HO INTERVISTATO UNA GATTA PIANISTA: NORA, THE PIANO CAT

Ho intervistato un gatto. Ma, cosa ancora più importante, ho intervistato l’unico musicista, in tutta la mia vita, che ho stimato anche come persona.

Gioacchino Rossini aveva scritto un Duetto buffo di due gatti, brano per piano e due voci femminili che interpretano il miagolio suadente e lamentoso di due mici. Il testo faceva proprio «miao». Un pezzo ironico composto per ricordare quei due gatti che lo svegliavano tutte le mattine nella sua residenza di Padua e che appartenevano alla padrona di casa, alla quale lo dedicava. Oggi in Pennsylvania c’è Nora, una gatta che sa suonare il piano da quando aveva un anno: sa scegliersi le note, cerca quelle nere, conosce il ritmo e lo segue, sa cambiare il volume. Appoggia anche la testolina sulla tastiera mentre suona, come faceva Beethoven da che divenne sordo. Non sarà un caso, allora, che ha ottenuto milioni di visite su Youtube questa micia. Vive con altri cinque gatti e due umani, Betsy Alexander e Burnell Yow, che la presero per caso in un negozio di animali del New Jersey, il Cherry Hill.

Nora the Piano Cat

Betsy, diplomata in Composizione, suona e canta dal 1978, a 15 anni scrisse il suo primo musical, su Caino e Abele, si trasferì a New York, scrisse i musical Stakin’ My Claim, Another Kind Of Hero, poi un musical su Anna Frank, un altro basato sulla commedia I Never Saw Another Butterfly e molti altri per bambini. Per la sua gatta ha scritto duetti, che ha pubblicato perché i suoi allievi potessero studiarli: Nora the Piano Cat’s Easy Piano Duets (because not everything in life should be hard) e Nora The Piano Cat’s Impressive Sounding Duets (because sometimes you just want to impress other people). Burnell è un pittore e un musicista autodidatta. Insieme a Betsy ha creato il Raven Wings Studio (www.ravenswingstudio.com).

Domanda. Nora, come hai imparato a suonare il pianoforte?
Risposta.
Ho vissuto con Betsy e Burnell per circa un anno prima di cominciare a suonare. Mentre i miei fratelli sonnecchiavano al piano di sopra, io trascorrevo tutto il mio tempo sotto, nello studio con Betsy e i suoi allievi. Ballavo – specchiandomi nel riflesso delle mie zampe – sopra la coda del pianoforte formando circoli mentre loro suonavano, e dalla coda del piano osservavo dall’alto i libri di musica sul leggio e le loro dita; altre volte mi sedevo accanto agli allievi sulla panca o sulla poltrona e guardavo Betsy fare lezione. Mi piaceva soprattutto infilarmi nel fodero della chitarra. Vedevo l’attenzione che Betsy dava ai suoi allievi mentre suonavano ed io adoro essere al centro dell’ attenzione.

Di solito non faccio follie per essere coccolata o tenuta in braccio, ma mi piacciono gli applausi e i complimenti: un giorno semplicemente sono saltata sulla panca e mi sono seduta proprio come gli altri allievi, ho usato i cuscinetti delle zampe per premere sulle note e mi sono compiaciuta di ascoltare i suoni che ne uscivano. Betsy e Burnell mi hanno sentito e sono corsi giù per le scale esultanti: è lì che ho deciso di continuare a studiare pianoforte. È stato come un viaggio premio: ricevo mail da tutto il mondo e i fans mi vengono a trovare per sentirmi suonare. Sono felice di ispirare gli altri a raggiungere il proprio potenziale e scoprire la gioia di suonare uno strumento.

D. Ti viene mai da cacciare una mosca che ti ronza intorno mentre suoni? O meglio: i tuoi istinti animali prevalgono mai sui tuoi talenti umani privandoli di razionalità?
R. Come ho scritto sul mio libro, Nora The Piano Cat’s Guide to Becoming a Good Musician (or How To Get Good At Anything Hard), Betsy è umana e ha l’attenzione di un umano; io sono un gatto e, per natura ho l’attenzione di un felino. Il rumore più sottile, il movimento più fine mi distraggono, ahimé, così procedo a intervalli, ma riesco molto perché sono molto concentrata durante le lezioni di pratica e lavoro duramente sulle parti più difficili. Tuttavia, se un insetto mi vola davanti, devo smettere di fare ciò che sto facendo e vado a cacciarlo. Sono un predatore, dopo tutto. E se uno dei miei fratelli si avvicina al piano mentre sto suonando, devo interrompermi e dirgli di andar via: è il mio pianoforte e non mi piace dividerlo con nessuno, nemmeno con Betsy. È importante non doversi comparare agli altri mentre s’impara a suonare uno strumento. Naturalmente traggo ispirazione dai musicisti talentuosi, ma accetto chi sono e faccio il meglio con ciò che ho. Betsy ha dieci dita ma io ho solo due zampe e la mia testa da usare, e suono con passione ed entusiasmo a prescindere da questi limiti. Credo di essere come il primo astronauta che ha camminato sulla luna: sono un pioniere, un esempio per tutti gli altri gatti del pianeta, e ispiro tutti a esaudire i proprio sogni.

D. Chi è il tuo musicista preferito? Chi ti fa fare più fusa, chi ti esalta, chi ti fa venir voglia di suonare di più?
R.
Facile: Betsy è la mia musicita preferita! L’ascolto ogni giorno. Faccio rumorose fusa anche mentre sono io a suonare il piano (le faccio a volte anche quando dormo e mi accarezzano la pancia). Il solo fare musica è in grado di eccitare ogni parte di me, come accade ad ogni altro musicista professionista.

Ho anche degli artisti preferiti: innanzitutto Johann Sebastian Bach, un genio. Tutte le volte che ascolto suonare il suo Minuetto in Sol, dal libro di Anna Magdalina, o il dolcissimo, delirante Preludio in Do, o qualunque altra sua brillante composizione, devo correre al piano e suonare, anche se stavo riposando. Sono anche una grande fan di Beethoven, in particolare di Per Elisa. E sono stranamente colpita da Mary Had A Little Lamb.

D. Qual è il tuo genere preferito?
R. Sono una musicista classica. Essendo un’intellettuale, non posso che immergermi nella perfezione matematica ed emotiva di questo genere, ma sono aperta a tutti i tipi di musica e di strumenti. Se solo potessi tenere un flauto, proverei a suonarlo: grazie al cielo sono stata adottata in una casa con un pianoforte!

Mi dicono sempre che sembra che suoni del jazz, e sono d’accordo: è facile per me suonare il tritono perché tra il si e il do o tra il mi e il fa non ci sono tasti neri. Per questo mi ascolterete spesso suonare un si e un fa insieme: è un intervallo buonissimo per la mia zampetta. Ma posso anche raggiungere i tasti neri, che aggiungono molto sapore al suono. Preferisco le note sopra il do: sono sempre stata attratta dalle note alte poiché posso ascoltarle molto meglio di quanto non facciate voi umani. Eh già, tutti abbiamo dei limiti da superare nella vita.

D. Sai davvero cosa stai facendo mentre suoni il pianoforte, o suoni a caso?
R. Mi prendi in giro? Certo che so quello che faccio. Se guardi i miei video, noterai che spesso nei duetti suono nella medesima chiave in cui suonano gli allievi. Non è un caso: decido davanti a quali note sedermi prima di suonare. Suono anche ritmi diversi e ripeto note da pianissimo a forte e al contrario. Quando l’allievo smette di suonare, anche io termino nel duetto. Ogni volta. Sempre. Quando lui smette, io smetto. Come potrebbe essere un caso?

Una volta, sotto Natale, Betsy insegnava usando il mio piano, così mi sono seduta all’altro e ho suonato: la la la, la la la, la do fa sol la in ritmo perfetto, l’esatta introduzione di Jingle Bells. Quando sono da sola, improvviso. Se Betsy e Burnell entrano per riprendermi, io mi interrompo e salto giù – non mi piace essere interrotta durante momenti di intensa creatività -. A volte utilizzo una zampa per tenere una nota e uso l’ altra per suonarne un’altra, così posso produrre un suono uniforme.

D. Cantare è un’ipotesi?
R.
Una volta Betsy e Burnell stavano rilasciando un’intervista al piano di sopra, ed io ho cominciato a suonare furiosamente e a cantare (mi piace essere sempre nello «spotlight») miagolando più forte che potevo: nel futuro proverò anche a cantare mentre suono.

D. Ti senti un gatto differente, o un umano differente?
R. Mi sento un gatto. Ultimamente mi hanno detto che sono ingrassata: perché la gente comune ha queste aspettative rispetto a una celebrità? Perché bada solo alle apparenze? Noi siamo come tutti. Come Oprah, mi piace mangiare e ho un metabolismo lento. Mi piace stare da sola, o con Betsy. Il mio unico amico è mio fratello Ronnie, i miei fan mi adorano e per me è un piacere essere intervistata da te. Saluto tutti i miei ammiratori italiani e auguro che i loro sogni di tonno divengano realtà. (a cura di Romina Ciuffa)

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AFRICA SARDA STUDIO: DA CARLA COCCO AL GHETTO DI BAULENI, IL NOSTRO “WE ARE THE WORLD”

Qui esplicitamente a chiedere di collaborare per la realizzazione di un progetto di solidarietà con il compound zambiano di Bauleni, in cambio di “ricompense” come indicato al link: https://www.musicraiser.com/it/projects/9415-africa-sarda-studio

Il punto è che fare musica non basta. Come non basta scrivere e nemmeno costruire i palazzi. C’è una sorta di meta-trasformazione di ciò che si fa in ciò che si è che va valutata (e sviluppata) ogni qualvolta si intenda rendere il proprio talento concretezza. Che un album sia pubblicato non significa, per me, nulla. Oggi ancor di più, potendolo scrivere e produrre in casa anche con l’apporto dei più grandi artisti globali che dalla loro abitazione non hanno mosso un passo, se non fatto click per l’invio del file audio come partecipazione al disco. Non serve a nulla, salvo considerare l’ascolto e, in questo millennio, le visualizzazioni, le quali certo non corrispondono a un “la so”. Il “la so” è per chi la sa, ossia la ha ascoltata, interiorizzata, ne conosce il testo e, mi spingo oltre, anche il video, considerando che personalmente so rifare per intero tutto il videoclip di Faith nella persona di George Michael e il moonwalker di Michael Jackson, nonché il balletto di Thriller. Sto dicendo una cosa: tutto deve avere una funzione. Come dire: l’atto sessuale provoca piacere intrinseco, sì, ma si può anche usare per la riproduzione.

Carla Cocco provoca piacere, prima, poi genera. Figli. Neri. Ecco come. Un progetto, quello di Africa Sarda Studio, che sto seguendo e che ascolto in anteprima mentre lo si registra in Africa, nel compound di Bauleni, in Zambia. Qui, esattamente:


Mutatis mutandis, parte una campagna di crowfunding per un ghetto africano, su https://www.musicraiser.com/it/projects/9415-africa-sarda-studio. Classe 78, cantante sarda di origine greca che vive a Roma da 20 anni, Carla Cocco ha scelto, per il suo quarto album, di finalizzare il proprio impegno in qualcosa di ri-produttivo. Non riproduzione solo musicale, una vera e propria gravi-danza. Nel 2015, quando rappresenta musicalmente l’Italia a Lusaka (Zambia) per la XV edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo, ha l’occasione di visitare il compound di Bauleni e conoscere gli African Voice Band, una band di adolescenti nata nei cortili del ghetto. È lì che nasce l’idea, il sogno: Africa Sarda Studio, uno studio di registrazione e insieme una scuola di musica all’interno del ghetto, per permettere ai ragazzi di studiare, esercitarsi, incidere autonomamente la propria musica e portarla fuori dal ghetto stesso, anche attraverso l’organizzazione di una serie di concerti, lontano da una realtà che è ben nota. In tal modo i ragazzi sarebbero (saranno) i protagonisti attivi dello sviluppo della comunità in cui vivono e verrebbero (verranno) sottratti al loro inevitabile destino di povertà, analfabetismo, delinquenza e tossicodipendenza. Si darebbe (darà) loro la possibilità di costruirsi un futuro diverso, nuovo, positivo. Ed una stanza nel ghetto è stata già predisposta e pensata solo per lo studio (50 mq circa).

Con In&Out of the Ghetto (www.africass.it), associazione zambiana guidata dall’educatore Diego Cassinelli, la cui filosofia è: “C’è posto per il bello e il brutto ma non più per il pietismo. Basta bambini con le mosche in faccia e il pancione”. Azione.


Diego Mwanza Cassinelli

A Natale 2017 Carla torna a Bauleni, da sola, per iniziare la produzione del disco e condividere la vita del ghetto. Sono prodotti così i primi brani, creata la base della nuova struttura.

Cos’è Bauleni? Il compound, nato come insediamento non autorizzato, è fuori dalla responsabilità e dall’interesse dell’amministrazione della città; vi è, in Bauleni come negli altri slum, una strumentalizzazione di numeri da parte di terzi per trarne vantaggio, per esempio l’aumento di cifre inerenti la popolazione del compound stesso, il numero di persone particolarmente vulnerabili e altri dati sensibili ai fini di ottenere fondi. Questo insediamento ha origine nel 1945, e prende il nome dal vecchio proprietario della terra, Mr. Boulen, ex soldato tedesco in pensione o fuggito dopo la sconfitta dalla Germania nel conflitto mondiale. Successivamente il suo cuoco, proveniente dal Malawi, con l’aiuto di altri braccianti si incaricò del funzionamento dell’intera farm.

“Dall’inizio della formazione del compound di Bauleni la popolazione cresce anno dopo anno in maniera preoccupante”. Spiega Cassinelli“Il conteggio della popolazione è un aspetto problematico, abbiamo dati poco credibili e gonfiati di alcune agenzie, che stimano una cifra di 90 mila abitanti su 8 mila abitazioni; questo vorrebbe dire una media di 11 abitanti per casa, cosa che non corrisponde a ciò che ho potuto osservare nei miei 2 anni di frequentazione del compound. Altre fonti non ufficiali abbassano il numero a 30/35/40 mila. Una delle azioni prioritarie è la quantificazione in modo più puntuale e neutro attraverso ricerche sul campo, attraverso l’aiuto dei giovani del compound: questo può diventare un progetto per i giovani dei bar”. 

Altro? L’accesso all’acqua potabile è garantita da 3 pozzi, da 3 cisterne in differenti zone e un numero non precisato di rubinetti sparsi nel compound (da ricercare). All’interno e nelle vicinanze non ci sono ospedali, bensì una clinica fondata dalla collaborazione dei Governi dello Zambia e della Danimarca, con un reparto maternità, “struttura non sufficientemente preparata a far fronte alla ingente quantità di persone affette da diverse malattie che si riversano ogni giorno per cure, terapie o per semplice consulenza”. Vi sono inoltre una clinica privata di dimensioni notevolmente più contenuta e meno attrezzata, e un dottore locale che esercita legalmente.

La campagna di crowdfunding AFRICA SARDA STUDIO, lanciata da Carla Cocco, serve a coprire in parte i costi per la realizzazione dello studio di registrazione nel ghetto; le spese per un corso di formazione di fonia per i ragazzi e i costi per la realizzazione del disco al quale parteciperanno in tanti, che si sono offerti di dare il loro contributo. Più avanti, l’organizzazione di concerti per far muovere il ghetto dal ghetto e farlo tornare, più deciso, nel ghetto. Più pronto. Più forte. Con spalle più grosse.

“Musica vuol dire condivisione, vuol dire empatia, vuol dire amore–dichiara la cantante–, ecco perché ho pensato al crowdfunding: una famiglia, la nostra, quella che costruiremo insieme, che permetterà la realizzazione di un sogno che potrebbe cambiare per sempre la vita di questi ragazzi e la nostra, perché ne saremmo gli artefici. Abbiamo tanto da imparare da loro, dalle loro risate, dai loro sorrisi. Se riusciremo a raggiungere e superare la cifra per ora fissata su Musicraiser, quella di 5 mila euro, saremo stati capaci di creare insieme una nuova sinfonia, degna dei più grandi compositori”.  

Personalmente credo che fare gli auguri di Natale da Cortina serva a ben poco. A livello globale, intesi. Per chi mastica social condividendo link senz’anima come un “adesso spogliati”. Che sia più utile un’esperienza in cui i vestiti di cui adesso spogliarsi non ci sono nemmeno, quale quella vissuta dalla Cocco in Africa, in quei giorni e nei giorni che verranno, per funzionalizzare il concetto del “la so” ed integrarlo con quello di “la do”, ossia donare i propri sforzi ad un impegno superiore. La causa può essere diversa, sono molte le cose da fare oltre allo scroll sui social. In questo caso si possono acquistare cd, concerti in casa di Carla, ed anche una settimana di “soggiorno” nel Compound di Bauleni: sono le ricompense per i donatori, tutte ben esplicitate nella piattaforma di Musicraiser. È il vero “like”, il mi piace dell’attivo. Non c’è bisogno di fare uno sforzo filosofico sul “c’è chi sta peggio” né di muoversi a compassione. Tali emozioni non servono, sciare non è vietato; ciò che è utile è l’azione. La funzionalizzazione. L’oltre. Cantare con Toquinho va bene, essere scelta per rappresentare i 100 anni di Vinicius de Moraes all’Auditorium Parco della Musica di Roma va bene, affiancare Ornella Vanoni va bene, ma scegliere come partner ufficiale del prossimo disco il Compound di Bauleni fa bene. Tutti possiamo, a nostra misura, riscrivere “We are the World”. (ROMINA CIUFFA)

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