo qualcosa di giusto.

D. Nuova sede nuova vita? Cos’è il vostro «smart working»?
R. In quest’area abbiamo cercato innanzitutto di implementare lo «smart working». L’Italia è stato il primo Paese europeo di American Express a promuovere il lavoro «smart» dopo la Gran Bretagna così come per il Pride, quindi siamo un Paese all’interno dei mercati europei che si sta dimostrando estremamente innovativo, abbiamo vinto come prima azienda il premio «Smart working» del Politecnico di Milano nel 2014 proprio perché erano ancora pochissime le aziende ad occuparsene. Di fatto significa andare oltre la logica della presenza in ufficio e riuscire a gestire le persone attraverso gli obiettivi. Ciò avviene attraverso investimenti in spazi e tecnologia, in un ripensamento dei ruoli e dei luoghi aziendali. Oggi nessun dipendente ha una postazione fissa, solo alcuni ruoli la hanno, coloro che devono stare sempre in ufficio, che sono la minoranza: il 75 per cento delle persone deve prenotare sul sistema online la propria postazione sulla base dei suoi impegni in ufficio, e le scrivanie sono divenute «clean desk». Abbiamo eliminato anche tutta la carta. In linea di massima le persone lavorano da casa fino a due giorni a settimana, quindi il 30 per cento di esse non sono in ufficio e su mille dipendenti non ce ne sono mai più di 700: questa è un’ottima cosa da una parte perché siamo lontani dalla vecchie sede, dall’altra anche in funzione dell’impatto ambientale dei trasferimenti in una città come Roma. Inoltre abbiamo calcolato che, con questo sistema, si risparmiano alcuni giorni l’anno che altrimenti si trascorrerebbero solo effettuando gli spostamenti.

D. Cosa prevale nello «smart»?
R. Il concetto è quello della flessibilità: il leader deve essere in grado di stabilire una relazione con i propri collaboratori e di gestirli a seconda degli obiettivi, valutare così la loro prestazione in base alla stessa e non sul mero calcolo della presenza in ufficio. Questo rappresenta un cambiamento culturale molto forte, che porta a stabilire anche un rapporto di fiducia con il collaboratore, una maggiore responsabilizzazione, una partecipazione più sentita alle esigenze dell’azienda, in quanto senza controlli. Serve ovviamente la tecnologia che oggi come oggi consente di essere sempre connesso. Tutti hanno ovviamente il proprio computer aziendale e il telefono integrato. Anche la socialità, con gli spazi aziendali, è cambiata: le persone non hanno postazione fissa e ciò aiuta molto la collaborazione e la conoscenza, cadendo le barriere del quotidiano. Inoltre abbiamo ampliato tantissimo le aree comuni, creando salottini per le riunioni spontanee, cucine, e dando connessione wifi in ogni spazio, una grande rivoluzione che è stata estremamente facile e veloce. Non sarebbe ora più possibile tornare indietro. Questo è solo l’inizio, fra 10/15 anni da noi nessuno lavorerà più in ufficio, esisteranno però spazi dove sarà possibile fare riunioni con il proprio team, gli uffici tra l’altro costituiscono puntuali costi che non vengono tradotti in produttività. Lo «smart working» ha prodotto una serie di risultati positivi anche dal punto di vista della produttività stessa, l’assenteismo per malattia è diminuito del 6 per cento, i permessi del 20 per cento e così via solo a distanza di un anno. L’obiettivo è continuare a migliorare, e un team si dedica alla valutazione dello «smart working» per trovare modalità di ottimizzazione costante. Abbiamo anche messo a disposizione dei nostri impiegati una palestra, facendo un accordo con la One on One, società del Gruppo Tecnogym che ha creato lo spazio per noi e lo ha dotato di personal trainer e di tutto ciò che serve; infine, abbiamo inserito un parrucchiere e un centro benessere nella struttura. Stiamo cercando di realizzare spazi per bambini, un club dove i genitori possano portarli mentre lavorano.

D. Come vi occupate di formazione?
R. Abbiamo creato la Amex Academy per rispondere alle esigenze formative, integrando i corsi esterni con quelli interni, direttamente condotti dai nostri manager, di fatto anche arricchendo i curriculum dei nostri dipendenti che, attraverso le lezioni, possono imparare e proporsi per nuovi ruoli. Abbiamo anche lanciato un Master degree per senior talentuosi, una classe di 15 persone cui sono assegnati progetti da svolgere nel corso dei 6 mesi.

D. In questo anno e mezzo come Country Manager, cos’ha fatto?
R. Sono in American Express da 13 anni. Questo ruolo è la naturale prosecuzione del mio ruolo precedente, in questo sono stata molto facilitata, conoscendo già le persone e le attività. Venivamo da una situazione di stasi per una serie di ragioni legate soprattutto al contesto esterno economico. Ora siamo in forte ascesa anche grazie alla focalizzazione sul digitale e gli investimenti sul mercato: quest’anno stiamo investendo il 45 per cento in più rispetto all’anno scorso per acquisire nuovi clienti. Il portafoglio sta di nuovo crescendo mentre era stato statico per 7 anni, con una crescita di circa il 4 per cento, e il fatturato, che per noi corrisponde al «transato», è già cresciuto lo scorso anno del 3,5 per cento, mentre quest’anno stiamo raddoppiando. Sul digitale ci stiamo focalizzando nel migliorare la «customer experience» dei clienti.

D. In che modo affrontate la digitalizzazione?
R. American Express è il più grande network integrato di pagamenti nel mondo, processiamo milioni e milioni di transazioni al giorno, abbiamo milioni di dati da utilizzare in maniera intelligente per personalizzare sempre di più l’esperienza del cliente, dandogli un valore aggiunto, ad esempio inviando offerte sempre più in linea con le sue scelte. L’analisi dei dati ci consente di sapere cosa preferisce, così come la geolocalizzazione. Chiaro che la rivoluzione digitale sta facendo venir meno sempre di più il confine tra acquisto e pagamento, e il mobile sta estremizzando questo fenomeno. Un’azienda come la nostra non può e non vuole farsi identificare solo come mezzo di pagamento, altrimenti diventerebbe una «commodity» di semplice transazione, ma vuole essere vicina al cliente in tutto il processo di acquisto anche attraverso applicazioni mobili. Abbiamo lanciato anche in Italia una app per la fedeltà: la «loyalty» per noi è un elemento essenziale e per mantenerla dobbiamo costantemente essere nella direzione dei bisogni del cliente. Non innoviamo tanto per innovare, ma perché siamo convinti che in questo momento di grande evoluzione dell’industria dei pagamenti sopravviverà chi alla fine sarà in grado di dare un’esperienza diversa. Bisogna garantire un’esperienza facile, veloce, sicura, ma in più offrire credito con un apparato che sia in grado di valutare effettivamente la possibilità di concederlo. L’elemento che ci differenzia dagli altri è dunque il servizio: siamo riusciti ad arrivare ad un livello di sistematicità e di assoluta eccellenza. Gli stessi dipendenti Amex in tutto il mondo e indipendentemente dal ruolo sono valutati ai fini di un bonus del 25 per cento che dipende dai risultati in termini di soddisfazione sul servizio «refer to friend», ossia in che percentuale il cliente raccomanderebbe American Express ad un amico.

D. Tanta tecnologia, altrettanta sicurezza?
R. Abbiamo un servizio antifrode di nostra proprietà, e nostre persone che monitorano costantemente eventuali rischi di frode con sistemi evoluti, e credo che in questo siamo «best in class». Partiamo dalla buona fede del nostro cliente e immediatamente lo rimborsiamo di una perdita dovuta alla dichiarata clonazione della carta, al suo furto o altro. Questo ci contraddistingue da altri concorrenti: per noi il cliente non è assolutamente responsabile di nessuna frode effettuata sulla sua carta e all’istante, nel momento in cui il cliente ci chiama, riaccreditiamo la spesa fraudolenta sul suo conto. Ovviamente poi facciamo le verifiche idonee.

D. Perché la carta American Express è nella media è più costosa di altre carte? Questo non disincentiva i clienti?
R. Per tutti i servizi che diamo, ma non soltanto per questo. Va sottolineato in proposito: in Italia negli ultimi tre anni abbiamo investito circa 9 milioni di dollari per ridurre le commissioni soprattutto per i piccoli esercenti che hanno maggiormente risentito della crisi. Effettuiamo negoziazioni individuali e non collettive come fanno gli altri circuiti, e le commissioni vengono fissate sul tipo di business dei clienti. Il nostro obiettivo è quello di estendere l’uso della carta, quindi abbiamo agito coscientemente così aumentando il numero di clienti che quest’anno sono il 30 per cento in più rispetto a quelli acquisiti l’anno scorso. Cresciamo in maniera molto accelerata grazie agli investimenti, che misuriamo in dollari ma parliamo solo dell’Italia. Vogliamo mettere i nostri nuovi clienti nella condizioni di usare sempre la carta.

D. Quali sono i nuovi clienti tipici?
R. Abbiamo un’ampia fascia di prodotti, che partono dalle classi più alte con carte di un certo spessore e costo, fino a un target più giovane, dalle diverse esigenze, per i quali è stata coniata ad esempio una carta bianca dal costo di soli 35 euro ma che dà i medesimi benefici di ogni carta Amex, le protezioni assicurative, lo stesso servizio del programma «Membership Reward», la possibilità di scegliere cinque esercenti preferiti d cui poter accumulare tripli punti etc. Abbiamo poi le carte con i marchi storici per il target dei «frequent flyer» che viaggiano spesso e quindi sono interessati alle miglia; abbiamo lanciato anche la carta Italo proprio perché abbiamo visto che all’interno del territorio italiano molti si spostano con il treno e diamo la possibilità di trarne benefici; abbiamo la carta «Cash Back» che invece dei punti restituisce una percentuale dell’un per cento delle spese annuali, unica in Italia. Inoltre le carte possono essere usate «Revolving», ossia rateizzando la spesa per alcuni mesi o sulla base di una somma prestabilita dal cliente stesso. Non abbiamo quindi un cliente tipo, abbiamo un portafoglio di prodotti in grado di rispondere ai bisogni di qualsiasi tipologia di clientela. Abbiamo anche tanti altri servizi che si focalizzano nel risolvere le esigenze degli imprenditori, delle aziende, del mondo «corporate». In questo settore siamo leader del mercato. Siamo molto ottimisti e le opportunità in Italia sono ancora molte, il contante è ancora il re dei pagamenti, il 55 per cento di tutte le transazioni effettuate avviene in «cash», ma questo significa anche che c’è una grande opportunità di crescita.

D. Eppure, a differenza che in altre parti del mondo, gli esercenti si rifiutano di accettare la carta di credito per cifre piccole.
R. C’è una nuova normativa approvata da qualche mese, nell’ambito anche dell’implementazione della direttiva dei pagamenti europei, che obbliga gli esercenti e i professionisti a ricevere pagamenti con carta o bancomat per importi superiori a 5 euro. Sotto tale limite invece, l’accettazione della carta è a discrezione. Saranno fissate anche delle sanzioni.

D. Come influisce l’impiego delle carte di credito sulla crescita di un Paese?
R. La politica, il Governo, tutti sanno quanto in Italia sia importante colmare questo grande gap, che è a tutti gli effetti un gap alla crescita. Di fatto oggi la penetrazione bassa della plastica favorisce il nero, l’economia sommersa, costituisce punti di Pil perso. È un vincolo, un grande blocco che rallenta lo sviluppo economico del nostro Paese. In questo senso anche tante iniziative legislative che si stanno muovendo vanno in questa direzione.

D. A livello politico cosa potrebbe essere utile fare in questo settore?
R. Proseguire sulla strada delle riforme che favoriscano e impongano agli esercenti, ove necessario, di accettare pagamenti con plastica, anche finalizzando un sistema legato alle sanzioni, considerato che una legge senza sanzioni serve a poco, per poi consentire alle persone di poter utilizzare la carta di credito per qualsiasi pagamento. È fondamentale continuare con gli investimenti sulla banda larga ed ultra larga perché ci sono pezzi del Paese che ancora non sono collegati: è ovvio che per la diffusione dei pagamenti elettronici sia necessario un collegamento ad internet. Inoltre il «mobile commerce» e l’e-commerce saranno nei prossimi anni fondamentali per la crescita dell’impiego della plastica nei pagamenti.

D. Alfabetizzazione finanziaria: come stiamo messi?
R. È importante l’aspetto di una educazione in tal senso, il nostro Paese è estremamente indietro e si trova in una situazione angosciante; ci sono vari studi che lo confermano, in particolare lo studio del 2015, fatto da Standar&Poor’s insieme a Bank of Washington, ha intervistato gli italiani su alcuni elementi basici dell’educazione finanziaria, con domande molto semplici relative, ad esempio, alle modalità di valutazione della convenienza di un mutuo o su cos’è un interesse. L’Italia è uscita sessantatreesima, prima di noi Zambia, Benin, Senegal, Madagascar: questo è davvero molto grave. Siamo forse l’unico Paese europeo a non avere una strategia nazionale sull’educazione finanziaria, è un elemento di debolezza enorme, perché poi si verificano fatti come come la vendita di titoli tossici ed altro. Ma soprattutto perché la non conoscenza genera paura.

D. E cosa fa l’American Express per educare alla cultura finanziaria basica?
R. Abbiamo un team interno che richiama tutti i clienti nuovi per essere sicuri che abbiano capito i benefici di un prodotto, in alcuni casi lo vendiamo indirettamente ed il cliente non ha perfettamente chiara l’offerta. Ci capita chi pensa che ci sia un costo nel mero uso della carta, che si debba pagare una commissione, e questo è solo un esempio. In realtà la commissione la pagano gli esercenti. Il problema dell’alfabetizzazione finanziaria genera paura, come ho detto; in proposito ci sono una serie di progetti di legge in corso. Bisogna velocizzare tale processo, fare una legge e sviluppare una strategia per il nostro Paese che coltivi l’educazione finanziaria: solo con la conoscenza si potrà realmente crescere. Abbiamo finanziato un progetto per i bambini nelle scuole e i risultati di alcuni test somministrati ai genitori hanno portato a risultati imbarazzanti. Usare la carta oggi significa avere maggiori sicurezze, credito, vantaggi, valore aggiunto, offerte. Senza considerare che il contante ha un costo che è stato valutato dalla Banca d’Italia in circa 8/10 miliardi di euro ogni anno, per stamparlo, proteggerlo, trasportarlo etc. Senza pensare ai rischi che derivano dal suo uso.     (ROMINA CIUFFA)

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Dicembre 2016




AUGURI AUDITORIUM, DA E CON L’AD JOSÉ DOSAL NORIEGA

ROMINA CIUFFA intervista JOSÉ R. DOSAL NORIEGA, amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma. Auguri Auditorium: il complesso compie 14 anni, la Fondazione Musica per Roma 12, la presidenza di Aurelio Regina 6, e il suo nuovo amministratore delegato, lo spagnolo José Ramón Dosal Noriega, ne ha appena compiuto uno di mandato. Nel corso del 2016 è stato messo a disposizione del pubblico un patrimonio di nomi, eventi ed emozioni che vanta pochi esempi nel mondo: dal 1° gennaio al 19 ottobre si sono registrati 258 mila spettatori per circa 490 eventi ed un incasso lordo di 8 milioni e 136 mila euro. Ma, nella migliore tradizione italiana, recentemente i media si sono scaraventati contro la nuova amministrazione, plausibilmente senza dati alla mano (la conferenza stampa di apertura della nuova stagione si è tenuta solo dopo), dando eco a critiche buie, distruttive e, soprattutto, corali non nel senso di «coro», bensì in quello del «copia-incolla». Ho posto le domande d’uopo direttamente all’amministratore delegato della Fondazione Musica per Roma, i cui soci sono il Comune di Roma (che ha conferito in concessione d’uso per 99 anni l’immobile Auditorium alla Fondazione), la Camera di Commercio, la Provincia di Roma e la Regione Lazio.

Domanda. Cosa ha generato l’accanimento mediatico ottobrino avverso l’ultimo anno di Auditorium?
Risposta. Credo che sia naturale, nel momento in cui arriva un nuovo responsabile culturale in città e a capo di una struttura così importante, suscitare la curiosità della stampa. Tutte le critiche mi sono state utili e posso affermare oggi, ad un anno dal mio arrivo, che nulla è mutato nell’andamento dell’Auditorium, né biglietti né spettatori, e abbiamo anche un bilancio positivo. Non sono un politico, voglio solo lavorare e per il bene di questa nostra istituzione, con tutto il mio impegno.

D. Cinque erano gli obiettivi che si era prefissato: Auditorium 2.0, internazionalizzazione, territorio, giovani, Auditorium va in città. Può indicarcene i risultati?
R. Per «Auditorium 2.0» abbiamo inteso lavorare per essere sempre più vicini al pubblico più giovane attraverso i canali social come Facebook, Instagram, Twitter, cresciuti del 200 per cento. Siamo anche la prima istituzione culturale ad aver lanciato un canale Telegram ed un canale Spotify, in un solo anno. L’Auditorium ha un nuovo «visual» e immagine coordinata che richiama le stagioni. Inoltre abbiamo realizzato 8 flash mob in città per il format «Auditorium Va in Città» e preso contatti con grandi istituzioni culturali straniere. Per la nostra internazionalizzazione, faccio riferimento innanzitutto alla negoziazione di rilevanti scambi di coproduzione e contenuti con il Barbican Centre di Londra; con Madrid stiamo trovando un accordo; in Messico, abbiamo parlato con il ministro della Cultura Rafael Tovar y de Teresa, che essendo già stato ambasciatore in Italia conosce perfettamente Roma e l’Auditorium, e posso anticipare che c’è una trattativa volta a firmare un accordo di amicizia con il Cenart, Centro nazionale delle arti, istituzione messicana corrispondente alla nostra, e credo che questa possa essere la porta d’ingresso per l’Auditorium nei confronti dell’America Latina.

D. L’assessore alla Crescita culturale di Roma Capitale Luca Bergamo ha dichiarato che c’è poca partecipazione dei romani alle attività culturali. Come avete affrontato l’obiettivo «territorio»?
R. Abbiamo iniziato con un progetto di analisi del pubblico per capirne le esigenze e le aspettative. I primi intervistati sono stati i genitori. È emerso che il 95 per cento di essi vuole appuntamenti culturali all’interno dell’Auditorium. Abbiamo così avviato il format «Auditorium Family», dedicato ai bambini e alle famiglie con oltre 30 appuntamenti durante tutto l’anno. Un esempio per tutti, «GiocaJazz», nato per creare interesse e ispirare le nuove generazioni verso tutta la musica e le sue forme. Durante l’estate abbiamo lanciato «Luglio Suona Bene Kids», un servizio grazie al quale il genitore poteva assistere a un concerto mentre i propri bambini giocavano ed imparavano negli altri locali dell’Auditorium. Quello che io ho compreso dalle affermazioni di Bergamo è che tutte le istituzioni culturali di Roma devono fare qualcosa in più per coinvolgere la popolazione presente sul territorio. Ed è per questo che l’analisi del pubblico, dai più giovani, ai frequentatori assidui, continuerà nei prossimi mesi.

D. Perché secondo lei c’è questa difficoltà a Roma?
R. Questo pubblico vuole andare allo spettacolo, vederlo e poi tornare a casa. Sarebbe bello, invece, che rimanesse anche dopo, o che arrivasse in anticipo per partecipare ad altre attività prima dello show, cercando un’esperienza completa, non circoscritta al tempo di durata dello spettacolo. Bisogna, a mio parere, fare di un evento culturale o di un concerto un’esperienza culturale per godere di tutto il suo contenuto.

D. Questo non può dipendere anche dal fatto che lo spirito italiano di oggi è lamentoso, un po’ meno raggiante rispetto ad altri Stati?
R. C’è un leggero senso di paura dopo tutto quello che è successo, parlo degli attentati terroristici, c’è un «effetto Bataclan». Ma adesso, con la fiducia che abbiamo nelle istituzioni italiane, credo non debbano esserci timori relativi all’Auditorium, dimostratosi sicuro perché tutte le norme di sicurezza sono rispettate. Quello che vogliamo fare è trasmettere un’esperienza gioiosa alla gente di Roma per godere interamente dei nostri contenuti.

D. Non è forse la qualità che manca, un «effetto reality» che abbassa la qualità della cultura in generale?
R. Certo, è così. Oggi c’è un problema innanzitutto con i giovani, che con i tempi moderni sono abituati ad avere tutto e subito, la musica e le relazioni sociali sul telefonino. Manca il concetto della profondità del sapere quali siano le cose di qualità. La nostra scommessa, che è anche uno degli obiettivi che ci siamo prefissati, è lavorare per il giovane attraverso tutti i social network per avvicinarlo all’Auditorium, e anche questo fa parte dell’obiettivo «Auditorium 2.0». Proprio per questo abbiamo lanciato un programma molto semplice sotto l’hashtag #ILoveAuditorium, ossia una Carta Giovani con la quale offriamo a chi ha tra i 18 e i 35 anni uno sconto del 25 per cento sui biglietti di eventi e mostre, una visita guidata per due persone all’interno della struttura il sabato e la domenica, inviti alle nostre inaugurazioni, la possibilità di frequentare gli spazi espositivi, la migliore offerta dei pacchetti non dedicati ai giovani. Tutto questo funziona in modo semplicissimo: basta recarsi alla cassa con un documento di identità e si riceverà lo sconto. Da febbraio sarà possibile acquistare la carta online dopo aver ricevuto un codice utente.

D. Per i giovani c’è anche il «Recording Studio»: cos’è?
R. È l’iniziativa che permette al pubblico di assistere in presa diretta alle registrazioni della nostra etichetta discografica «Parco della Musica Record». Grande attenzione è dedicata ai giovani talenti e alle band emergenti, con un occhio particolare verso la musica jazz.

D. Cosa può dire dell’obiettivo «Auditorium va in città»?
R. Sono veramente felice per i flash mob che abbiamo fatto: siamo andati a Fontana di Trevi, all’aeroporto, al mercato di Testaccio, al Pantheon. Questo vuol dire portare l’Auditorium in città per far vedere alla gente quello che succede da noi.

D. Allora a cosa è dovuta tutta questa tensione che si è verificata?
R. Come ho detto all’inizio, credo sia stata eccessiva la preoccupazione da parte dei media romani rispetto ad un nuovo arrivo. Io rispondo con i dati: con la rassegna «Luglio Suona Bene», abbiamo avuto circa 85 mila spettatori, quasi 40 concerti, e per me è stato un grande successo. Ora abbiamo un’altra grande stagione davanti, come le ho raccontato. Invito tutti i giornalisti a parlarne perché sempre più romani e presenti in città possano venire e goderne.

D. Quindi un bilancio positivo?
R. Certo, anche in qualità. Lo scorso anno con il presidente Regina abbiamo pubblicamente spiegato la situazione tecnica della Fondazione, per cui avremmo dovuto affrontare costi esterni alla gestione corrente. Sottolineo che si è trattato solo di un problema tecnico e non di scarsa affluenza di pubblico. Il segreto di questo mestiere è trovare equilibrio tra il commerciale e il culturale ed è difficile trovare il giusto compromesso. La mia responsabilità è mantenere il livello di eccellenza che ha avuto sempre l’Auditorium.

D. Come sarà la nuova stagione?
R. Stiamo lavorando per il secondo anno e per la nuova programmazione. Credo che sarà un anno bellissimo, e sarà importante anche per la creazione del Polo Museale e la costruzione del Museo dell’Auditorium con la Collezione Sinopoli, la Villa Romana, gli strumenti musicali. Una cosa che mi ha colpito molto è aver ottenuto il nome «Flaminio Auditorium» per la stazione Flaminio di Roma; un’altra cosa interessante è stata la possibilità di impiegare lo strumento dell’art bonus per il mantenimento della struttura. Quest’anno faremo 11 festival, 170 ore di lezione, 250 concerti, più di 500 appuntamenti. La nuova stagione regalerà un’esperienza profonda allo spettatore, il programma è in continua evoluzione. Tra gli ultimi artisti confermati, Vinicio Capossela e Patti Smith, con un progetto in onore di Papa Francesco. Tra le novità importanti la direzione del Festival Equilibrio 2017 affidata a Roger Salas, e il Roma Rock, nuovo festival dedicato alle band emergenti.
D. Siete in trattativa anche con il nuovo premio Nobel per la letteratura, il musicista Bob Dylan.
R. Siamo in contatto con il suo management da prima del conferimento del premio, e sono sicuro che alla fine riusciremo ad averlo qui con noi.     (Romina Ciuffa)




GAETANO BLANDINI (SIAE): GLI AUTORI CREDONO NELLA NUOVA SIAE, NOI CREDIAMO NEGLI AUTORI

  • ROMINA CIUFFA intervista GAETANO BLANDINI, direttore generale della Siae. La SIAE, Società Italiana Autori ed Editori, è una società di gestione collettiva del diritto d’autore, cioè un ente costituito da associati (gli autori ed editori sono la sua base associativa) che si occupa dell’intermediazione dei diritti d’autore. Ogni anno rilascia più di 1,2 milioni di contratti di licenze per l’utilizzo delle opere che tutela, facilitando il riconoscimento dei diritti da parte di tutti coloro che intendono utilizzare quelle opere e garantendo agli autori e agli editori il pagamento del giusto compenso per il loro lavoro. Tecnicamente un Ente pubblico economico a base associativa, assicura interessi generali che sono tutelati dalla Costituzione, come la promozione della cultura, la libertà dell’arte, la protezione del lavoro intellettuale. Per questo la SIAE è sottoposta alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero per i Beni e le Attività culturali e del Turismo e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, come garanzia di trasparenza e di buona gestione nei confronti degli associati e degli stessi utilizzatori. È fuori dal perimetro della Finanza pubblica e non riceve finanziamenti diretti o indiretti da parte dello Stato; si dichiara un vero e proprio presidio di libertà, non ha scopo di lucro ed è totalmente indipendente nell’attività di impresa. «Il diritto d’autore non è una tassa ma è un diritto del lavoro», ribadisce la SIAE. Non esente da critiche, scandali e ribellioni nel mondo del diritto d’autore, anche in ragione di recenti sentenze europee sull’equo compenso e su antiche accuse di nepotismo, nonché sulla cessazione presidenziale di Gino Paoli per evasione fiscale, la SIAE comunque resta un caposaldo del mondo creativo che, in tempi recenti, sta trovando nuovi concorrenti, piattaforme private gratuite che consentono di registrare la propria opera e tutelarla. La SIAE a marzo 2015 ha scelto, per sostituire il suo «cielo in una stanza», Filippo Sugar, figlio di Caterina Caselli, il più giovane presidente mai eletto. Gaetano Blandini è il direttore generale, e risponde alle nostre domande per orientarci su un mercato sempre più complesso e competitivo.

Domanda. La SIAE ha un compito molto difficile, quasi impossibile: quello di combattere i download irrefrenabili e la pirateria e di tutelare il diritto di autore. In che modo lo fa?
Risposta. Siamo impegnati in prima linea per un mercato più equo e per la giusta remunerazione dei creatori di contenuti. Recentemente il mercato musicale ha registrato il sorpasso dello streaming sui download e SIAE si sta muovendo per la massima tutela anche in tal senso. Stiamo sviluppando un sistema tecnologico avanzato per gestire l’enorme volume di dati generato dalle licenze musicali online. Gli aventi diritto potranno così ricevere informazioni dettagliate sull’utilizzo delle loro opere anche sulle piattaforme digitali.

D. Perché gli autori tendono a riversarsi sul mercato libero senza iscriversi alla SIAE e utilizzando forme parallele di licenze «libere», assistendo peraltro al proliferare di nuovi operatori di protezione come Soundreef o come la nuova piattaforma web gratuita Patamu, startup che ha raggiunto quota 11 mila iscritti e protetto oltre 31 mila contenuti?
R. Non è così! Gli autori credono nella nuova SIAE e ciò è confermato dai dati. Nel 2015, abbiamo registrato 7.336 nuovi iscritti e per fine 2016 prevediamo di superare le 7.500 nuove adesioni. Siamo anche soddisfatti della significativa diminuzione del numero di dimissioni registrato negli ultimi due anni, segno di una rinnovata fiducia nella Società. Nel 2015 i dimissionari sono scesi a 734, ossia del 24 per cento rispetto all’anno precedente, e per il 2016 ad oggi ne abbiamo solo 332. Contiamo oltre 83 mila associati tra autori ed editori, di cui oltre 1.100 sono stranieri. La nostra Società è senza scopo di lucro, l’unico obiettivo è la tutela degli associati in Italia e all’estero. Gestiamo un repertorio di circa 45 milioni di opere e non facciamo alcuna discriminazione tra artisti popolari o meno popolari, giovani o meno giovani in tutti i settori della cultura. Il nostro lavoro non è paragonabile a quello di altre società a scopo di lucro. La SIAE collabora con più di 150 società di «collecting» internazionali ed è la settima nel mondo in termini di incassi. Siamo nel «board of directors» della CISAC (la Confédération Internationale des Sociétés d’Auteurs et Compositeurs, ndr), il più importante organismo globale che riunisce le società che tutelano il diritto d’autore a livello internazionale.

D. Recentemente gli under 30 possono iscriversi alla SIAE gratuitamente, ma la quota di iscrizione per gli altri risulta essere tra le più alte d’Europa. Come mai?
R. Gli under 31 e le startup editoriali, che operano da meno di due anni, possono iscriversi gratuitamente alla SIAE e hanno diritto di voto. Dal gennaio 2015 ad oggi si sono associati 6.589 nuovi giovani autori. Chi paga la quota associativa partecipa alla vita dell’associazione. Con una quota minima si può dare mandato. La tutela è la medesima ma non si concorre ad eleggere o essere eletti negli organi sociali.

D. Resta il monopolio in Italia non toccato con la direttiva Barnier, e restiamo l’unico caso europeo oltre alla Repubblica Ceca. Lo considera essenziale? Perché? Lo stesso ministro culturale Dario Franceschini ha fatto dietrofront e si è espresso più recentemente in favore della liberalizzazione del mercato.
R. È semmai vero il contrario. Il ministro è stato in giro per l’Europa e ha verificato che l’interesse di autori e utilizzatori è in associazioni come la SIAE. In Europa esistono altri monopoli legali oltre quelli citati, e molti altri sono monopoli di fatto. In quasi tutti i Paesi europei esiste, infatti, una sola società di riferimento per la gestione dei diritti musicali. Negli Stati Uniti – unica significativa eccezione nel mondo occidentale dove esistono più società di collecting musicale – lo US Copyright Office a febbraio 2015 ha fornito linee guida finalizzate a favorire l’aggregazione rispondendo così alle moltissime lamentele degli autori Usa che subiscono forti discriminazioni e differenti remunerazioni in base alle società di appartenenza. Il ministro Franceschini, come detto, si è posizionato in una visione strategica che SIAE condivide. Il futuro del diritto d’autore si gioca a livello internazionale perché le nuove piattaforme di distribuzione dei contenuti non sono più locali ma globali, vedi Google, Apple, YouTube, Spotify. Di fronte a questi distributori di contenuti globali, è chiaro che gli autori devono unirsi più che disperdersi.

D. In che modo funzionano le ripartizioni dei diritti? Per esempio, perché un brano trasmesso in pubblicità non porta introiti al suo autore?
R. Per ogni pubblicità l’autore incassa i diritti di sincronizzazione con una negoziazione diretta, perché SIAE non intermedia da Statuto tali diritti. Incassiamo da tutti i canali di utilizzazione del repertorio: radio e tv, multimediale online, live, cd e dvd, estero. Stipuliamo circa 1,2 milioni di contratti di licenza all’anno con oltre 500 mila utilizzatori sul territorio. Controlliamo oltre 35 mila eventi musicali a settimana rendicontando il repertorio suonato in ciascuno.

D. In che modo internet e YouTube hanno inciso sull’economia della SIAE, considerato che si è reso più facile l’accesso al pubblico e impossibile il controllo dei diritti?
R. Nel 2015 abbiamo registrato un fortissimo aumento degli incassi relativi alla multimedialità, pari al 47,4 per cento: un risultato questo ottenuto anche grazie al consorzio Armonia, hub internazionale che riunisce 9 società di collecting per la gestione centralizzata delle licenze online, di cui SIAE è tra i fondatori. All’epoca di YouTube, Spotify e delle altre piattaforme digitali, la partita del diritto d’autore si gioca sul piano internazionale e SIAE è l’unico soggetto in Italia in grado di negoziare con i digital service provider e rilasciare licenze multi-territoriali.

D. La SIAE Card dà alcune facilitazioni agli associati. Perché non estenderle a sconti sui concerti, teatri etc.?
R. I servizi che offriamo ai nostri iscritti sono in costante aggiornamento. A giugno abbiamo siglato un accordo importante con la Società di Mutuo Soccorso Cesare Pozzo che dà la possibilità agli associati SIAE di sottoscrivere piani di assistenza sanitaria integrativa a condizioni particolarmente vantaggiose. Le convezioni previste da SIAE Card spaziano da servizi assicurativi, alberghi e viaggi a servizi utili alle attività professionali di molti associati come studi di registrazione e aziende che vendono strumenti musicali. Dobbiamo fare certamente meglio, ma in questo le nostre forze sono più concentrate sulla digitalizzazione della nostra Società; questa è una priorità anche per i nostri associati.

D. Quali le principali differenze tra i sistemi di protezione di diritti in Europa e nel mondo rispetto alla SIAE?
R. La Direttiva 2014/26/UE «sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multi-territoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno» ha l’obiettivo di armonizzare gli ordinamenti nazionali. In particolare, la Direttiva è intervenuta sull’assetto e la governance degli organismi di gestione, che devono essere controllati dai propri membri, come è già per SIAE, e sulla promozione di licenze multiterritoriali dei repertori. Il legislatore, di fatto, incentiva le società di collecting ad aggregarsi e a porsi some soggetto unico per gli utilizzatori. La SIAE è già da tempo perfettamente coerente con la Direttiva in questione, il nostro Statuto è stato riscritto nel 2012 proprio sulla base delle linee guida contenute nella allora prima Proposta di Direttiva.

D. Riguardo agli scandali sulle accuse di «nepotismo» – la SIAE era stata definita dai media un «ufficio di collocamento famigliare» – cosa è cambiato?
R. Credo si tratti di un’idea di SIAE falsata e non più corretta, di almeno 10 anni fa. In particolare nell’ultimo quinquennio SIAE ha ridotto i costi globali di circa 9 milioni di euro, pari al 4 per cento sul totale, il costo del personale si è ridotto di circa 10,5 milioni, pari all’11 per cento, i compensi dei mandatari sono diminuiti di 4 milioni, ossia dell’8,8 per cento, pur mantenendo il livello di servizio sul territorio. I costi di gestione e funzionamento sono diminuiti di 4 milioni, ossia del 17 cento. Negli ultimi anni SIAE ha destinato oltre 25 milioni all’attuazione del Piano strategico incentrato sulla definizione dei contratti di lavoro, sull’organizzazione e ottimizzazione dei processi in chiave digitale. Anche l’organico si è ridotto di oltre 120 risorse, pur garantendo i livelli occupazionali e favorendo la stabilizzazione di 115 dipendenti, per lo più giovani, selezionati da Università e Conservatori italiani.

D. In che modo la sua direzione si sta muovendo per dare più efficienza e credibilità all’azienda?
R. Anzitutto la governance di SIAE è affidata ad organi eletti dagli associati, ovvero l’Assemblea, il Consiglio di sorveglianza, il Consiglio di gestione e il Collegio dei revisori. Nell’ambito del Consiglio di sorveglianza sono costituite cinque commissioni consultive: Musica, Lirica, OLAF, Cinema e DOR. Negli ultimi anni SIAE ha destinato oltre 25 milioni di euro all’attuazione del Piano strategico incentrato sulla definizione dei contratti di lavoro, sull’organizzazione e ottimizzazione dei processi in chiave digitale. Il 15 luglio 2015 è stato lanciato il nuovo sito istituzionale SIAE, ed in contemporanea è stato creato un portale online dedicato alle feste private, semplificando anche l’impianto tariffario per i trattenimenti privati. Abbiamo attivato «mioBorderò», il portale del borderò digitale che consentirà di sostituire 1,4 milioni di borderò cartacei – tanti sono infatti i borderò che ogni anno SIAE riceve e lavora – con un evidente vantaggio anche dal punto di vista logistico ed ecologico. Abbiamo lanciato inoltre il nuovo Portale Autori ed Editori. Dal lato del cinema e della musica sono stati conclusi significativi accordi con importanti broadcaster che, dopo un lungo periodo, sono usciti da un sistema di proroga di contratti scaduti. Le nuove licenze sono state allineate alle attuali ed effettive utilizzazioni di repertorio, generando un significativo aumento degli incassi cinema e un incremento di quelli musica. Nel 2015 inoltre abbiamo stanziato i fondi per lo sviluppo del progetto Agenda Digitale, per un investimento totale di 16 milioni di euro.

D. Può indicare gli ultimi dati di bilancio e le previsioni per i prossimi mesi?
R. SIAE ha chiuso il 2015 con un fatturato di 782 milioni di euro, ossia con un aumento del 14 per cento rispetto al 2014, 724 milioni dei quali provenienti dal diritto d’autore e altri servizi di intermediazione per un incremento del 16 per cento. Questi dati confermano come oggi la Società sia una realtà radicalmente diversa dal passato, in grado di confrontarsi sui mercati globali con tutte le più importanti collecting estere. Il 2015 ha confermato la netta inversione di rotta di SIAE rispetto al passato, con un incremento del fatturato complessivo di circa 100 milioni di euro e un utile netto pari a 0,3 milioni di euro.

D. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha dichiarato l’illegittimità della disciplina italiana in materia di copia privata nella parte in cui impone di versare un «equo compenso» anche a chi acquista supporti e dispositivi per uso professionale, aggiungendo che la SIAE non poteva assolutamente sostenere di aver maturato la convinzione che la normativa in esame nel procedimento principale fosse conforme al diritto dell’Unione europea. In che modo sarà risolta la questione dei rimborsi?
R. La sentenza della Corte di Giustizia non mette in alcun modo in discussione la legittimità della copia privata né mette in discussione l’intero decreto Bondi o la correttezza dell’operato di SIAE. La Corte di Giustizia ha ritenuto che fosse incompatibile con la Direttiva europea esclusivamente un articolo, l’art. 4 dell’allegato tecnico del cosiddetto decreto Bondi del 30 dicembre 2009, per una parte, quindi, squisitamente tecnica e limitata negli effetti. L’incompatibilità, in particolare, discende dall’assenza nella disciplina della copia privata – per il resto confermata e rafforzata – di criteri predeterminati che indichino i casi di esenzione ex ante e cioè i casi in cui debba certamente riconoscersi, ex ante appunto, un utilizzo dei «device» manifestamente estraneo alla copia privata. Si tratta di una decisione che SIAE ovviamente rispetta e saluta con favore, posto che la fissazione di criteri ancora più precisi non potrà fare altro che rendere più agevole il lavoro di chi, come noi, opera nell’esclusivo interesse di autori, editori e degli stessi interpreti esecutori che giustamente ricevono, anche per il mezzo della copia privata, il legittimo compenso del proprio lavoro. SIAE è dunque pronta ad adeguare immediatamente la propria attività alle eventuali disposizioni che il Ministero vorrà adottare in materia, così come è pronta ad adeguarsi alle decisioni che il Consiglio di Stato vorrà adottare in ragione dei principi sanciti dalla Corte di Giustizia.

La SIAE conferma il proprio impegno contro il «secondary ticketing», fenomeno che danneggia gravemente i consumatori e i titolari del diritto d’autore. Il Consiglio di gestione ha approvato all’unanimità la modifica dell’art. 13 del «Permesso Spettacoli e Trattenimenti», inserendo una clausola che fa espresso divieto al titolare del permesso di fornire ticket di ingresso a piattaforme online e siti web del cosiddetto mercato secondario. Così la SIAE ha rafforzato il divieto alla rivendita dei biglietti a prezzo maggiorato rispetto a quello ufficiale.  La Società ha presentato un ricorso d’urgenza al Tribunale Civile di Roma e ha interessato della questione anche l’Agenzia delle Entrate per attività mirate volte a combattere un fenomeno che rappresenta un freno inaccettabile alla crescita economica, oltreché alle opportunità di lavoro nel settore dello spettacolo e della cultura.

La Società Italiana degli Autori ed Editori, in collaborazione con autori, artisti e operatori dello spettacolo, ha lanciato inoltre la petizione #noSecondaryTicketing, per tutelare i diritti dei propri associati e dei consumatori (soprattutto i più giovani) che si ritrovano a pagare anche fino a 10 volte in più i ticket di ingresso sul mercato parallelo. Il testo della petizione recita: «I concerti rappresentano un’occasione importante non solo per gli artisti che incontrano il loro pubblico ma anche per tutti coloro che lavorano con professionalità e passione alla riuscita dell’evento. Come autori, artisti e operatori dello spettacolo, siamo uniti contro chi specula sulla rivendita dei biglietti dei concerti attraverso alcuni siti web di secondary ticketing, una forma di ‘bagarinaggio online’. Il mercato secondario danneggia tutta la filiera, favorendo l’evasione e frenando opportunità di lavoro e di crescita economica nel settore dello spettacolo e della cultura. Siamo dalla parte del nostro pubblico che si ritrova ingiustamente a pagare anche fino a 10 volte in più i ticket di ingresso a causa di questo fenomeno. Promuoviamo la trasparenza del mercato e sosteniamo tutte le organizzazioni che danno valore al nostro lavoro e rispettano i consumatori. Per questo chiediamo l’abolizione del secondary ticketing attraverso l’oscuramento di tutte le piattaforme online che speculano sulla rivendita dei biglietti».

Continuano intanto le adesioni alla petizione, già sottoscritta da molti musicisti. In merito all’emendamento alla legge di bilancio per contrastare il fenomeno, presentato a novembre dal Governo, il presidente SIAE Filippo Sugar ha dichiarato: «Prendiamo atto con soddisfazione dell’emendamento alla legge di bilancio presentato dal Governo alla Camera dei Deputati per contrastare il secondary ticketing. La SIAE è già intervenuta nei giorni scorsi sollecitando regole chiare per la trasparenza del mercato della musica dal vivo a tutela dei consumatori, degli autori e di tutti coloro che operano nel settore, anche lanciando una petizione che è stata sottoscritta da tutti i più importanti autori italiani. Esprimo un particolare apprezzamento per l’intervento del ministro Dario Franceschini volto a stroncare un fenomeno intollerabile come quello del bagarinaggio online».      (Romina Ciuffa)




REPORTAGE AMATRICE: FLY ROMA, QUEI VOLI SOLID-ALI

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Originale contributo quello del Fly Roma, campo di volo a est di Roma tra i più noti nel centro Italia. Il suo presidente Italo Marini ha promosso un’iniziativa di solidarietà per Amatrice indicendo due giorni di volo per tutti. I piloti iscritti all’Associazione, e molti altri giunti da fuori per dare aiuto fattivo, sono montati sui propri aerei ed elicotteri per far volare i visitatori dell’aviosuperficie, che sono giunti numerosi ed hanno apprezzato enormemente l’iniziativa. In questo modo è stata data la possibilità a tutti di provare il volo, in aeroplano e in elicottero, a prezzi bassissimi; le spese del carburante e della manutenzione dei velivoli sono state tutte a carico dei piloti, che dunque hanno contribuito non solo operativamente bensì anche economicamente, e in questo modo sono stati raccolti i fondi destinati alle popolazioni colpite.

Le due originali giornate hanno previsto anche la presenza di cavalli trainati da carrozze, grazie al contributo di Pasquale Macchione e dei suoi collaboratori, che hanno reso la giornata ancora più originale e speciale. Altri fondi sono stati raccolti attraverso un bar ed un ristorante, creati per l’occasione, in modo da coinvolgere anche convivialmente gli ospiti dell’aviosuperficie. Italo Marini ha dichiarato: «Sono molto soddisfatto  del risultato, ma potremmo tutti i giorni fare di più. Volando, siamo sempre attaccati al cielo e ci piace pensare di avvicinarci a nostro modo alle tante vittime del sisma, toccando il cielo mentre la terra trema. Ma quando atterriamo, dobbiamo esser vicini a coloro che sono salvi». (ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – Novembre 2016

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REPORTAGE AMATRICE. MARCO PEZZOPANE: ECCO COME I GIOVANI IMPRENDITORI ITALIANI AIUTANO AMATRICE

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Papa Giovanni XXIII aveva detto: «Molti oggi parlano dei giovani; ma non molti, ci pare, parlano ai giovani». Eppure hanno molto da dire, e da fare. Possono fare tanto di più, peraltro, animati da un senso della vita più vincente, costruito sulle credenze e sui valori, ma soprattutto sull’età che dà loro la forza di lottare di più. Così, ad Amatrice, molti sono stati i giovani che si sono impegnati a risolvere problemi, di ogni tipo e natura. Ne scegliamo uno che ne rappresenta molti, Marco Pezzopane, presidente del Gruppo dei Giovani Imprenditori di Rieti, che dal giorno del sisma lavora per alleviare le sofferenze pratiche delle popolazioni del luogo, di sua competenza territoriale. Aquilano, ha già provato sulla sua pelle cosa sia un terremoto a casa propria. La raccolta fondi dei Giovani Imprenditori di tutta Italia è avvenuta ed avviene giornalmente attraverso eventi e gruppi su WhatsApp, nelle forme più moderne, ma anche con la presenza costante sul posto. Questi under 40 hanno contribuito a far giocare i bambini della scuola amatriciana e sono intervenuti pragmaticamente su ogni esigenza fatta loro presente, per il tramite di Pezzopane, dal Centro operativo comunale di Amatrice.

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Domanda. Innanzitutto, cos’è il Gruppo Giovani Imprenditori?
Risposta. Il Gruppo riunisce tutti coloro che hanno un’età inferiore ai 40 anni ed hanno un’azienda propria o sono figli di imprenditori e figure analoghe. Le nostre attività sono tendenzialmente legate al mondo della scuola e delle start up che hanno avuto uno sviluppo dovuto principalmente a fenomeni di «social networking», e che si coadiuvano e creano eventi per cercare di favorire l’incontro con le aziende ed il mondo produttivo in generale.

D. In che modo affrontate i problemi della scuola?
R. Storicamente il Gruppo Giovani, al fine di favorire un giusto rapporto tra gli studenti e il mondo del lavoro, va presso le scuole e cerca di diffondere quella che è la cultura d’impresa, ossia le necessità che le imprese hanno quando cercano personale. La scuola per oggetto sociale non riesce a dare quel tipo di informazioni, quindi molto spesso quando ci troviamo a fare dei colloqui troviamo persone impreparate che non sanno relazionarsi con chi vuole loro offrire un lavoro, così ampliamo la conoscenza scolastica su come promuovere se stessi affinché l’addetto alle risorse umane nell’ambito di un colloquio lavorativo possa prendere in considerazione la professionalità di chi si propone. E sebbene la professionalità per un giovane che è entrato da poco nel mondo del lavoro non è in effetti presente, ci sono delle caratteristiche che si possono mettere in evidenza.

Schermata 2016-10-31 a 19.19.28D. Da quanto tempo esiste il Gruppo dei Giovani Imprenditori?
R. Da quarant’anni. Il Gruppo fa sempre capo a Confindustria a livello nazionale, e tutte le Confindustrie a livello territoriale hanno le proprie sedi. Il primo presidente nazionale del Gruppo dei Giovani Imprenditori è stato Luigi Abete, nel 1976.

D. Come si svolgono le attività a livello nazionale?
R. Teniamo grandi eventi, come quello di Santa Margherita Ligure e il congresso di Capri, due momenti molto importanti nei quali noi giovani imprenditori portiamo istanze che a volte sono di rottura, a volte sono propositive, cioè chiediamo alla parte istituzionale che cosa vorremmo che il Governo facesse per favorire l’imprenditoria giovanile e, in generale, la crescita del Paese. A livello territoriale cerchiamo di replicare quello stesso modello organizzando eventi che possano stimolare le istituzioni regionali e locali affinché si compia la promozione dell’imprenditori giovanile, tanto è vero che molti risultati li abbiamo ottenuti proprio essendo di supporto all’attività istituzionale dei Governi che quotidianamente ci accompagnano nella nostra vita. Operiamo come Unindustria, che è stata la prima Confindustria a livello locale su base regionale: inizialmente per ogni provincia c’era una Confindustria, mentre ora, con la sparizione delle province e la modifica del titolo V della Costituzione, i nostri senior hanno avuto l’intuizione di ammettere che relazionarsi con l’istituzione locale non aveva più senso perché tantissime funzioni solo sono in capo alla Regione, ed ha creato un’unica Confindustria locale, però su base regionale, spostando sulle Regioni il livello di rappresentanza. Così ad oggi il presidente di Unindustria, attualmente Filippo Tortoriello, porta le istanze di tutti i territori del Lazio direttamente al presidente della Regione, Nicola Zingaretti, cosa che prima era più difficile perché non era tra i due ruoli riconosciuto lo stesso grado istituzionale trovandosi su due piani diversi, uno regionale ed uno locale. È stata una grande rivoluzione che si riflette anche sul nostro statuto; anche le altre Confindustrie locali si stanno aggregando per innalzare il livello delle relazioni tra Regioni e la Confindustria a livello regionale.

D. All’ultimo vostro recente congresso tenutosi a Capri avete parlato di Amatrice. In che termini?
R. Ne abbiamo parlato formalmente e abbiamo portato avanti la nostra raccolta fondi. Subito dopo il terremoto, con il presidente regionale Fausto Bianchi abbiamo deciso che la nostra associazione benefica «Impresa da bambini» diventasse l’organo interregionale, ovvero nazionale, di raccolta fondi per tutti i giovani imprenditori d’Italia. L’associazione è nata per fare opere di beneficienza all’interno della Regione Lazio. Grazie a questa iniziativa in tutti gli eventi locali, regionali e nazionali del Gruppo siamo in grado di portare avanti la nostra raccolta fondi, e in una lettera il presidente nazionale dei Giovani Imprenditori di Confindustria Marco Gay dichiara che parte di questi fondi andranno ai bambini delle popolazioni terremotate. Stiamo valutando alcuni progetti che ci sono stati proposti. Una volta terminata la raccolta fondi vedremo a quanto ammonterà il nostro budget e ne disporremmo parte a favore di Amatrice, Accumoli e Arquata. A dicembre terremo l’evento «Interregionale del Centro», una «macroconfindustria» che riunisce le 4 regioni centrali Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo, e parleremo di alcuni temi anche relativi al sisma, oltre ad effettuare ancora una volta una raccolta fondi da destinare a «Impresa da bambini».

Schermata 2016-10-31 a 19.20.19D. Quali progetti specifici avete adottato per Amatrice?
R. Il progetto che è nato subito dopo il terremoto è «Adotta una scuola», attraverso il quale ci impegniamo per apportare benefici all’attività scolastica rivolta specificamente ai bambini. Le cose da fare qui sul territorio sono tante, è chiaro che noi ci dedicheremo ad un piccolo aspetto, il mondo della scuola, ma daremo anche visibilità all’esterno; il 13 settembre in occasione dell’apertura dell’anno scolastico ad Amatrice è venuto il presidente Marco Gay, ed ha incontrato il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini, il commissario straordinario Vasco Errani, il sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi, ed è stato un momento di condivisione e di sostegno verso queste popolazioni. In particolare il Gruppo del Lazio ha fatto una buona raccolta e da subito si è attivato il nostro supporto avendo io un contatto con il Coc: il Centro operativo comunale mi indicava le necessità più urgenti e noi provvedevamo, ad esempio nel fornire gasolio, acqua potabile, cartoleria di vario genere per le scuole, frigoriferi e congelatori. Nel giro di 48 ore consegnavamo il tutto. Siamo stati i primi a portare, come Gruppo Giovani di Confindustria, delle cose qui ad Amatrice, e il presidente nazionale è stato il primo a venire qui nei territori a prendere coscienza della portata del sisma.

D. Come avete provveduto alla consegna del materiale alla scuola?
R. C’è stata un’assoluta vicinanza da parte di tutti, ho ricevuto supporto e disponibilità, è stato un movimento spontaneo venuto dal cuore verso le popolazioni colpite, e quando abbiamo consegnato i giocattoli ai bambini è stata un cosa stupenda e commovente. Il mio lavoro è stato quello di organizzare e di seguire l’evolversi delle situazioni, quindi coordinare al più possibile le richieste che venivano dal Coc e poi, con l’apertura dell’anno scolastico, procedere alla raccolta dei giochi e fare sì che tutto potesse funzionare. Trascorrevo ad Amatrice quattro giorni a settimana per vedere come procedevano i lavori a scuola.

D. Avete coinvolto il sindaco?
R. Sergio Pirozzi sarà ospite a Capri in videoconferenza, perché l’idea è quella di mantenere l’attenzione alta su queste zone, anche perché la fase post terremoto non è finita, anzi, è appena iniziata.

D. Quanti giovani siete?
R. Sul Lazio siamo circa 220 iscritti, ma siamo tutti coinvolti, non solo noi del Lazio.

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D. Lei, aquilano, ha vissuto due terremoti. Ha notato delle differenze particolari?
R. Differenze non ce ne sono, noto solo una grandissima forza di volontà e un carattere forte delle popolazioni, anche se la ricostruzione sarà un processo che li accompagnerà per molto tempo.

D. Per quanto riguarda la prevenzione cosa ha da dire?
R. Sulla prevenzione io auspico che parta il progetto di Casa Italia, che è stato ipotizzato e che è necessario. Se per le macchine ogni quattro anni è obbligatoria la revisione, perché non dovrebbe esserlo anche per la casa? Questo è il dilemma che si è posto il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, in realtà è una cosa di buon senso perché bisogna creare la cultura della sicurezza, bisogna avere la coscienza che la casa in cui viviamo è a tutti gli effetti sicura.

D. Sono i giovani che devono maggiormente inserirsi in questo processo di evoluzione culturale.
R. Se noi siamo ancora di più parte diligente in questo percorso, sicuramente la generazione che verrà dopo noi ne avrà giovamento.

D. Ma non si capisce perché questo non è stato ancora fatto.
R. Guardiamo avanti. Io non guardo nello specchietto retrovisore. Non è stato fatto? Va bene, ma guardiamo avanti. Non significa che da oggi non si possa fare.

D. Le istituzioni hanno reagito bene dal suo punto di vista?
R. Sì, ritengo ci sia stata una buona risposta e si sente che c’è una grande sensibilità, e questo aiuta.

(di ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – Novembre 2016

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REPORTAGE AMATRICE. SINDACO SERGIO PIROZZI: NON PARLIAMO DI IERI NÉ DI OGGI, PARLIAMO DI DOMANI

Schermata 2016-11-02 a 13.58.34Sergio Pirozzi, sindaco di Amatrice, allenatore di calcio, parla non di «terremotati» ma di «sfrattati a tempo», perché guarda al futuro e sa che questa è solo una situazione transitoria. Al suo secondo mandato. I morti non torneranno in vita, ma Amatrice risorgerà. Lo incontriamo al Coc, il Centro operativo comunale di Amatrice, dove si è insediato, oltre il sindaco, il gruppo emergenza, cuore pulsante del coordinamento del lavoro di tutti i soccorritori e degli addetti alla gestione post sisma in loco.

Domanda. Sono appena stati stanziati 35 milioni di euro per l’emergenza e già altri 220 milioni per la ricostruzione. Pensa di aver ottenuto il giusto?
Risposta. Il decreto è stato importante perché ha tenuto conto di un fattore economico del territorio. Mi riferisco al mondo delle seconde case che ad Amatrice era predominante poiché su 6.200 abitazioni ben 5 mila erano seconde case, per cui tutto quello che era il mondo economico si reggeva su chi veniva qui nei periodi estivi e in quelli invernali. Feci presente subito che era imprescindibile, nella fase di attuazione del decreto, che si tenesse conto di questa realtà, per cui aver strappato la contribuzione al 100 per cento sia per le prime che per le seconde case è un punto di partenza. Dissi che, se non si fosse intervenuti in tal senso, sarebbe stato utile ricevere il TFR in modo da andare via tutti.

D. Quanto serve?
R. Quattro miliardi e mezzo, tre miliardi e mezzo per i privati e un miliardo per gli edifici pubblici; gli aiuti che arrivano a noi sono per il sostegno alla gente.

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D. È stato anche un grande danno all’economia. Com’è tutelata?
R. Nel decreto per la prima volta si sono considerate le strutture temporanee, parlo del mondo dell’imprenditoria e del commercio che non c’è più avendo noi perso il 92 per cento delle attività, le quali erano tutte all’interno del centro storico. Con questo decreto sarà lo Stato a farsene carico. Noi siamo partiti immediatamente con la scuola, mentre la consegna delle case a tempo dovrà avvenire a Pasqua, ma dobbiamo riattivare tutto il tessuto economico. L’intervento deliberato dal Governo è stata una vittoria: non è mai stato un assalto alla diligenza, bensì un fatto che partiva da un’esigenza di chi vive la realtà e sa quali sono le problematiche e come devono essere affrontate. È chiaro che senza questo decreto oggi saremmo via tutti.

D. Invece così è più probabile che rimaniate tutti, e che tornino coloro che si sono spostati in altri Comuni.
R. Rimangono i residenti, tornerà il mondo delle seconde case, che veniva qui ad Amatrice perché c’erano servizi, commercio, artigianato e molto altro.

D. Era una cittadina molto attiva?
R. Sì, contava più di 1.200 posti letto tra alberghi, bed and breakfast, agriturismi, era un mondo in crescita, da poco era ripartito anche il caseificio che era stato chiuso 5 anni fa. Adesso la sfida sarà ricostruire bene. Se non ci fossero state queste misure, che io avevo caldeggiato dall’inizio, sarebbe stata la morte di Amatrice.

D. È stato facile ottenerle?
R. Erano logiche. Bisogna avere la capacità di chiedere il giusto, questo era un elemento indispensabile grazie al quale abbiamo ottenuto quanto spettava. Ci siamo visti parecchie volte con il commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani per trattare questi argomenti.

Schermata 2016-11-02 a 13.57.54D. In questo momento come funziona Amatrice?
R. Al momento non c’è più niente, la gente lavora alla ricostruzione. Ho portato al Consiglio comunale un regolamento per dare un contributo a chi ha perso tutto, e parlo del mondo che non ha tutele come quello delle partite Iva e dei commercianti, regolamento che prevede per tali categorie un contributo fino a Pasqua, quando saranno consegnate le case temporanee.

D. Ci sono ancora degli sciami sismici?
R. Sì, ma siamo abituati.

D. Se siete abituati, perché non c’era prevenzione?
R. Su questo argomento di stupidaggini ne ho sentite tante. Qua sono crollati gli edifici pubblici, ma anche tantissimi privati. È stato un terremoto la cui portata è stata la più elevata degli ultimi 400 anni: a noi il terremoto de L’Aquila, che abbiamo sentito, non aveva fatto niente. È facile parlare di prevenzione, ma la verità è che qui c’è stato un evento catastrofico che ha fatto 236 morti, e nella cosiddetta «zona rossa» non è rimasto più niente.

D. Lei ha perso la casa?
R. No, ha riportato solo alcuni danni. Io abito in periferia, ma comunque in una zona attaccata al centro. Ho perso però tanti amici, non ho l’acqua calda, non ho il metano, ma questo non è un problema individuale, è un problema di tutti, e in questa fase bisogna convivere con tutte le problematiche.

D. Nessuno nasce sindaco di una città terremotata.
R. Io preferisco dire «sfrattato a tempo», perché se sei terremotato lo sei per tutta la vita. Noi vogliamo cambiare e riportare in vita Amatrice.

D. Quali sono le prospettive?
R. Qui c’è da ricostruire tutto, ma dopo la morte c’è sempre una vita e questa potrebbe essere anche l’occasione per una rinascita, per una presa di coscienza collettiva, per rendere più bella Amatrice di com’era. Ci vorrà tempo, ci vorrà pazienza, ci vorrà amore, ci vorrà la capacità di non mettere il problema personale davanti al problema collettivo. Dobbiamo fare come i nostri padri, che sono stati artefici della rinascita dell’Italia dopo la guerra mondiale: se ci sono riusciti loro, perché non dovremmo riuscirci noi?

D. Sulla tempistica per la consegna dei moduli abitativi lei ha dato il termine di Pasqua: sarà rispettato?
R. Sì, anche perché a Pasqua c’è il giorno della resurrezione, e non c’è modo migliore per rispettarlo. Ci saranno moduli abitativi di emergenza fatti bene, ma per la vera ricostruzione ci vorrà tempo.

Amatrice scatti Romina Ciuffa

D. La struttura del Coc, il Centro operativo comunale, costituisce al momento il punto di riferimento della popolazione. È stata messa in piedi per l’occasione?
R. La struttura già c’era ed ospitava la sede del Liceo scientifico, adesso è invece stata adibita alle esigenze dell’emergenza. Abbiamo solo questo, ma stanno consegnando altri moduli e ne faremo un ufficio ad hoc in cui io possa lavorare meglio.

D. Cosa sta imparando da Amatrice?
R. In questa fase la grande lezione per tutti è questa: noi giornalmente andiamo a duemila e non diamo il giusto valore a tante cose. Dopo questa esperienza riusciremo ad apprezzare tante piccole cose come ad esempio la doccia, l’acqua, un paio di scarpe, io mi sono sognato per quindici giorni la Coca Cola. In un mondo dove tutto si consuma ad una velocità eccessiva e non si dà valore a niente, forse questo è stato un grande insegnamento per me e mi auguro che sarà per i miei figli e per le giovani generazioni, perché in un attimo puoi perdere tutto quello che hai creato in una vita. La sera da solo, quando vado a letto, mi salgono i ricordi. Questo era un Comune con 100 mega in fibra, wi-fi gratuito, la raccolta differenziata era al 63 per cento, eravamo uno dei borghi più belli d’Italia. Se si è sindaco di una piccola comunità poi, si conoscono tutti, e coloro che sono morti per me non erano numeri, erano il fornaio, il macellaio, l’amico d’infanzia, il barbiere. Io non so se questa esperienza mi renderà migliore, ma sicuramente è un grosso bagaglio.

D. Tutti i contributi delle raccolte fondi arrivano davvero?
R. Noi abbiamo un conto corrente dedicato per l’emergenza terremoto, altri versamenti vanno direttamente sul fondo della Protezione Civile che è stata molto presente. Sono successe cose straordinarie, una fra tante: un ristoratore di New York, emigrato italiano, ha fatto una serata a base di pasta all’amatriciana, che è il nostro piatto, ed è venuto personalmente a consegnarmi un assegno di 3 mila dollari americani.

D. Chi ha perso tutto dove si trova adesso?
R. Tanti qui sono andati nelle seconde case che erano agibili, ma c’è un profondo senso di appartenenza al territorio.

D. I media come si comportano?
R. Ho letto poco perché qui non ci arrivano i giornali, anche perché le edicole non ci sono più. Io per primo ho perso la mia edicola-cartoleria. Ma è meglio non leggere, perché se leggi ti viene il sangue cattivo e invece devi essere concentrato non sul passato e sul presente, ma direttamente sul futuro. Ho avuto la fortuna di non leggere i giornali.

D. Il Trentino ha fatto la scuola. Come mai arriva da lì questo progetto?
R. Perché mi sono sbrigato. Ad Arquata stanno ancora in tenda. Ho fatto subito la presa di possesso dell’area e ho detto che bisognava partire dalla scuola. La Regione in quei primi giorni era ad Amatrice con la sua Protezione civile, e mi sono subito accordato con loro. In questi casi non si può perdere un attimo di tempo, bisogna fare, bisogna muoversi. (ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – Novembre 2016

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