TANIA SCACCHETTI: CGIL, TRA VOUCHER E CARTA DEI DIRITTI UNIVERSALI DEL LAVORO

L’assemblea della Cgil ha eletto il 29 novembre 2016 la nuova segreteria confederale nazionale con l’83 per cento. Cinque i nuovi ingressi al fianco di Susanna Camusso: tra questi anche il nome di Tania Scacchetti, segretaria della Camera del Lavoro di Modena. Nata 43 anni fa a Modena, Tania Scacchetti, sposata, due figli, diplomata al liceo classico, comincia la propria esperienza sindacale nella categoria del commercio da delegata della Cir (Coop italiana ristorazione) mentre frequenta la facoltà di Sociologia a Trento. Nel 2000 entra in distacco alla Filcams Cgil e nel 2005 viene eletta nella segreteria provinciale della categoria. Due anni dopo passa alla segreteria confederale di Modena, dove assume la responsabilità dell’area welfare. Il 3 dicembre 2012 il comitato direttivo della struttura la elegge, a larga maggioranza, nuovo segretario generale provinciale della Cgil di Modena ed è stata riconfermata il 5 marzo 2014, al termine dei lavori del XVII Congresso provinciale. Il 29 novembre 2016, al termine della votazione dell’assemblea generale della Cgil, entra a far parte della segreteria nazionale.

Domanda. Il lavoro occasionale sembrava, all’inizio, un ottimo incentivo nell’attuale crisi del lavoro, dando la possibilità a più lavoratori di essere attivi, ivi inclusi i pensionati, le casalinghe, i disabili, gli extracomunitari, gli studenti. Quindi l’allargamento dell’utilizzo del buono anche ai settori professionali. Da cui i famigerati «voucher». Cosa pensa la Cgil del voucher in sé e delle modalità in cui esso è stato abolito, dopo una campagna che ipotizzava il referendum per il 28 maggio?
Risposta. In Italia il sistema dei voucher ha subìto notevoli variazioni e modifiche. Nel 2003 i buoni lavoro erano destinati solo ai soggetti a rischio esclusione sociale per attività lavorative di natura meramente occasionale, e il campo di utilizzo era riservato esclusivamente a piccoli lavori domestici, assistenza ai bambini e agli anziani, ripetizioni, lavori di giardinaggio, e per manifestazioni culturali e sociali. Tra il 2010 e 2012, lo strumento del voucher ha perso ogni riferimento alla occasionalità, tutti i soggetti e tutti i settori potevano utilizzarlo, con il solo vincolo del tetto economico. Divenne così uno strumento malato, abusato e irriformabile perché sostitutivo del lavoro ‘buono’. Per questo ne abbiamo chiesto l’abrograzione tramite uno dei quesiti referendari a supporto della nostra proposta di legge, la Carta dei diritti universali del lavoro. Oggi siamo di fronte ad una prima vittoria: il Governo ha varato un decreto che ne prevede la cancellazione, ora aspettiamo che il Parlamento faccia la legge, a quel punto potremo dire di aver compiuto un grande passo contro l’impoverimento continuo del lavoro e dei suoi diritti, come unica logica della competizione.

D. Crede che un referendum avrebbe ammesso il voucher o lo avrebbe abolito? Quali sono le prossime iniziative della Cgil per movimentare il Governo e il Legislatore?
R. Da molti mesi siamo impegnati, prima con le assemblee, poi con la raccolta firme e adesso con la campagna elettorale, a discutere e a confrontarci con i cittadini ed i lavoratori. Abbiamo riscontrato molta condivisione sui temi proposti e la volontà di rimettere al centro del dibattito e delle scelte politiche del Paese i diritti del lavoro. Siamo certi che i referendum popolari avrebbero mobilitato molti elettori e trovato il loro sostegno. Finché non avremo una legge in merito che fa decadere la consultazione referendaria, prevista per il 28 maggio, continuiamo la nostra campagna elettorale. In programma abbiamo numerose iniziative su tutto il territorio nazionale e l’8 aprile si terrà a Roma un attivo nazionale dei nostri quadri e delegati per organizzare la nostra sfida per i diritti e conquistare la Carta dei diritti universali del lavoro.

D. Sembrerebbe che l’introduzione dei «buoni-lavoro» abbia, piuttosto che ridurlo, aumentato il lavoro nero. Vero? In che modo? In realtà, molto spesso i voucher sono stati utilizzati come «fuori-busta», una sorta di ricatto anche al dipendente. Cosa ne pensa?
R. Siamo certi che l’uso dei voucher abbia favorito e non ridotto il lavoro nero. In questi anni di completa deregolamentazione dell’utilizzo dei buoni e in assenza, quasi totale, di percorsi certi e controllati di tracciabilità, il voucher, in molti casi, ha remunerato solo una parte residuale delle ore di lavoro svolte da una persona. Un fenomeno diffuso rilevato anche dall’Inps. Il fatto che non esista un contratto a normare l’uso dei voucher, ma che il rapporto sia solo fra il prestatore e l’utilizzatore rende certamente ricattabili i lavoratori: molti ci riferiscono che viene loro detto che li si farà lavorare solo se sono accettati i voucher.

D. E in che modo con l’impiego dei voucher possono essere tutelati i diritti fondamentali del lavoratore (a partire dagli infortuni sul lavoro o la maternità)?
R. I lavoratori pagati con i voucher non hanno tutele, non hanno diritto alla malattia, alla maternità, alle ferie, ai permessi o alla disoccupazione. La maggior parte dei ‘voucheristi’ non riesce ad accumulare un numero di contributi utili a maturare un mese di contribuzione all’anno.

D. Con l’eliminazione del voucher, in che modo possono essere aiutati i lavoratori più deboli? E come tutelarli?
R. Noi abbiamo una nostra proposta, contenuta nella Carta dei diritti, per normare il lavoro occasionale e considerarlo nell’ambito del lavoro subordinato, quindi riconoscendo tutti i diritti previsti dallo stesso. Crediamo che il contratto di lavoro subordinato occasionale debba avere natura meramente occasionale e saltuaria ed essere attivato solo per studenti, inoccupati, pensionati e disoccupati per piccoli lavori domestici, familiari o per la realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali di piccola entità. Pensiamo inoltre che opportunità di qualificazione professionale possano rappresentare un sostegno per i lavoratori più deboli.

D. In che modo l’Italia può combattere l’elusione e l’evasione? Ci sono proposte CGIL che riguardino il lavoro nero e che non è accettata dai vari Governi? Quali sono?
R. In Italia ogni anno vengono evasi dai 91 ai 180 miliardi di euro, 47 solo di Iva, risorse preziose che vengono sottratte al rilancio dell’economia. Infatti, i miliardi evasi non ingrossano né i consumi né gli investimenti, ma sono accumulati prevalentemente in ricchezze private. Per questo crediamo serva una vera e grande lotta all’evasione fiscale per l’equità, l’efficienza e lo sviluppo del Paese. È necessaria una riduzione strutturale della ricchezza evasa più che il recupero di una imposta ormai non pagata. Proponiamo una serie di azioni volte alla trasparenza della formazione del reddito e alla repressione delle irregolarità attraverso la tracciabilità, la rapidità e la semplicità delle informazioni sui movimenti di beni, servizi e denaro, e lo sviluppo tecnologico. Tutto ciò però non può prescindere da una forte volontà politica.

D. I giovani sono patrimonio italiano. Per quanto ormai si parla di giovani anche quando si tratta di ultraquarantenni… Non siamo più un Paese dove il lavoro è un diritto, la meritocrazia una garanzia, una vita «normale» scontata. Molti non fanno figli perché non hanno lavoro né casa. Si fugge dall’Italia, perdiamo così tutto l’investimento fatto sull’istruzione e la formazione, ma forse la piaga più grande è proprio quella dei «giovani» che in Italia restano. Se ne parla, se ne parla, se ne parla… eppure i curricula non arrivano mai da nessuna parte e non vengono letti. Il nepotismo prevale. Le paghe sono al limite del vergognoso. Dov’è finita la «dignità»?
R. Per la Cgil la vera emergenza sociale del Paese è la disoccupazione giovanile e l’aumento dei giovani intrappolati nella condizione di Neet (Not in Education, Employment or Training, ndr). Le riforme del lavoro, ultima il Jobs Act, e il programma europeo di Garanzia Giovani non hanno rappresentato una svolta per la condizione giovanile, anzi hanno contribuito alla precarizzazione e al proliferare di tirocini che raramente si sono trasformati in stabili occasioni di lavoro. Il programma europeo può rappresentare un’importante opportunità, se però non lo si utilizza solo come ‘escamotage’ dalle imprese per ridurre il costo del lavoro. Riteniamo che non sia più rinviabile una discussione su un piano straordinario per l’occupazione giovanile, come proponiamo da tempo.

D. Cosa pensa la CGIL del problema degli immigrati? In generale e dal punto di vista del lavoro. Una posizione chiara? Proposte ferme?
R. Innanzitutto il fenomeno migratorio non è un problema, ma una risorsa, una grande opportunità sia per chi parte sia per le società che accolgono. In Italia, così come in tutti i Paesi di destinazione, la forza lavoro degli immigrati rappresenta un sostegno prezioso perché spesso utilizzata per compensare la carenza di risorse interne in determinati ambiti produttivi e, in generale, per contrastare il progressivo invecchiamento della popolazione. In questi lunghi anni di crisi, i lavoratori stranieri hanno ricoperto un ruolo ancor più centrale per le dinamiche occupazionali. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un’inversione di tendenza: gli emigrati italiani all’estero sono cresciuti più degli immigrati in Italia, e spesso, purtroppo, a partire sono i giovani, con una grande bagaglio, quello formativo. Per questo ribadisco la necessità di un piano straordinario per l’occupazione giovanile.

D. Per quanto riguarda le pensioni, come possiamo immaginare un futuro che ci garantisca di recepirle, e, soprattutto, com’è possibile che si continui ad aumentare l’eta pensionabile ma senza possibilità di trovare lavoro?
R. Gli effetti di una riforma sbagliata come quella Fornero sono sotto gli occhi di tutti. L’innalzamento dell’età pensionabile ha penalizzato moltissime persone poiché i lavori non sono tutti uguali ed è impossibile continuare a svolgere determinate mansioni ad una certa età. Ma, soprattutto, spostare sempre più avanti i requisiti per l’accesso alla pensione costituisce un impedimento alle assunzioni dei giovani. Da mesi siamo impegnati unitariamente per modificare la legge. Con l’ultima manovra abbiamo ottenuto alcuni risultati per la tenuta del potere di acquisto dei pensionati e per consentire ai lavoratori precoci, in determinate condizioni, di accedere alla pensione con il requisito di anzianità di 41 anni, un diritto che secondo la Cgil dovrebbe essere esteso a tutti. Inoltre nella legge di stabilità si prevedono due misure: l’Ape volontaria, strumento per noi negativo ed ingiusto poiché vincola l’accesso anticipato alla pensione ad un vero e proprio mutuo, e l’Ape sociale, in cui, per lavoratori in determinate condizioni di svantaggio, il costo del prestito è a carico dello Stato. I decreti attuativi relativi a questi interventi, in via di definizione, presentano alcuni limiti, in particolare la definizione di platee molto ristrette. Andrà poi affrontato il nodo di come garantire un futuro previdenziale universalistico e dignitoso alle giovani generazioni, che si affacciano tardi nel mercato del lavoro, hanno spesso carriere discontinue e basse retribuzioni. Questi ed altri temi sono oggetto di un confronto per noi necessario e sul quale manteniamo aperta la mobilitazione sindacale.   (ROMINA CIUFFA)

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Aprile 2017




CONFSAL: MARCO PAOLO NIGI, VOUCHER O NON VOUCHER SI “VUOLE” EVADERE

Per lui, il sindacato è una scuola di vita. Scuola anche perché è dalla scuola che proviene, come professore. Segretario generale della Confsal, principale Confederazione dei sindacati autonomi, e dello Snals, storico rappresentante dei lavoratori della scuola, spiega la sua visione tout court sullo stato generale del mondo del lavoro, a partire dai famigerati «voucher».

Domanda. Cosa pensa dei voucher?
Risposta. Il voucher poteva servire a diminuire il lavoro nero ma per come è stato proposto ha dimostrato il contrario, e cioè il suo stesso aumento, un paradosso.

D. In che modo ciò è accaduto?
R. Il primo errore commesso dal Governo è stato quello di non distinguere le categorie: non si può assolutamente pensare di abbracciarle tutte sostituendo la retribuzione con i voucher. Dovevano essere esclusi innanzitutto i lavoratori dipendenti che non possono accedere ai voucher perché hanno i contratti che li tutelano sotto il piano fiscale, retributivo e contributivo; dovevano invece essere incluse altre categorie quali i lavori cosiddetti domestici, a cominciare da giardinieri, casalinghe, elettricisti, falegnami, donne delle pulizie, perché non si possono tutelare con contratti di lavoro occasionale. Eppure i voucher sono stati estesi dal settore «domestico» a quello professionale. La paura nei riguardi di una Confederazione come la Confsal – che aveva detto che avrebbe raccolto le firme per il referendum e, di fatto, le ha raccolte -, più in generale la paura di perdere il referendum, ha portato il Governo a fare un altro errore: non a modificare lo strumento ma a toglierlo di mezzo. E questo è stato un secondo errore, perché il voucher costituisce di base un’idea valida.

D. In che modo i voucher hanno inciso o inciderebbero sulla pensione?
R. Le pensioni sono un sistema che si regge in piedi su un equilibrio finanziario entrate=uscite, è così che garantiamo a tutti le pensioni. Ma nel momento in cui si presenti un disavanzo esso va coperto, altrimenti non è possibile pagare le pensioni, sperando inoltre che i più anziani muoiano, e si dà una reversibilità a una percentuale più bassa. Se si aggravano le uscite bisogna agire sulle entrate e ciò lo fa lo Stato con l’aumento del debito pubblico. I problemi del mondo d’oggi che interagiscono con le pensioni sono anche le coppie di fatto, le unioni civili, i matrimoni con le donne dell’est che si lasciano sposare e ottengono la pensione di reversibilità. Così, a forza di aumentare l’età pensionabile, arriveremo a cento anni. Noi riteniamo che sia necessario aumentare il numero dei contribuenti, per questo eravamo favorevoli ai voucher, concettualmente utili alla lotta all’evasione fiscale e al sommerso. Il voucher è stato creato dal Governo Berlusconi, poi cambiato dai premier successivi Monti e Renzi; prima erano lotta all’evasione, poi si sono trasformati in un incentivo perché invece di assumere, al datore è proposto il voucher, e il resto è dato al nero.

D. Può essere anche considerato come un ricatto al dipendente?
R. Certo, il datore di lavoro cerca di risparmiare sempre mentre il lavoratore è una categoria debole che pur di guadagnare, soprattutto in tempi di crisi, accetta qualunque compromesso. In realtà l’evasione non si risolve perché non ce n’è la volontà, non perché non ce ne siano le possibilità.

D. Secondo la sua esperienza, nel referendum chi avrebbe vinto?
R. Avrebbe vinto chi proponeva il referendum, ossia chi ne voleva l’eliminazione, perché anche i lavoratori si sono resi conto che questi bonus per il lavoro accessorio non andavano a loro vantaggio, peraltro non garantendo nemmeno i diritti classici come in caso di incidente sul luogo di lavoro o i mesi dedicati alla maternità. Dai voucher il «piacere» lo hanno avuto solo i datori di lavoro e questo molti lavoratori lo sanno.

D. I voucher vengono usati negli altri Paesi, ma funzionano?
R. Funzionano e ci sono, come in Germania e nei Paesi del nord.

D. Manca la dignità del lavoro: come si spiega che all’estero le cose funzionino, mentre da noi è un’epopea?
R. In atto ci sono tanti contrasti; il primo è quello di un fisco europeo diverso da nazione a nazione. La paga oraria di un operaio tedesco è uguale alla paga di un operaio italiano, 19 euro l’ora, però il netto che percepisce il lavoratore tedesco è il doppio di quello che percepisce il lavoratore italiano perché il 53-55 per cento glielo porta via la tassazione. Si ha una moneta unica, una politica unica, ma un fisco diverso, quindi la prima cosa che dovrebbe farsi è unificare il fisco in modo che la paga netta di un operaio sia uguale per tutti.

D. E i giovani come faranno?
R. Vorrei fare un discorso partendo più da lontano: è la scuola che mette nelle condizioni di non essere meritevoli. Oggi sono usati solo due voti, il 9 e il 10, e il 5 non lo da più nessuno altrimenti i genitori divengono subito i sindacalisti dei propri figli. Quindi c’è un diritto allo studio ma non c’è un dovere di studiare: in Italia bisogna cambiare la scuola perché se non c’è istruzione non c’è futuro, bisogna rivalutare il ruolo sociale degli insegnanti. I giovani devono fare un percorso di istruzione, educazione e formazione, ci vorrebbe una scuola diversa, dove si studia, dove ci si impegna e dove va avanti il merito. Bisognerebbe aumentare gli anni per la preparazione di base e diminuire gli anni universitari, invece si sta facendo il contrario. L’ho definita umoristicamente la «teoria dell’uovo sodo»: se si mette un uovo a sodare per oltre 6 minuti l’uovo diventa verde ed è da buttare. I giovani di oggi sono diventati verdi. Ho cominciato a insegnare nel 1968 e guadagnavo 107 mila lire al mese, ora gli insegnanti prendono circa 1.200 euro, ma non c’è né paragone né proporzione perché se prima una stanza costava qualche milione di lire, adesso ci vogliono migliaia di euro, per cui un giovane non può neppure comprarsi casa. C’è da dire un’altra cosa; allora era poca la retribuzione ma era alta la considerazione sociale, ora un giovane insegnante viene definito non all’altezza. Bisogna ripartire dall’investimento nella scuola, non considerarlo un costo: non va tagliato bensì considerato un investimento redditizio. Stanno cercando di massificare tutti i cervelli in modo che non abbiano elementi di criticità e che siano manovrabili.

D. Credete ancora nel potere dello sciopero?
R. Lo sciopero è un’arma obsoleta cui un sindacato moderno non dovrebbe neanche pensare, andava bene una volta quando ci si credeva e quando c’era un padrone, una controparte; oggi questa figura non esiste più, non esistono più né l’operaio né il padrone. Se persiste l’attuale situazione di crisi, si possono determinare proteste non controllabili o l’utilizzo estremo dello sciopero. Ultimamente si sono visti gli orrori da parte della Pubblica Amministrazione e del potere politico, che farebbero arrabbiare anche le persone più pacifiche. La storia degli 80 euro introdotta dal Governo Renzi, ad esempio: hanno calcolato questi 80 euro andandoli a sommare al reddito e quindi chi ne usufruisce deve pagare ulteriori tasse, portando i contribuenti all’esasperazione. Inoltre, così facendo hanno parificato colui che prendeva uno stipendio di non oltre 1.300 euro con colui che aveva ottenuto, per scelta del datore, uno stipendio da 1.380, in un certo senso colpendo la meritocrazia anche qui. Altra cosa grave accaduta di recente è stata quella di consentire a Luca Cordero di Montezemolo e Diego Della Valle di mettere treni sulla nostra linea ferroviaria, causando una congestione del traffico con spaventosi ritardi e non dando alcun vantaggio ai contribuenti nonché viaggiatori, perché i binari si sono «intasati» e si corre sempre il rischio che un treno si fermi e blocchi gli altri. Tutto questo si è fatto per liberalizzare, perché quegli stessi che volevano nazionalizzare sono gli stessi che ora vogliono privatizzare; coloro che hanno rovinato l’agricoltura sono gli stessi che oggi danno gli incentivi per tornare a coltivare la terra. Possono permettersi di farci qualsiasi cosa.   (ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – Aprile 2017