FIERACAVALLI, MARCO DI PAOLA: FISE, LO SPORT EQUESTRE È SENZ’ALTRO UNA DELLE RISORSE DA «CAVALCARE»

VIA COL VENETO – di ROMINA CIUFFA

L’arte equestre è il perfezionamento delle cose semplici (Nuno Oliveira, universalmente considerato l’ultimo dei grandi maestri dell’equitazione). Ed è anche una grande risorsa di ecosostenibilità ed educazione. Fieracavalli è l’evento di riferimento in Italia, ma per il mondo, e da ben 119 anni si tiene nella città scaligera: il binomio Verona-cavallo è un’identità culturale, storica ed economica con origini molto antiche. Difficile, se non addirittura impossibile, immaginare questa città senza i suoi cavalli, simbolo della sua essenza e della sua internazionalità. Da sempre punto di riferimento nell’allevamento e nella commercializzazione dei prodotti di allevamento equino, per questa zona geografica prima tappa storica fondamentale è il 1772, anno in cui Bibbiena progettò e seguì la costruzione del primo quartiere fieristico per cavalli, muli, asini e bardotti. Per più di 100 anni qui si svolsero concorsi ippici con relativo mercato dei migliori esemplari, fino ad arrivare alla fatidica tappa del 1898.

Quell’anno ebbe inizio la moderna storia fieristica scaligera: la prima edizione della Fiera dei Cavalli e dell’Agricoltura. Da semplice mercato equino ha subìto nel corso degli anni uno sviluppo esponenziale, diventando ufficialmente nel 1950 Fiera internazionale e affermandosi come manifestazione leader del panorama equestre mondiale. D’altro canto Verona, per collocazione geografica, si trova al centro degli assi commerciali portanti che collegano i grandi mercati europei ed è ancora oggi punto nevralgico di smistamento di merci e di persone. La presenza di questo importante appuntamento annuale ha influenzato profondamente la zona geografica di riferimento portando allo sviluppo di numerose piccole e medie imprese manifatturiere, nate inizialmente come supporto al mondo equestre e alle sue variegate attività. Fondamentale è l’abilità della manifestazione di mantenere vive le tradizioni nobili e antiche del cavallo, soprattutto a partire dal dopoguerra, momento in cui la notevole crescita economica ed agricola lo ha parzialmente emarginato dalla vita dell’uomo.

Fieracavalli è, oggi, un «catalizzatore d’interesse» per coloro che attraverso il cavallo si riconoscono in un nuovo modo di concepire la vita, legando insieme sport, arte, solidarietà, storia, tempo libero, turismo e avventura. Giunta a fine ottobre alla sua 119esima edizione, consolida il primato di manifestazione di riferimento in Europa per il settore equestre: superati anche quest’anno i 160 mila visitatori, arrivati a Verona in quattro giorni, e dall’estero il 16,5 per cento in rappresentanza di 63 Paesi. Duecento gli eventi che hanno animato i 12 padiglioni della fiera, tra gare sportive di altissimo livello come la Jumping Verona, competizioni morfologiche, discipline western, show e attività didattiche. La prossima edizione, la numero 120, è già stata fissata dal 25 al 28 ottobre 2018.

Del settore equestre parla uno dei suoi principali rappresentanti, Marco Di Paola, presidente della Fise, la Federazione Italiana Sport Equestri, fondata a Roma nel 1926.

Domanda. Fieracavalli 2017, un bilancio. Ed una previsione per il 2018, anno in cui compirà ben 120 anni. Cosa è accaduto in tutti questi anni? E soprattutto, cosa accadrà?
Risposta. Il bilancio non può che essere positivo. Fieracavalli 2017 ha dimostrato l’ottimo stato di salute del nostro movimento sportivo. Inoltre la Fiera di Verona è all’altezza delle aspettative, coma ha dimostrato anche la 119esima edizione. L’appuntamento è molto apprezzato dai nostri appassionati. Il 2018 segnerà un grande e importantissimo traguardo per Verona Fiere: dovremo aspettarci delle sorprese, ma ne parleremo a breve dopo che sarà definitivamente archiviata anche per gli addetti ai lavori l’edizione di quest’anno. La Fise e la dirigenza della Fiera lavorano a un progetto molto ambizioso.

D. Critiche a Fieracavalli provenienti dal pubblico: si torni a pensare ai cavalli e non ai panini. Il senso è: la Fiera sta diventando più un bancomat di settore, agli espositori è chiesto un «dazio» elevato, al pubblico l’entrata costa cara, e dentro le spese sono alte anche per mangiare; mentre, alla fine, i cavalli sono pochi, ed è tutto incentrato sullo «spettacolo». Questo mi è stato riferito da molti che ho ascoltato per le strade della Fiera in quei giorni. Non hanno tutti i torti. Come risponde?
R. La Fise in realtà non è direttamente coinvolta in questa fase degli aspetti organizzativi. Ritengo pertanto che a questa domanda possa rispondere la Fiera. Ritengo altresì che Fieracavalli sia ormai diventata una delle fiere più importanti al mondo, per l’offerta che propone. Ogni anno unisce in una sola settimana tutto ciò che ruota intorno al mondo del cavallo. Bisognerebbe verificare quello che succede in appuntamenti analoghi in altre nazioni, come Francia per Equita Lyon o Germania per Equitana. Non credo ci si discosti molto, anzi. Inoltre le presenze dimostrano che gli appassionati non disertano l’appuntamento.

D. Recente insediamento nella presidenza e, nel programma, un bel cambio di marcia: quale? Quali i problemi trovati irrisolti? Quale le prime azioni già compiute? Come si distinguerà il suo mandato?
R. Sicuramente un bel cambio di marcia per rendere la federazione molto più «smart» e utile a produrre servizi a tutti i tesserati. La Federazione è uscita da una gestione commissariale ma sta procedendo a passo veloce verso una definitiva ripresa. Non posso dire di aver trovato particolari criticità, se non il fatto di dover ottemperare al piano di risanamento. È certamente una difficoltà, perché siamo costretti ad accantonare annualmente delle risorse che avremmo potuto investire diversamente, ma dobbiamo seguire le indicazioni del CONI. Ciò non vuol dire che siamo particolarmente limitati nelle diverse iniziative. La nostra è una federazione florida. Siamo riusciti, infatti, ad abbattere la pressione relativa alle tasse federali sugli istruttori, sui tesserati che portano medaglie con i loro sacrifici sportivi e attraverso la riduzione delle tasse di sponsorizzazione. Stiamo lavorando al progetto delle affiliazioni, che partirà dal 2018, consentendo un abbattimento dei costi, necessario per dare respiro a chi deve occuparsi della base. Dovrebbero essere altri a giudicare, però se dovessi dire per cosa si distinguerà il mio mandato, direi certamente per aver dato vita a una federazione che sta vicino al tesserato e pronta a gestire l’ente a due velocità, stando attenta alle esigenze della base, ma anche a quelle dello sport di vertice.

D. Lo sport, tra i primi quello equestre, riveste un ruolo educativo particolare nei confronti dei giovani. Cosa fate per la formazione e l’educazione?
R. Lo sport in genere ricopre un ruolo educativo, il nostro credo abbia in questo senso un valore aggiunto, perché si pratica con un altro essere vivente: l’atleta cavallo. Stiamo lavorando al progetto di formazione e con grande attenzione a quella dei nostri educatori di base, ovvero coloro che hanno a che fare con i bambini. Attraverso il Progetto Pony Fan Club i nostri tecnici federali stanno girando l’Italia, per spiegare l’iniziativa della federazione, volta sì a incrementare i numeri attraverso la pratica dei giochi pony, ma volta anche e soprattutto all’impiego di una nuova metodologia di insegnamento. L’equitazione in quanto sport deve necessariamente modernizzarsi e adeguarsi alle esigenze dei giovani. È inutile girarci intorno. I nostri istruttori sono dei veri educatori e devono cooperare con i genitori e, perché no, anche con la scuola per la crescita dei giovani.

D. I tesserati che non praticano agonismo di vertice, ossia gli amatori, sono il 93,22 per cento e sono loro che fanno vivere tutta la federazione, ma le risorse finanziarie e tecniche dei dipartimenti è speso per servire la minima percentuale di patentati che gareggiano ad alto livello internazionale. Da una parte ciò è congruo, per dare visibilità al professionismo e al settore equestre, dall’altra è incompatibile con il senso della rappresentanza tout court. Quali misure prenderà?
R. È evidente che il ruolo principale di una federazione è quello di vincere medaglie. Delegati a questo compito, è chiaro, sono le prime squadre del nostro sport. Le vittorie sono molto utili per dare visibilità al nostro sport, basti pensare che grazie a queste siamo nuovamente presenti nelle testate giornalistiche che contano. Più media si interessano di noi. Abbiamo creato una grande base di amatori, ma non solo, basti pensare a quanti oggi tengono il cavallo a casa, nelle campagne. Il cavallo attira e avvicina tanta gente al nostro sport. È proprio grazie al fatto che la stampa ci conferisce più attenzione che la crescita del nostro sport può essere registrata anche a livello di base. Abbiamo restituito l’importanza che meritano, per esempio, a manifestazioni come le Ponyadi o Ponylandia, interamente dedicate al mondo dei giovani che sostengono il nostro sport attraverso la passione e il sacrificio. Le medaglie servono sia per assolvere alla nostra missione sportiva sia per dare più visibilità al nostro sport.

D. Come la federazione tutela le istanze delle varie categorie rappresentate?
R. La nostra è una federazione molto attenta alle esigenze dei propri tesserati. Attraverso i nostri dipartimenti dialoghiamo con i vari ministeri interessati, mi riferisco alle problematiche dei trasporti dei cavalli, della salute etc. Proprio in questi mesi stiamo lavorando a stretto contatto con il ministero della Salute per le vicende che riguardano il trasporto dei cavalli e il famoso modello 4. Sono state cambiate le regole, nell’era della digitalizzazione, i nostri dipartimenti sono a lavoro per trovare le migliori soluzioni con le varie istituzioni e poi comunicare direttamente con i tesserati.

D. Firmato l’accordo con l’Istituto per il Credito sportivo e l’iniziativa «Top of the sport». Di cosa si tratta, nello specifico?
R. Si tratta di una nuova grande opportunità di sviluppo per gli sport equestri. La nostra è stata la prima federazione a stipulare l’accordo con l’ICS dopo la presentazione alla Giunta nazionale del CONI. Si tratta di un’iniziativa che garantisce, per i prossimi tre anni, a tutte le associazioni affiliate la possibilità di usufruire di finanziamenti denominati «mutui light» della durata massima di 7 anni per un credito erogato dalla banca dello sport da 10 mila a 60 mila euro. Tutti gli affiliati potranno fare richiesta attraverso una procedura istruttoria semplificata e con la sola garanzia nella misura dell’80 per cento concessa da parte del Fondo di garanzia, fondo dello Stato in gestione al Credito sportivo. L’Istituto del credito sportivo si è impegnato a garantire finanziamenti per un importo massimo di 3 milioni di euro anche per investimenti in centri federali, impianti di preparazione olimpica e attrezzature top. Credo sia un’opportunità volta alla crescita che il nostro mondo non può farsi sfuggire.

D. È prossima l’assemblea generale della FEI, Fédération Equestre Internationale. In che modo la Fise è considerata, e quali gli argomenti che porterete alla platea internazionale?
R. Cesare Croce è il nostro rappresentante per i rapporti internazionali, quindi non solo per la FEI, ma anche per la EEF (Federazione Equestre Europea). Croce, già presidente della Fise per ben tre quadrienni, è la persona più adatta a ricoprire questo incarico, per la competenza, il carisma e la grande considerazione a livello internazionale. In FEI ha ricoperto per diversi anni anche il ruolo di presidente del Gruppo I, ovvero in rappresentanza delle maggiori federazioni d’Europa. Credo che questo basti per capire che a livello internazionale la Fise ha grandi interlocutori ed è quindi tenuta in grande considerazione. Alla prossima assemblea sono tante le argomentazioni poste dalla FEI sul tavolo di lavoro, dalle prossime Olimpiadi di Tokyo ai regolamenti delle varie discipline. L’Italia sarà in grado come sempre di dire la sua.

D. Come si distingue l’Italia nel contesto equestre?
R. Negli ultimi anni l’Italia è ritornata grande e, per via delle ottime prestazioni dei nostri atleti oggi, è una delle nazioni da battere. I nostri cavalieri sono tra i più temuti quando entrano in campo nelle gare più prestigiose. Basti pensare che mai prima d’ora un italiano ha mai raggiunto le posizioni apicali di Lorenzo De Luca, che quest’anno è stato secondo al mondo, e che proprio quest’anno disputerà la Top Ten di Ginevra (mai successo per un italiano), riservata ai migliori dieci cavalieri del mondo. De Luca e Alberto Zorzi occupano la seconda e quarta posizione del ranking del Global Champions Tour, la formula uno del salto ostacoli mondiale. È vero, il salto è la nostra disciplina principe ma abbiamo medagliati e grandi campioni anche nel dressage, con Valentina Truppa, nel volteggio, con Anna Cavallaro, nel reining, con una squadra campione d’Europa nel 2015 o con Giovanni Masi, campione europeo 2015. Insomma, il nostro è un movimento in grande crescita e i nostri atleti si fanno rispettare.

D. La Fise prende parte, insieme al CONI e Roma Capitale, al progetto di rilancio e valorizzazione di Piazza di Siena. Qual è il progetto, quali le aspettative, quali i costi, quale il vostro impegno?
R. È un progetto davvero importante per la nostra federazione, per gli sport equestri, per la città e per lo sport in generale. Abbiamo stretto un accordo che ci lega al CONI nell’organizzazione del concorso praticamente per otto anni. Abbiamo il dovere di far brillare questo evento sportivo. È questo il nostro obiettivo. Sarà la nuova era di Piazza di Siena che, insieme a Villa Borghese, per la Federazione Italiana Sport Equestri è come una seconda casa. È per questo che partecipiamo con grande passione ed entusiasmo al progetto di rilancio e valorizzazione del sito, sede del tradizionale concorso ippico capitolino. Poter contribuire al ritorno del manto erboso nell’ovale romano è per noi un motivo di grande soddisfazione. Questo magico luogo, nel pieno centro di Roma, è stato testimone della storia del nostro splendido sport. Proprio per questo abbiamo, anche noi, il dovere di prendercene cura. Abbiamo subito affrontato i costi di riqualifica e di sgombero della sabbia, adesso insieme al CONI e soprattutto con le maestranze del Comitato Olimpico partirà il progetto di piantumazione dell’erba.

D. 610 mila ettari di territorio agricolo destinati all’equitazione, il settore vitivinicolo ne occupa 770 mila: l’equitazione è una forma di economia sostenibile «poco conosciuta». Ogni cavallo genera un indotto annuo che va da 30 a 45 mila euro e l’equiturismo coinvolge 100 mila appassionati e vale 900 milioni di euro. In che modo la Fise, ed il settore, si occupano di sostenibilità?
R. Credo che il cavallo faccia da solo sostenibilità. Abbiamo un indotto che è sconosciuto ai più. Basti pensare a chi ferra i cavalli, a chi coltiva il fieno, a chi produce mangime. Tutte attività che si ricollegano al nostro mondo. Il turismo equestre è senz’altro una delle attività che bisogna «cavalcare». Abbiamo presentato il programma del nostro nuovo dipartimento Equitazione di campagna. Attraverso questa disciplina, forse la più praticata, anche al di fuori della nostra federazione riusciremo a dare ulteriore visibilità al nostro sport e lo faremo facendo capire che andare a cavallo non vuol dire solo saltare o fare lezione in maneggio, ma può voler dire ammirare le bellezze architettonico-culturali e naturalistiche ad altezza di sella. In questo l’Italia non ha nulla da invidiare a nessuno.

D. Marco Di Paola: mi parla di lei?
R. Ho iniziato a montare da bambino con Adriano Capuzzo al Pony Club Roma. Ho svolto la carriera agonistica da Junior e Young Rider sotto la guida anche di Duccio Bartalucci e ho fatto i ritiri federali ai Pratoni del Vivaro con il colonnello Raimondo d’Inzeo. Sono stato ufficiale dei Carabinieri a cavallo nel Gruppo Sportivo. Sono avvocato, e gestisco un gruppo di aziende che opera nella filiera dell’edilizia. Sono comproprietario del glorioso Pony Club Roma, comproprietario del circolo Asperteam che ho anche costruito a Roma, cavaliere amatore e proprietario con un team di amici di una scuderia di cavalli di prima squadra di salto ostacoli, affidata a Luca Marziani. Ho deciso di candidarmi alla guida della Fise perché i grandi maestri che ho avuto mi hanno trasmesso l’enorme passione per lo sport equestre. Ho deciso di dedicarmi alla crescita del nostro sport e alla costruzione di una federazione moderna e al passo con i tempi: vorrei dimostrare che siamo un movimento di gente operosa, valida, onestà e in grado di allevare, far crescere e affermare cavalieri e cavalli italiani ai massimi livelli internazionali. (ROMINA CIUFFA)

GALLERY (photocredit ROMINA CIUFFA)

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VERONA: FLAVIO TOSI, DA SINDACO A SINDACO, ECCO LA QUARTA GAMBA DEL CENTRODESTRA

VIA COL VENETO – di Romina CiuffaCapuleti e Montecchi, il clima a Verona è simile. L’amore non c’entra. Un nuovo sindaco da giugno, Federico Sboarina, e qui con me l’uscito, Flavio Tosi, che è stato primo cittadino per 10 anni rendendo la città una capitale d’Europa. I temi che affrontiamo con chi ha governato la città degli innamorati, della lirica, del marmo, dello Spritz, sono quelli dell’agognata (ma quanto?) autonomia del Veneto, degli scontri politici in seno alle divisioni del centrodestra, delle opere da realizzare o realizzate a Verona, della crisi dell’Arena (è del 16 ottobre l’incontro tra il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini e Sboarina che ha sancito la fine del commissariamento. Tosi riassume l’accaduto degli ultimi anni: «Una pessima figura internazionale), della revoca del project financing per risollevare l’ex Arsenale austriaco «Franz Josef I» che da tempo attende una riqualificazione, del tema del degrado e dell’insicurezza balzato di recente alle cronache.

Espulso dalla Lega di Matteo Salvini nel 2015 durante il suo secondo mandato scaligero, Tosi – capogruppo per la lista Tosi all’opposizione, presidente dell’Autostrada A4 Brescia-Padova, segretario di Fare!, ed anche presidente di Federcaccia Veneto – è definito, insieme al suo movimento, la «quarta gamba del centrodestra»: l’alternativa a Salvini in un progetto che vuole raggruppare tutte le forze di centrodestra che attualmente non si riconoscono nei partiti tradizionali quali Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega Nord, caratterizzata da un pragmatismo «che va oltre i classici schemi ideologici».

Ecco come Tosi aborre il «periodo ipotetico dell’impossibile».

Domanda. Il Veneto è risultato in prima linea nella richiesta di autonomia dallo Stato centrale, grazie agli sforzi condotti dal suo leader Luca Zaia. A cosa porterà questo percorso, dal suo punto di vista di politico e di cittadino?
Risposta. Porterà a quello che è previsto dalla Costituzione, né più né meno di quello che immagino otterranno le altre Regioni che hanno avviato lo stesso percorso. È una trattativa tutto sommato neanche tanto complessa, aldilà dei proclami, che ha il seguente contenuto: lo Stato passa delle competenze e gira le risorse che spende per esse alla Regione di riferimento perché ne disponga autonomamente. Su questa base credo che il Veneto, la Lombardia, l’Emilia Romagna e chi altri decidesse di procedere in tal senso possano avere un gioco semplice, non ostacolato dal Governo, purché si resti in questo binario. È chiaro che se per fare campagna elettorale si immettono contenuti non praticabili, come la richiesta di trattenere il 90 per cento delle tasse nella Regione e diventare speciali come il Trentino Alto Adige, si rende tale percorso inutile e, a quel punto, non c’è via d’uscita perché la trattativa è impostata male a monte, non essendo in linea con la Costituzione.

D. A chi si riferisce in particolare?
R. Al Veneto. Mentre la Lombardia e l’Emilia Romagna hanno chiesto alcune deleghe, il Veneto oltre ad esse ha chiesto il 90 per cento delle tasse così come avviene in Trentino Alto Adige. Se segue questa impostazione, la nostra Regione non approderà da nessuna parte: lo Stato, su queste basi, neanche comincerà a trattare.

D. Perché è accaduto questo?
R. Il tema è elettorale: pur essendo Roberto Maroni dello stesso partito di Luca Zaia, mentre gli altri governatori mirano a portare a casa il risutato a Zaia interessa fare campagna elettorale. È un dato di fatto oggettivo: la prima uscita che ha fatto dopo l’esito referendario – poi rimangiata in un solo giorno in quanto bocciata da Forza Italia – è stata la richiesta di Statuto speciale. Così il governatore ha abbassato il tiro chiedendo comunque il 90 per cento delle tasse, anche questo impossibile per buon senso: lo Stato non può dare più risorse di quelle che spende, è una partita di giro e non può andare in difficoltà con i suoi conti. Glielo ha detto anche il deputato e vicesegretario della Lega Nord Giancarlo Giorgetti.

D. Ragionando sui temi specifici del Veneto, sarebbe giusto in effetti che si prendesse la specialità dello Statuto?
R. Se la ottenesse il Veneto, la pretenderebbero anche la Lombardia, il Piemonte, l’Emilia Romagna e quelle altre Regioni che avrebbero da guadagnarci, ma lo Stato fallirebbe poiché si regge sul residuo fiscale attivo di alcune Regioni – in particolare la Lombardia con circa 54 miliardi, il Veneto e l’Emilia Romagna con circa 15 – mentre altre come Sicilia, Calabria, Lazio, Campania, Trentino, drenano i soldi dallo Stato centrale. Porre una simile ipotesi equivale a formulare un periodo ipotetico dell’impossibile.

D. Lei a cosa punterebbe?
R. A portare a casa quello che è possibile portare. Al referendum ho votato sì. Lo Statuto speciale magari averlo, ma sono realista e so che è impossibile ottenerlo, inutile chiederlo.

D. Un commento veloce sulla situazione catalana?
R. L’autonomia di cui gode la Catalogna è già straordinaria, un grado altissimo, tranquillamente paragonabile a quella del Trentino Alto Adige, e non capisco per cosa protestino. Sono un federalista, non un secessionista. È chiaro che il Governo spagnolo gli abbia impedito di secedere.

D. A Verona in particolare, quali sono stati gli esiti referendari?
R. C’è stata un’affluenza non alta – il 46 per cento per la città in sé – rispetto alla media regionale che ha sfiorato il 60 per cento, per vari motivi. Come anche in altre votazioni, ad esempio la Brexit che ha avuto connotazioni diverse nelle grandi città e nei piccoli Comuni, l’affluenza è stata mediamente inferiore rispetto alla provincia. Siamo sempre stati considerati, e un po’ ci riteniamo, una «periferia dell’Impero»: Verona ha un rapporto di minore «affetto» rispetto al resto del Veneto, siamo «un po’ lombardi», ossia diversi come tutte le realtà di confine, e abbiamo anche una storia che è diversa: la Repubblica Serenissima è passata anche da Verona, ma per un periodo più breve e meno intenso.

D. Come si è verificato il passaggio dal suo mandato (doppio) al nuovo sindaco scaligero?
R. Il centrodestra si è presentato diviso. Sommando i voti che ha preso la mia coalizione – al primo turno il 24 per cento – a quelli del nuovo sindaco Sboarina – al primo turno il 29 per cento – e a quelli delle altre liste civiche, si arriva ai voti che normalmente prende il centrodestra a Verona, ossia circa il 60 per cento. Al ballottaggio sono andate le due coalizioni del centrodestra, rimanendo escluso il centrosinistra, e quelli che sono rimasti fuori dal ballottaggio hanno votato prevalentemente per il centrodestra tradizionale.

D. Oltre alla vittoria del nuovo sindaco, ci sono stati altri motivi che hanno portato «l’altro centrodestra» a vincere queste elezioni?
R. Sicuramente hanno inciso i miei rapporti con la Lega, da cui nel 2015 sono stato espulso da Salvini. Questo ha cambiato le prospettive sulla città. Già nel mio ultimo mandato avevo all’opposizione Forza Italia, il PDL, più in generale il centrodestra tradizionale, così come il centrosinistra e il M5S. L’unica forza in maggioranza con me negli ultimi 5 anni è stata la Lega. Ciò che è cambiato questa volta è che anche la Lega è passata dall’altra parte.

D. Perché è stato espulso da Salvini?
R. Un modo di vedere profondamente diverso, gli atteggiamenti rispetto all’uscita dall’euro, alla flat tax, alla secessione ed altro. Ci sono stati periodi in cui per Salvini chi stava nella Lega obbligatoriamente doveva sostenere l’uscita dall’euro o essere secessionista, cosa che non sono mai stato. Affrontiamo i temi politici con differenti approcci: io sono pragmatico, lui cavalca anche l’impraticabile. È la differenza che passa tra Salvini e Zaia da una parte, più populisti, e Maroni dall’altra, più pragmatico. Il populismo elettoralmente paga: Maroni ha fatto una campagna referendaria molto istituzionale, sui contenuti, non caricandola con tematiche indipendentiste, e in Lombardia è andato a votare il 40 per cento degli aventi diritto; da noi la campagna di Zaia ha portato a votare quasi il 60 per cento dei veneti.


Flavio Tosi e Matteo Salvini

D. In cosa si distingue principalmente la sua decennale gestione scaligera da quella che Verona si aspetta ora da Sboarina?
R. Verona, nei 10 anni della mia gestione, è passata dall’essere una città provinciale semisconosciuta all’essere una città europea, con un flusso turistico che è aumentato in maniera straordinaria e con grandi investimenti, rendendosi quello che oggi è il motore economico del Veneto rispetto a città, come Padova o Venezia, con le quali Verona si è sempre confrontata. Oggi è lei quella più dinamica, più attrattiva di investimenti, più ricca di potenzialità. Abbiamo fatto un salto di qualità. Sboarina nelle sue prime mosse ha cercato di bloccare alcune iniziative imprenditoriali già avviate, rischiando di portarle indietro. Dal mio punto di vista un sindaco deve favorire gli investimenti, non bloccarli.

D. Può essere più specifico?
R. Per esempio, per l’ex Arsenale austriaco, complesso in centro, avevamo completato la procedura per un project financing pubblico e privato di recupero, e il nuovo sindaco l’ha affossata a settembre con una delibera del Consiglio comunale. Avevo chiuso la gara, avevo assegnato il progetto; alla fine del mandato la nuova amministrazione starà ancora parlando di come risolvere la questione. La grande contraddizione è che il mio operato è stato votato a suo tempo dallo stesso Sboarina, che componeva la mia coalizione. Un altro esempio: avevamo previsto la trasformazione commerciale di una serie di immobili, la nuova Giunta ha dichiarato che la impedirà.


Federico Sboarina e Flavio Tosi

D. Questo avviene per dinamiche politiche, ossia di passaggio da un sindaco all’altro , o perché effettivamente ci sono divergenze nella visione della città che lui ha reso note in campagna elettorale, e per questo è stato scelto rispetto alla coalizione che lei rappresenta?
R. La cosa paradossale è che gran parte di coloro che sono ora nell’amministrazione attuale mi appoggiavano in uno dei miei due mandati, appartenevano alla mia maggioranza, erano d’accordo con il mio operato. Hanno fatto una campagna elettorale di contrapposizione: essendo loro la naturale omogeneità della mia squadra, in quanto la componevano – il sindaco è stato mio assessore nel primo mandato così come parte della sua Giunta, e alcuni attuali consiglieri comunali sono stati miei consiglieri comunali -, si sono dovuti differenziare in tutto e per tutto nonostante avessero votato in precedenza quanto ora stanno bloccando. Aspettiamo però la parte propositiva, è ancora troppo presto per parlare a quattro mesi dall’insediamento. Come avvenuto per l’ex Arsenale, pur proveniendo dalla stessa parte politica e avendo condiviso una serie di provvedimenti, i nuovi insediati hanno dovuto smentirli per non diventare solo una brutta copia della mia amministrazione. Il loro maggior sostenitore, oggi, è l’estrema sinistra, che ne elogia le scelte. È una cosa singolare, ma per me è normale rispetto a ciò che è stata la campagna elettorale, tanto è che l’estrema sinistra al ballottaggio li ha votati.

D. Rispetto all’Arena di Verona, lei l’ha seguita negli ultimi dieci anni fino al recente commissariamento. Come è possibile che un così importante e riconosciuto bene pubblico entri in crisi?
R. Il sold out dell’Arena è dovuto alle attività dell’extra-lirica, ossia a quelle che fanno i privati noleggiando di fatto il monumento; con la lirica viene venduta la metà dei biglietti. È un problema italiano, non veronese: il pubblico della lirica è generalmente in calo mentre il pubblico dell’extra-lirica è generalmente in crescita. Quando mi sono insediato, si facevano non oltre tre eventi l’anno di extra-lirica, oggi siamo a quasi 50. Ho differenziato il prodotto, portando l’extra-lirica in Arena. Ma oggi tutte le fondazioni liriche in Italia, a parte Milano e Venezia, sono in difficoltà: questo perché il modello di gestione è sbagliato, bisogna puntare su un modello più privatistico. Dopo aver fatto un lungo braccio di ferro con i sindacati, avevamo chiesto di mettere in liquidazione l’ente pubblico per trasformarlo in privato; con il commissariamento, invece, c’è da aspettarsi che nel giro di qualche anno le difficoltà finanziarie torneranno tante quante prima. Questo è il destino dell’Arena di Verona e di tutte le fondazioni liriche in Italia, che oggi hanno complessivamente 400 milioni di euro di debito, di cui 25 milioni sono veronesi. Alla fine dei conti, siamo tra quelli che stanno «meno peggio». Infatti le entrate, che prima erano migliori anche per la contribuzione pubblica, sono costantemente in calo.

D. Si attende un «Central Park» veronese, grande, immensa area che Rfi, Rete ferroviaria italiana, dovrebbe auspicabilmente passare al Comune. L’AD Maurizio Gentile ha rassicurato Verona. Cosa accadrà?
R. Questa amministrazione non rientra coi tempi nel compimento del programma perché le Ferrovie, proprietarie dell’area, hanno già dichiarato che non potranno liberarla prima del 2024, ossia oltre il mandato dell’attuale sindaco. Inoltre, sperare che le Ferrovie – le quali hanno valorizzato molte aree simili in altre città, come ad esempio Bologna – regalino al Comune mezzo milione di metri quadri, che frutta loro una voce in bilancio di circa 90 milioni, mi sembra sia una pia illusione. Anche da un punto di vista contabile il progetto è di difficile realizzazione, in quanto l’area è in parte di proprietà di Mercitalia Logistics, controllata delle Ferrovie dello Stato Italiane. Il mio predecessore Paolo Zanotto aveva proposto che metà dell’area – edificabile – restasse alle Ferrovie, e metà – il parco – venisse ceduta al Comune di Verona: questo, probabilmente, era un progetto più realistico.

D. La polemica sui tema sicurezza e degrado in città a Verona, esplosa poco dopo il nuovo insediamento, da cosa è stata generata?
R. Lo ha detto lo stesso segretario provinciale della Lega Paolo Paternoster in una conferenza stampa alla stazione: a Verona è peggio di prima. La sicurezza dipende da come si gestiscono le Forze dell’Ordine, in particolare la Polizia municipale. Vediamo cosa succederà. Stiamo documentando il problema sicurezza monitorando la presenza di senza fissa dimora e quant’altro, e lo facciamo andando in giro per le piazze, ai semafori, nei parchi, a filmare la situazione. Il coordinamento con le Forze dell’Ordine c’era già durante il mio mandato. Ma saranno i veronesi a valutare se le cose andranno meglio in questi anni. (ROMINA CIUFFA)




MAURIZIO DANESE (VERONAFIERE), DAL BALCONE DI ROMEO E GIULIETTA AL BALCONE INDUSTRIALE DEL MADE IN ITALY

VIA COL VENETO (di ROMINA CIUFFA). Da Vinitaly a Fieracavalli, gli eventi fieristici più «in» del nostro Paese avvengono nella città dell’amore, quella che prima di tutto è collegata, nella letteratura ed ormai nell’immaginario collettivo, alla storia «eccellentissima e lamentevolissima» di Romeo e Giulietta. Di certo la scaligera – dodicesima provincia italiana per numero di imprese – è, sotto il profilo culturale (ed, indirettamente, del business), una delle più fruttifere di Italia, luogo di incontro naturale tra turismo ed affari, in vicende che seguono la forza e la testardaggine dei due innamorati shakespeariani, ma che finiscono, invece, bene. E non muore nessuno. Nata nel 1898, la Fiera di Verona inaugura con una edizione sperimentale dedicata ai cavalli alla presenza di Vittorio Emanuele III nell’attuale Piazza della Cittadella (a due passi da piazza Bra e dall’Arena), sintetizzando le vocazioni della campagna veronese e le tradizioni che fanno risalire all’807 d.C. la prima fiera tenutasi sul sagrato della Basilica di San Zeno, anche ampliandosi con altri capi di bestiame e, in generale, nel settore agricolo. Alla Fiera Cavalli si affiancò sin dal 1899 una mostra di automobili, a dar lustro al primo inventore del motore a scoppio, il veronese Bernardi.

Nel 1930 avvenne la trasformazione in ente autonomo, che dalla location centrale dovette spostarsi nel 1948, essendo presto divenuta insufficiente l’area di originale competenza, ed occupare la zona industriale a sud della città, attuale complesso di Veronafiere, così potendo ospitare gli eventi principali italiani, oltre alla storica Fieracavalli (di cui quest’anno si è tenuta la 119esima edizione): da ArtVerona ad Elettroexpo (fiera dell’elettronica e del radioamatore), Fieragricola, Job&Orienta, Marmomac (per l’industria del settore litico), Model Expo Italy (modellismo statico e dinamico), Motor Bike Expo (moto), Samoter (macchine per il movimento terra e da cantiere), Progetto Fuoco (dedicata al riscaldamento da biomasse legnose), Innovabiomed (industria biomedicale), Cosmobike Show (fiera sul mondo delle biciclette), fino alla più nota, Vinitaly.

Ed ora una nuova iniziativa «a doppia targa»: collaborazione storica quella tra parmigiani e scaligeri che oggi sfocia in Wi·Bev riunendo le tecnologie per il «wine & beverage», settore che per macchinari, attrezzature e tecnologie per la viticoltura e l’enologia conta 3,6 miliardi di euro e il cui 70 per cento è derivato dall’export. Il Wine&Beverage Technologies Event, co-organizzato da Fiere di Parma (sotto la guida di Gian Domenico Auricchio), è già in programma dal 4 al 5 dicembre 2018 nell’ambito di «wine2wine», subito dopo la vendemmia, quando le aziende vitivinicole non sono più impegnate nelle operazioni di campagna. Wi·Bev unirà il momento espositivo al confronto diretto tra aziende del settore, fornitori di macchine e impianti nonché tecnici della filiera, oltre a «capitalizzare gli aspetti ‘smart’ dell’esperienza innovativa di Cibus Connect–ha sottolineato Antonio Cellie, amministratore delegato di Fiere di Parma–associandola ad un palinsesto di approfondimenti specifici e mirati al comparto tecnico e produttivo della filiera vitivinicola e non solo».

Travalicati i confini della città e della nazione, promuovendo eventi fieristici nei Paesi extraeuropei maggiormente interessati alla produzione italiana – tra tanti, la Cina e il continente asiatico, in cui Veronafiere gioca un ruolo da protagonista per l’Italia sulla Via della Seta – Veronafiere è oggi il primo organizzatore diretto di manifestazioni in Italia, secondo per fatturato e ai vertici in Europa, con oltre cento anni di esperienza nel settore ed una posizione geografica strategica, al centro delle maggiori direttrici intermodali europee. Un hub naturale per la promozione internazionale del sistema industriale e dell’eccellenza made in Italy, che fornisce strutture e servizi aggregativi a visitatori ed espositori. Il fatturato è generato per l’87 per cento da fiere di proprietà ed organizzate direttamente, delle quali detiene il know-how completo, dalla pianificazione strategica alla realizzazione tecnica-operativa. La gestione del marketing, della comunicazione, del quartiere e dei servizi, una rete di delegati presenti in tutto il mondo, relazioni forti con le istituzioni nazionali ed i mondi associativi sono gli asset sui quali si fonda Veronafiere.

A proposito di internazionalizzazione, si è appena tenuto a Johannesburg, in Sudafrica, il tradizionale Ufi Congress di fine anno, che ha visto diversi seminari dedicati ai temi più caldi per l’industria fieristica. L’Italia, con un folto gruppo di delegati, ha visto una importante serie di nomine all’interno dell’organizzazione mondiale delle fiere, a partire da Corrado Peraboni (già amministratore delegato di Fiera Milano ed ora chairman di Cipa Fiera Milano Publicações e Eventos) per la presidenza dell’Associazione mondiale delle fiere (Ufi), il quale ha dato risalto alla strategia «PIN» (Promote, Inform e Networking), come base su cui l’ecosistema delle fiere deve sempre di più fondare la propria crescita e sviluppo industriale. La nuova nomina alla presidenza riafferma il valore del comparto fieristico italiano nel contesto internazionale, insieme alla rinnovata composizione del Board of Directors, cui per i prossimi tre anni è stato confermato Giovanni Mantovani, direttore generale di Veronafiere, nella carica di primo vicepresidente dello European Chapter; oltre a lui nominati anche Matteo Marzotto, vicepresidente esecutivo di Italian Exhibition Group, e Giorgio Contini, direttore internazionale di BolognaFiere.


Marco Di Paola, Giovanni Mantovani e Maurizio Danese

Parla il presidente di Veronafiere Maurizio Danese, operativo per il triennio 2015-2018, socio di un gruppo di aziende che opera nel settore della fornitura di prodotti alimentari al canale Horeca, consigliere della Camera di commercio di Verona e vicepresidente vicario di Confcommercio Verona.

Domanda. Quali le strategie per il futuro di Veronafiere con il Comune?
Risposta. L’amministrazione comunale veronese è il socio di maggioranza relativa di Veronafiere spa. Abbiamo illustrato il piano industriale di sviluppo al 2020 che prevede investimenti pari a 94 milioni di euro, così come stiamo ragionando insieme sul ridisegno del quartiere sud della città sul quale insiste la Fiera di Verona.

D. Dopo una battuta d’arresto del 2015, Veronafiere è ripartita. Come? Quali i numeri oggi?
R. Nel 2015 non c’è stata nessuna battuta d’arresto. Semplicemente Veronafiere, nell’interesse del Paese, ha risposto ad una domanda specifica da parte del Ministero delle Politiche agricole e di Expo per occuparsi della realizzazione del Padiglione del Vino all’Esposizione universale di Milano. Abbiamo quindi dovuto mettere mano ad un investimento molto più ingente di quanto preventivato ma, se non l’avesse fatto la Fiera di Verona con Vinitaly, con tutte le difficoltà che Expo ha dovuto incontrare, non sarebbe stato possibile offrire un’esperienza unica come quella che ha rappresentato il padiglione «Vino -A Taste of Italy», visitato da oltre 2,1 milioni di persone, di cui il 20 per cento straniere. In quell’anno, in cui sono stato nominato presidente proprio a fine Expo, il consiglio di amministrazione di Veronafiere ha deciso di inserire quanto investito nel bilancio 2015 che, senza questi extra costi, avrebbe chiuso con un Ebitda di 8,1 milioni di euro.

D. Come è avvenuto il processo di trasformazione in spa?
R. La trasformazione in società per azioni ha seguito l’iter previsto dalla normativa regionale, iniziato con la nostra richiesta il 4 luglio 2016. In poco più di sei mesi abbiamo quindi compiuto tutti passaggi tecnici, burocratici e legislativi, con il via libera dalla Regione del Veneto arrivato ad ottobre, fino al 29 novembre 2016 con la trasformazione in spa, entrata poi in vigore ufficialmente dal 1° febbraio 2017.

D. Può indicare alcuni aspetti del Piano industriale di sviluppo al 2020 relativi a Veronafiere?
R. Con questo piano industriale gli obiettivi che si intendono conseguire sono fondamentalmente due. Rafforzare il ruolo di leadership mondiale in particolare nelle filiere «wine&food» e marmo-costruzioni e continuare a essere un motore di produzione di ricchezza per la città e per il territorio. In questo contesto prevediamo al 2020 un volume d’affari obiettivo di 113 milioni di euro con un Ebitda di 21,9 milioni di euro, pari al 19 per cento dei ricavi.

D. Giovanni Mantovani è ora nel Board of Directors dell’Ufi, la Global Association of the Exhibition Industry. In che modo Veronafiere avrà voce in quella sede, anche in rappresentanza italiana, e non solo scaligera?
R. Non è la prima volta che Veronafiere ha un proprio rappresentante nel board dell’Ufi, di cui siamo membri dal 1932. In questa sede porteremo tutta la nostra esperienza di organizzatori di manifestazioni dal 1898, ma ragionando sempre in ottica di promozione del sistema fieristico italiano nel suo complesso.

D. Fieracavalli 2017 ha avuto un grande successo. Sogna di portare i cavalli in Arena: c’è speranza, anche in occasione del 120esimo compleanno di Fieracavalli nel 2018?
R. Fieracavalli ha chiuso l’edizione 2017 superando ancora le 160 mila presenze, di cui il 16 per cento dall’estero, da 63 nazioni. L’idea di riportare un evento equestre di altissimo livello in Arena, nel cuore di Verona, fa proprio parte di alcune iniziative che stiamo valutando in occasione dei 120 anni della manifestazione. Sarebbe di sicuro un evento indimenticabile per la città e per tutti gli appassionati di questo mondo.

D. Non solo Vinitaly: molti gli accordi, molte le esposizioni e i contenuti. Quali, per lei, i principali, e quali i nuovi obiettivi?
R. Veronafiere organizza in media più di 60 manifestazioni all’anno. Oltre a Vinitaly e Fieracavalli, penso a Marmomac, il primo salone al mondo per la filiera della pietra naturale e delle tecnologie, e poi Fieragricola, dedicata al settore primario, senza tralasciare il mondo delle macchine da costruzioni, con Samoter. Questi sono soltanto alcuni dei nostri marchi più conosciuti e di successo. Il nostro obiettivo resta sempre quello di consolidare il portafoglio di rassegne leader, sviluppare le potenzialità esistenti, anche attraverso collaborazioni e partnership, e aumentare significativamente la quota di mercato e la redditività, posizionando così saldamente la Fiera di Verona tra le più importanti realtà internazionali del settore.

D. Veronafiere all’estero, come è rappresentata? Come è vista? Oltre a Italian Wine Channel, cosa c’è?
R. L’estero è sempre più chiave di crescita fondamentale per il nostro business. Ogni anno sono in media una ventina gli appuntamenti che realizziamo in oltre 10 nazioni nei settori del «wine&food» e del «building&construction». Con gli eventi fieristici, le missioni commerciali e le attività formative delle nostre «academy» abbiamo creato una community globale del vino e del marmo, in particolare negli Stati Uniti, in Brasile e in Cina, ma stiamo concentrando negli ultimi anni gli sforzi anche in Africa e in Medio Oriente, mercati dal grande potenziale. La nostra forza è quella di essere prima di tutto ambasciatori, insieme alle aziende, di molte eccellenze del made in Italy.

D. Veronafiere in Brasile con Veronafiere do Brasil: perché il Brasile?
R. Il Brasile è l’economia più importante del Sudamerica e, nonostante la recente crisi, è ancora una delle aree a più alto tasso di crescita dell’area. Per la nostra attività è un punto strategico nel comparto lapideo, ma stiamo valutando anche nuove iniziative nel settore vitivinicolo, vista la posizione privilegiata di accesso ai vicini mercati dell’area Nafta.

D. L’innovazione digitale ha cambiato la fieristica?
R. L’innovazione digitale ha cambiato tutto il nostro mondo, non soltanto quello fieristico. Da Veronafiere una attenzione particolare a riguardo è rivolta ai processi e alla gestione dei rapporti con i clienti e il mercato. Abbiamo un progetto specifico inserito nel piano industriale di sviluppo, con investimenti importanti sia in termini di formazione che di servizi.

D. Quali, secondo lei, le modalità per rilanciare l’Italia nell’economia positiva attraverso la fieristica?
R. Le fiere sono da sempre uno strumento fondamentale per la promozione internazionale e lo sviluppo dell’export. In Italia, per il 75 per cento delle piccole e medie imprese, sono anche l’unico momento di visibilità estera. Un ruolo di leva economica che è riconosciuto dal Ministero per lo Sviluppo economico e dall’Ice-Agenzia che dal 2015 hanno inserito alcune manifestazione fieristiche, tra cui Vinitaly e Marmomac, tra quelle strategiche per il Paese. In questo caso la via è una sola: fare squadra tra sistema-fiere nazionale, imprese e Governo per presentarsi uniti sui mercati stranieri, coordinando le risorse in azioni mirate di incoming e outgoing.

D. Turismo fieristico e congressuale: quali le peculiarità?
R. Le fiere rientrano a pieno diritto anche nel settore Mice (Meeting Incentive Congress & Events), come gestori di mete privilegiate per il turismo d’affari e i congressi. Veronafiere all’attività «core» che porta alle manifestazioni ogni anno 1,2 milioni di visitatori, affianca quella di un centro congressuale che organizza 330 eventi all’anno con 85 mila partecipanti di media. La Fiera di Verona vanta poi una location unica, a poca distanza dal centro storico di una città patrimonio dell’Unesco e nella top ten delle mete turistiche italiane.

D. Perché scegliere Veronafiere? Come si distingue dalle altre fiere italiane?
R. Oltre ad avere quasi 120 anni di esperienza nel settore, il nostro più grande plus è quello di essere organizzatori diretti della quasi totalità delle nostre manifestazioni di successo. Significa che Veronafiere non si limita a vendere gli spazi espositivi del proprio quartiere, ma l’87 per cento del proprio fatturato è generato da fiere che sono di nostra proprietà e di cui curiamo direttamente crescita, sviluppo e rapporti con i mercati e gli stakeholder. (ROMINA CIUFFA)

GALLERY (photocredit ROMINA CIUFFA)

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