7 SETTEMBRE: L’INDIPENDENZA DEL BRASILE DAL PORTOGALLO LUNGO UN CAMMINO DI SCHIAVITÙ E SANGUE

Il 22 aprile del 1500 Pedro Alvares Cabral avvistò terra: era l’attuale Santa Cruz de Cabràlia, nello Stato nordestino di Bahia. Il Brasile non era affatto una meta accattivante: abitata da indigeni, e non v’erano dichiarati propositi colonialisti da parte degli europei, sebbene quel territorio fosse stato già spartito tra Spagna e Portogallo, ancor prima della sua scoperta ufficiale quando, con il trattato di Tordesillas (7 giugno 1494), i due iberici definivano la frontiera che divideva il continente brasiliano da Nord a Sud, dall’attuale stato di Parà fino alla città di Laguna (modificata in seguito con l’espansione portoghese ad Ovest). Allo sbarco di Cabral l’intento era mite: si intendeva popolare le Americhe ed usare le terre brasiliane come base per il commercio con le Indie, l’impresa di navigazione puntava sugli scambi con i prodotti locali. Era necessario capire come.

L’occupazione vera e propria inizia comunque, sebbene 32 anni dopo, con la fondazione nello Stato di San Paolo di Vila de São Vicente, che è nel guinnes dei primati come la «cidade mais velha do Brasil»: nel 1531 il re del Portogallo João III inviò in Brasile i coloni con Tomé de Sousa, primo governatore generale. I portoghesi trovarono un popolo ingenuo (che li accolse prima di doverli odiare) privo di organizzazione militare che poterono assoggettare con facilità più che con destrezza e, in base al vecchio Trattato di Tordesillas integrato da quello di Saragozza del 1529, il nuovo territorio entrò ufficialmente a far parte della zona d’espansione territoriale del Portogallo. Risale al 1533 la prima struttura politica ed amministrativa brasiliana, basata sulle «capitanias», come volle re João III, concessioni terriere di tipo feudale date dal sovrano a nobili che, in cambio di un tributo, ottenevano pieni poteri sulla terra; ciò però implicava anche indipendenza di interessi presso ogni capitanato (ve n’erano 12), che di fatto era una comunità separata dalle altre, per tale ragione non attenta al commercio e alla difesa del Paese dagli interessi stranieri. Il re ritenne, per ovviare a questa dispersione, di fondare un potere centrale, nominando un governatore generale: il 29 marzo 1549 fu fondata la capitale, Salvador.

Fu allora che l’accoglienza brasiliana si tradusse in ostilità e nel conflitto bianchi-neri: da una parte i portoghesi costringevano gli oriundi a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero, dall’altra la tratta degli schiavi fece giungere dall’Africa più di 4 milioni di neri. Contro le barbarità i preti gesuiti costruirono «reducciones», villaggi di civilizzazione e difesa contro le razzie dei coloni portoghesi e spagnoli, in cui i missionari accoglievano i fuggiaschi ed insegnavano la fede cristiana. Intanto gli schiavi si rifugiavano nelle regioni dell’interno più inaccessibili dove si organizzavano in «quilombos», il più emblematico dei quali è il quilombo di Palmares – comunità autonoma, regno o repubblica secondo alcuni – che occupava una vasta area, grande quasi quanto il Portogallo, nella zona nordorientale del Brasile, tra gli odierni Stati dell’Alagoas e Pernambuco, e che arrivò a contare 30 mila abitanti. Ancora oggi questo quilombo è il simbolo della resistenza degli africani alla schiavitù, così come lo è Zumbi dos Palmares.

Quando giunsero le navi della Compagnia Olandese delle Indie Occidentali nel Pernambuco, fu destabilizzato il mercato della canna da zucchero e facilitata la fuga degli schiavi per contrastare il Portogallo. Ma l’Olanda riuscì a prendere solo la città di Olinda e fu proprio a Palmares che gli olandesi puntarono, nel 1644, per tentare un’alleanza antiportoghese: primo tentativo olandese di conquistare le terre brasiliane ad onta della bolla papale «Ea quae pro bono pacis» del 1506 e del Trattato di Tordesillas che la stessa proteggeva, secondo cui alle nazioni europee differenti da Portogallo e Spagna che conducevano esplorazioni era negato l’accesso alle nuove terre, lasciandosi loro unicamente opzioni come la pirateria. Francesi ed olandesi provarono ad insediarsi, saccheggiarono Bahia, addirittura i secondi conquistarono temporaneamente la capitale e dal 1630 al 1654 si stabilirono nel Nordeste fondando la colonia di Nuova Olanda, padroneggiando una lunga striscia della costa più accessibile dall’Europa e controllando l’interno. Ma dopo anni di guerra aperta con i portoghesi gli olandesi si ritirarono, nel 1661.

Nel 1678 il governatore della Capitania de Pernambuco, stanco del lungo conflitto col quilombo de Palmares, si riappacificò col leader di Palmares, Ganga Zumbi, ed offrì la libertà a tutti gli schiavi fuggitivi a condizione che il quilombo si sottomettesse all’autorità portoghese; la proposta venne accettata ma Zumbi, sospettoso e contrario ad accettare la libertà solo per il quilombo mentre gli altri neri del Brasile rimanevano in stato di schiavitù, spodestò Ganga Zumbi divenendo il nuovo leader di Palmares, che invece soccomberà ai portoghesi nel 1694, dopo 94 anni di esistenza. Zumbi, tradito e denunciato da un vecchio amico, sarà localizzato, catturato e decapitato a 40 anni, per divenire eroe e martire. Ma l’insofferenza contro il dominio europeo si era ormai diffusa, oltre che nei quilombos e tra gli oppressi, anche nelle élite creole – strati benestanti di popolazione nata in America da genitori europei, molti dei quali iberici – che la cultura illuministica e le rivoluzioni americana e francese influenzavano.

Il Brasile, un secolo più tardi, giunse all’indipendenza senza una vera e propria lotta di liberazione nazionale, senza un vero e proprio (finale) spargimento di sangue, bensì per una decisione della famiglia regnante. Infatti, nel 1807 Napoleone invase il Portogallo marciando su Lisbona e il principe (futuro Pedro I), scortato dall’esercito britannico che fornì la protezione navale al viaggio, fuggì in Brasile giungendo a Rio nel 1808 e proclamandola capitale del Regno Unito di Portogallo. Il Brasile aprì i propri porti ed escluse lo status di colonia, provocando le ire di molti; così nel 1821 il re decise di rientrare a Lisbona e di lasciare il figlio Pietro come reggente del Brasile. Quest’ultimo, nonostante le pressioni dei liberali per tornare in patria, rimase (nel cosiddetto «Dia do Fico», ossia giorno dell’«io resto») e il Portogallo non poté più dominare il Brasile. Pietro I, istituendo una monarchia costituzionale, ne dicharò l’indipendenza il 7 settembre 1822 al grido di «Indipendenza o morte!», sulle rive del fiume Ipiranga.

Nelle negoziazioni del Congresso di Vienna, al Brasile fu data inizialmente condizione di regno all’interno dello Stato portoghese. Il Portogallo assunse la denominazione ufficiale di Regno Unito di Portogallo, Brasile e Algarve il 16 dicembre del 1815 (Gazzetta di Rio de Janeiro del 10 gennaio 1816), status che venne perso il 29 agosto 1825 dopo la ratificazione del Trattato di Rio de Janeiro siglato alla fine della Guerra d’Indipendenza del Brasile.

Il reggente João VI diveniva Imperatore Titolare del Brasile de jure, e simultaneamente abdicava in favore del figlio Pedro de Alcântara (Pedro I do Brasil), giuridicamente allora Principe Reale di Portogallo, Brasile e Algarve, già imperatore de facto del Brasile: in questo modo, alla morte del padre, avrebbero potuto eventualmente unirsi le due corone. Il Brasile aveva intanto, simultaneamente, un imperatore e un re (1822-1826) e due imperatori (1825-1827). Nel 1831 il regno passò a soli 5 anni a Pietro II, che dopo 9 anni di reggenze fu acclamato imperatore nel 1840, a 14 anni. Il suo regnò durò fino al 1889, quando fu rovesciato da un colpo di Stato che istituì la repubblica. Nel 1888, dichiarò l’abolizione della schiavitù.    (ROMINA CIUFFA)

Il 7 settembre il Brasile celebra l’indipendenza dall’incubo lusitano: colonialismo, corte e schiavismo che non fecero bene a un Paese che Paese ancora non era, bensì una terra totalmente vergine dalle dinamiche europee di conquiste e ricchezza, a scapito di un territorio e di una popolazione accoglienti. È istituita festa nazionale ma, mutata mutandis, la giornata del 7 settembre non è, per la popolazione, motivo di festeggiamenti, bensì occasione di protesta mentre il presidente Dilma Rousseff, vestita di bianco e con la fascia presidenziale, sfila a bordo della Rolls Royce cabrio ufficiale in testa al corteo di Brasilia, alla presenza di circa 25 mila persone. E lancia alla popolazione un videomessaggio, che traduciamo interamente.

Non senza anticipare ciò che Dilma ha fatto: non ha parlato di nulla, ha spostato il baricentro delle responsabilità del Paese prima al di fuori del Paese stesso (la crisi internazionale, i drammi dei Paesi emergenti, i rifugiati sulle spiagge europee) addirittura cogliendo l’occasione per invitarli a recarsi in Brasile, ove saranno accolti (ma come?); quindi spostando il medesimo baricentro in una visione autoattribuente, con un locus of control interno del tipo «il problema è dentro di noi». In un discorso nel quale si fa retorica senza empatia e dove sono presenti molte ripetizioni e scarsa capacità linguistica e comunicativa, accompagnato, per di più, da stacchetti di forte impatto, stile Casa Bianca, che aprono ciascuno dei paragrafi in cui esso è stato distinto. «Casa verdeoro».

L’avvocato e politico Flavio Bierrenbach, per anni ministro del Tribunale militare, ha commentato altri discorsi della Rousseff: «Seguo la politica brasiliana attentamente da sempre. Ho già visto nella mia vita presidenti che sono buoni oratori, cattivi oratori, mediocri oratori: non ho avuto alcuna sopresa dinnanzi a quello che è quasi un caso di dislessia, incapacità di formulare un’idea con inizio, discorso e conclusione, incapacità di comunicare qualcosa. La presidentessa brasiliana non sa comunicare. Dovrebbe leggere. Risulterebbe più semplice, più intelligente per se stessa e per i suoi discorsi». Mentre, per lo storico Leandro Karnal: «Non è necessario sapere di tutto, o parlare di tutto: il silenzio è meglio in certi casi e crea un’utile illusione di conoscenza sullo spettatore».

La traduzione è effettuata senza apportare modifiche al discorso, mantenendo anche le ripetizioni. (ROMINA CIUFFA)

DILMA ROUSSEFF. «Cari brasiliani e brasiliane, voglio parlarvi oggi, 7 settembre, giorno dell’indipendenza del Brasile, come un momento per riflettere, parlare delle nostre preoccupazioni sul presente ed il futuro del Paese. È vero che attraversiamo una fase di difficoltà, affrontiamo problemi e sfide, e so che la mia responsabilità è quella di presentare percorsi e soluzioni per fare ciò che deve esser fatto. I problemi e le sfide derivano da un lungo periodo di azioni di un Governo che ha compreso di dover spendere ciò che è necessario per garantire impiego, continuità di investimento, programmi sociali. Dobbiamo ora rivalutare tutte queste misure e ridurre quelle che devono essere ridotte. I nostri problemi vengono anche da fuori, e nessuno che sia onesto può negarlo: è evidente che la situazione in molte parti del mondo si è nuovamente aggravata per la crisi internazionale, colpendo ora i Paesi emergenti, Paesi importanti, anche partner del Brasile. Il mondo, oltre a questo, affronta tragedie di natura umanitaria, come quella scioccante dei rifugiati che muoiono nelle spiagge europee mentre cercano rifugio dalla guerra. L’immagine di un bambino di appena tre anni ha commosso tutti noi e ci ha posto una grande sfida».

«Noi, il Brasile, siamo una nazione formata da popolazioni delle più diverse origini che qui vivono in pace. Anche nelle più grandi difficoltà, o in crisi come quella che stiamo attraversando, abbiamo le braccia aperte per accogliere i rifugiati. Colgo l’occasione, nel giorno di oggi, per rinnovare la nostra disponibilità ad accogliere coloro che, espulsi dalla propria patria, vogliano venire qui a vivere, lavorare e contribuire alla prosperità e alla pace del Brasile».

«Insisto: le difficoltà sono nostre, e sono superabili. Ciò che voglio dire, con tutta franchezza, è che stiamo attraversando sfide. È possibile commettere errori, ma li supereremo e andremo avanti. Ecco alcuni rimedi a questa situazione: è vero, sono amari, ma indispensabili. Le misure che stiamo adottando sono necessarie per risistemare la nostra casa, ridurre l’inflazione ad esempio, rafforzarci dinnanzi al mondo, e condurre il Brasile nel più breve tempo possibile alla ripresa della crescita. Possiamo e vogliamo essere esempio per il mondo, esempio di crescita economica e di valorizzazione delle persone. Lo sforzo di noi tutti è quello che ci porterà a superare questo momento. Io lo so. E so anche che l’unione intorno al nostro Paese e al nostro popolo è la forza capace di condurci lungo questo viaggio. È il momento, questo, in cui dobbiamo sorvolare le differenze minori e mettere in secondo piano gli interessi individuali o di parte. Mi sento pronta a condurre il Brasile sul cammino di un nuovo ciclo di crescita, ampliando le opportunità che il nostro popolo ha per andare avanti con più e migliori impieghi. Noi vogliamo un Paese con inflazione sotto controllo, interessi decrescenti, rendite e salari alti. Posso garantire che nessuna difficoltà mi farà rinunciare all’anima e al carattere del mio Governo, che consistono nell’assicurare, in questo Paese di grandi diversità, opportunità uguali per la nostra popolazione, senza battute d’arresto, senza retrocessioni».

«Noi siamo stati capaci di tirare fuori dalla miseria milioni di persone ed elevarne altri milioni ai canoni di consumo delle classi medie. Cresceremo di nuovo per avanzare ancor di più in questo cammino, costruendo un Brasile di lavoratori e imprenditori, di studenti, di esperti nell’agricoltura, nel commercio, nell’industria, nei servizi. Ma sappiamo che ancora manca molto per ottenere questo e perciò abbiamo bisogno di tornare a crescere, per portare, ad esempio, educazione di qualità a tutta la popolazione, dall’asilo al dottorato. Abbiamo esperienze vincenti e voglio contare su una grande vittoria: abbiamo appena vinto il primo posto nelle Olimpiadi mondiali della conoscenza tecnica, cui hanno partecipato 59 Paesi, molto forti nella formazione professionale come la Germania, la Corea del Sud, il Giappone, la Francia. La buona notizia è che l’84 per cento dei vincitori avevano fatto o stavano per fare il Pronatec (il Programma nazionale di accesso all’insegnamento tecnico e all’impiego, ndr), un accordo tra il Governo e il Senai (Servizio nazionale di apprendimento industriale, ndr), che conferisce borse di studio per la formazione tecnica, e vorrei sottolineare che la famiglia di uno dei vincitori della medaglia d’oro ha ricevuto anche la Bolsa Família, che gli ha consentito di accedere alle Olimpiadi».

«Cari brasiliani, care brasiliane, il giorno dell’indipendenza deve essere un momento di incontro del Brasile con se stesso, una celebrazione e un tributo che prestiamo agli eroi che hanno lottato per un Brasile forte, libero, indipendente. È in questo giorno che dobbiamo pensare che Paese vogliamo per noi e per i nostri figli e nipoti. È in questo giorno che onoriamo gli eroi dell’indipendenza, che rendiamo omaggio a tutti i brasiliani che hanno lottato e dato la propria vita affinché il nostro Paese restasse sempre libero dall’oppressione».

«È in questo giorno che riaffermiamo quello che una nazione e un popolo hanno di meglio: la capacità di lottare e la capacità di convivere con la diversità, tollerante nei confronti delle differenze, rispettoso nella difesa delle idee, e soprattutto ferma a difendere la miglior conquista raggiunta e che dobbiamo garantire permanentemente: la democrazia e l’adozione del voto popolare come metodo unico e legittimo di eleggere i nostri governanti e rappresentanti».

«L’indipendenza, cari brasiliani e brasiliane, accade ogni giorno nel Paese, nelle nostre case, nelle nostre famiglie, dentro ognuno di noi. È la forza nella nostra autostima come popolo e la certezza che i brasiliani sono ciò che il Brasile ha di meglio, con il nostro lavoro, la nostra unione, il nostro sforzo per mantenere le nostre famiglie e creare i nostri figli e nipoti, con l’allegria con cui passiamo i buoni momenti ed il coraggio con cui affrontiamo quelli brutti. Siamo tutti in lotta per l’indipendeza del Brasile. Oggi, più che mai, siamo tutti il Brasile».  (ROMINA CIUFFA)

In Italia quest’anno l’Ambasciata brasiliana, con sede a Roma nel Palazzo Pamphilj di Piazza Navona, ha invitato a festeggiare il 193esimo anniversario attraverso un ricevimento privato tenutosi l’8 settembre. Rioma lo ha documentato. L’ambasciatore Ricardo Neiva Tavares ha accolto, insieme alla moglie Cecilia, gli ospiti. Pur mancando un momento culturale, una tavola rotonda che spiegasse cosa sia l’indipendenza per un brasiliano, cosa è accaduto e come si è arrivati a quel 7 settembre in cui il re portoghese stesso ha liberato il Brasile dal Portogallo, l’evento è risultato, come ogni anno, il momento di incontro di moltissimi personaggi che ruotano intorno all’area verdeoro, intorno a caipirinha, pão de queijo, brigadeiros e beijinhos. Presente innanzitutto l’Ambasciatore del Portogallo in Italia, Manuel Lobo Antunes, accreditato anche presso l’Albania, Malta e la Repubblica di San Marino e, come Rappresentante permanente, presso le organizzazioni delle Nazioni Unite con sede a Roma (Fao, Ifad e Wfp/Pam). La sua partecipazione significa molto e infonde all’evento un afflato di storia e resurrezione.

L’apertura di Palazzo Pamphilj, appartenuto dal 1470 alla famiglia Pamphilj, completamente rinnovato dal Cardinale Giovanni Battista Pamphilj che, dal 1644, chiamò i più importanti artisti e architetti dell’epoca, come Bernini e Borromini per riprogettare l’intero isolato, è sempre un momento importante, che coniuga la storia, l’arte e l’architettura italiane con l’insediamento brasiliano: l’edificio infatti, ospita dal 1920 questa Ambasciata, ed è diventato una proprietà brasiliana nel 1961. (ROMINA CIUFFA)

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Ottobre 2015




LUCA MUCCI: MODENA TERZO MONDO, UN’ASSOCIAZIONE CHE AIUTA MIGLIAIA DI BRASILIANI A SPERARE

Modena Terzo Mondo (Mtm) è un’associazione di volontariato e solidarietà internazionale presente in Brasile da circa 25 anni, fondata da alcuni privati guidati da Luca Mucci, con l’obiettivo di tutelare i diritti e promuovere l’emancipazione dell’individuo in tutte le sue dimensioni attraverso la sensibilizzazione di persone e coscienze sulle grandi tematiche legate alla condizione di sottosviluppo e discriminazione sociale, economica, culturale e religiosa cui è soggetta buona parte della popolazione mondiale. Mtm si pone come punto di riferimento tra gli altri ed opera come associazione coltivando rapporti cordiali, collaborativi e fraterni, aiutando concretamente i più poveri e inducendo i più fortunati a vivere, pensare ed agire secondo la giustizia e la carità. Comunque esulando da un discorso cattolico.

Tutto comincia nel 1991 con il primo viaggio di Mucci, elettricista, insieme ad altri amici volontari nel Nord Est brasiliano, precisamente a Joaquim Nabuco, nello Stato del Pernambuco, dove da pochi mesi lavoravano tre suore dell’ordine del Divino Amore. Mucci scopre che a Modena sono molti coloro che condividono uno stile di vita improntato sulla solidarietà, lontano dagli affetti più cari; così fonda l’associazione che presiede, della quale oggi fanno parte Stefano Lugli, Andrea Di Paolo, Danilo Ferrari, Lidia Caruso, Enzo Mazzoli, Romina Buttini, Luca Caselli, Elisa Chierchia, Giulia Farinetti, Cristina Ioele.

I mezzi attraverso i quali Modena Terzo Mondo persegue i propri fini sono gruppi di studio, incontri, letture e dibattiti, collegamenti e collaborazioni con realtà esterne quali associazioni, movimenti religiosi, laici, diocesi, centri missionari ed istituzioni varie. Tutte le attività e i progetti sono svolti prevalentemente tramite le prestazioni fornite dai propri aderenti (non retribuite in alcun modo): mezzi finanziari derivanti dai contributi associativi, dalle oblazioni private e dagli eventuali contributi pubblici; mezzi culturali propri o derivanti dal collegamento con movimenti simili, con l’apparato scolastico, con le istituzioni, con i centri culturali e con i mass-media; mezzi civili propri o derivanti dal collegamento con esperienze di formazione civile e di volontariato nel servizio di rilievo sociale; mezzi formativi propri o derivanti dal collegamento con tutte le istituzioni pastorali e comunitarie impegnate nell’educazione. Il numero degli aderenti all’associazione è illimitato ed aperto a tutte le persone di buona volontà desiderose di impegnarsi nella solidarietà e nel volontariato.

Luca Mucci spiega i progetti che, in tale modo, ha portato avanti l’associazione. Non pochi, non piccoli.

Domanda. Perché ha voluto fondare questa associazione?
Risposta. Venticinque anni fa, compimmo un viaggio in Brasile per andare a trovare una suora che aveva aperto un centro per bambini a Recife, e in quell’occasione ci rendemmo conto che le notizie che ci arrivavamo e che ci venivano raccontate erano molto diverse dalla realtà: falsate e modificate a regola. Da lì è iniziata la nostra storia: tornati in Italia fondammo l’associazione perché avevamo visto e non potevamo dire che non conoscevamo, quindi dovevamo per forza fare qualcosa per cambiare: cominciammo ad occuparci dei bambini, poi ci siamo dedicati anche ad altri settori come agricoltura, salute, acqua.

D. In che modo l’associazione vi ha visto operativi nei primi anni?
R. Abbiamo innanzitutto subito cominciato a coinvolgere amici, parenti e conoscenti per costruire il primo centro per bambini a Pernambuco; da allora ne abbiamo costruiti 36.

D. Con quali finanziamenti?
R. Molto autofinanziamento: amici, soci e volontari. Adesso siamo in tutto 450, ogni mese ognuno mette quello che può, ma mettiamo in atto anche tantissime iniziative in tutta Italia, anche perché i nostri volontari sono sparsi un po’ dappertutto: di Modena c’è rimasto solo il nome. Nessuno di noi fa questo tipo di mestiere, siamo tutti privati, io personalmente trascorro 4-5 mesi all’anno in Brasile ormai da 20 anni. Sempre a mie spese. Ma in tutto questo tempo abbiamo fatto moltissima strada.

D. Quali sono le mete del vostro lavoro in Brasile?
R. Ogni viaggio è diverso dall’altro, faccio il giro di diversi centri ogni anno e mi occorrono una quindicina di giorni per ognuno di essi: c’è da sbrigare molto lavoro burocratico perché di questi centri ogni giorno usufruiscono circa 4 mila ragazzi e per mantenerli occorrono ogni mese tantissimi soldi. Così mi do da fare, insieme ad altri, per cercarli.

D. Il Governo brasiliano vi sostiene?
R. Ci sostiene molto, negli ultimi anni è cambiato molto in senso positivo, sui temi sociali è tutta un’altra cosa rispetto a 25 anni fa, quando eravamo più malvisti che benvisti.

D. È merito del nuovo Governo?
R. I Governi del PT, il Partito dei lavoratori, sono totalmente diversi rispetto ai Governi di destra, e per i brasiliani è meglio: si pensi solo al progetto «Luce per tutti». In un Paese che ha avuto più di 50 milioni di cittadini senza corrente elettrica in casa, con il lavoro del Governo almeno 30 milioni di persone ora la hanno.

D. Dove avete trovato le situazioni più gravi?
R. Ce ne sono diverse, nel Maranhão, nel Pernambuco, nel Ceará. Il Nord-Est era un bacino di schiavi, di donne delle pulizie, camerieri, muratori, un Paese completamente dimenticato dai Governi precedenti: ma se si tolgono i nordestini da San Paolo la città si ferma. Lavoriamo anche molto a San Paolo, nelle periferie come Guaianazes, dove abbiamo sostenuto la costruzione del centro «Casa Dos Meninos»; e a Mariana, nel Minas Gerais, dove abbiamo sostenuto il centro di integrazione familiare «Espaço Livre».

D. Lavorate anche con la Chiesa?
R. Siamo un’associazione d’ispirazione cristiana ma non di Chiesa, e siamo aperti a tutti anche in ragione del fatto che abbiamo obiettivi umanitari. Dal canto suo la Chiesa modenese è presente in Brasile da circa 50 anni e con essa lavoriamo per la causa, come con chiunque abbia a cuore i problemi delle persone a prescindere da tutto.

D. La politica italiana vi aiuta?
R. Lasciamo perdere. Ma abbiamo lavorato molto con gli enti locali dell’Emilia Romagna: nonostante la crisi, i terremoti, le sciagure che sono accadute dalle nostre parti, il sostegno c’è sempre.

D. Ha incontrato molti personaggi impegnati nei vari campi, tra cui Padre Luigi Ciotti, Gianni Minà, Marina Silva ed altri: chi il più significativo per l’associazione?
R. L’ex presidente brasiliano Lula, che a Modena è venuto tante volte prima che diventasse presidente e i suoi viaggi in Italia li organizzavamo noi. Siamo rimasti in ottimi rapporti e ci vediamo ogni 2-3 mesi, abbiamo portato avanti insieme numerose iniziative.

D. È migliorato il Brasile?
R. Sì. Ad esempio è il Paese che ha più studenti universitari all’estero, il Governo paga tutte le spese e dà la possibilità a tutti di poter fare questa esperienza. Fino a 12 anni fa, i ragazzi di colore non andavano all’università, mentre ora ci vanno. Si sono avuti passi in avanti incredibili. Indubbiamente ci sono dei problemi, però meno di quello che si fa intendere. Molte cose sono orchestrate da una minoranza che non accetta di aver perso per la terza volta consecutiva le elezioni, e fa di tutto e di più per cercare di invertire un risultato che è evidente.

D. Condivide le azioni compiute dal Governo per i Mondiali e le Olimpiadi?
R. Ci sono state azioni negative, come gli sgomberi delle favelas, che non condivido per come sono stati condotti, spostando persone per centinaia di chilometri senza fornire loro le condizioni di vita minime, e questa è stata una delle poche cose pessime che sono state compiute. Ma dall’altra parte ne hanno sistemate altre: il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto, dipende dai punti di vista, ma il Brasile resta l’unico Paese che si è aggiudicato Mondiali di calcio ed Olimpiadi.

D. Per lei è un fatto positivo?
R. Se non ci fossero state problematiche molto grandi, sarebbe stato più che positivo. Un fatto che ha salvato tanta gente, ha portato soldi e creato molte infrastrutture le quali, oltre ad essere state impiegate per i Mondiali prima, per le Olimpiadi poi, resteranno.

D. Avrebbero potuto dare alfabetizzazione e sanità.
R. Ma non si può dimenticare che di alfabetizzazione ne è stata fatta tanta in questi anni, così come di progetti sociali.

D. E l’ambasciatore brasiliano in Italia, Ricardo Neiva Tavares, come si pone nei vostri confronti?
R. Anche lui è venuto a Modena diverse volte, ci sostiene e si dà da fare. Oggi con noi l’Ambasciata è aperta, dieci anni fa invece era molto chiusa.

D. Come funziona il volontariato?
R. Ci sono tantissimi ragazzi che chiedono di poter fare questo tipo di esperienza con i progetti, ognuno si paga le proprie spese, c’è un costo di mantenimento politico nelle strutture di 10 euro al giorno, e i volontari sono ospitati direttamente nelle case a ciò adibite o da famiglie che da molti anni mettono a disposizione alcune loro stanze.

D. Come si conosce la vostra attività?
R. Con un passa parola continuo. Non c’è bisogno di fare tanta pubblicità perché ogni anno quei 30-40 volontari che vanno via coinvolgono altre persone e ogni anno ci sono gli amici degli amici.

D. In Italia invece organizzate eventi e fate incontri?
R. Tutto quello che facciamo è sensibilizzare chiunque su quelle situazioni di ingiustizia che circolano nel mondo, e che purtroppo sono tante. Manca proprio la comunicazione dei mass media che è praticamente nulla, e si parla del Brasile solo per gli eventi sportivi, le favelas, o la corruzione o la foresta che sta per essere distrutta, ma non si parla del fatto che siamo noi che ordiniamo la legna, non si parla di queste contraddizioni.

D. Chi è che sceglie i progetti?
R. Nascono con i viaggi ma devono autosostenersi nel tempo: noi non andiamo a dire a casa degli altri cosa è giusto fare o meno, quello è colonialismo. Andiamo a vedere di cosa hanno bisogno. Siamo aperti alle proposte altrui e a valutarne la fattibilità che è prospettata.

D. Parliamo di alcuni progetti specifici. Aiutate le prostitute del Ceará?
R. Fortaleza è uno dei paradisi del turismo sessuale internazionale, ogni anno migliaia di minorenni vengono sfruttati approfittando della loro miseria. Come associazione, siamo impegnati a denunciare e contrastare questo fenomeno, a costruire due case di prevenzione dello sfruttamento con corsi di informatica, alfabetizzazione, sport, teatro, danza, capoeira, musica, un refettorio con cucina e molto altro, per dare loro la possibilità di un futuro migliore. Parte fondamentale sono le attività sportive: nel quartiere Bom Jardim e Farol di Fortaleza non esistono strutture aperte a tutti e i ragazzini chiedono un luogo dove trovarsi per fare attività di gruppo e non continuare a stare in strada. Un progetto del Governo brasiliano nel quale siamo impegnati, «Viravida», ossia «cambia vita», dà la possibilità di fare un corso professionale al termine del quale le aziende coinvolte garantiscono posti di lavoro: in questi ultimi anni sono stati assunti 25 mila ragazzi che hanno cambiato vita lasciando completamente la strada per svolgere una professione. Certo non abbiamo risolto il problema dello sfruttamento, ma coloro che entrano nel programma e ne colgono le opportunità fino in fondo possono cambiare vita. Esiste anche un’associazione delle prostitute del Ceará, l’Aproce, nata dopo il primo caso di Aids: riunite in assemblea prostitute, ex prostitute e volontarie il 13 novembre 1990 formalizzarono il desiderio di organizzare il gruppo, guidato da Rosarina Sampaio. Aproce è la prima associazione di prostitute che ha ottenuto la registrazione in Brasile senza usare un nome di fantasia. In seguito è stata creata la Federazione nazionale delle prostitute del Brasile.

D. Non è altrettanto importante sensibilizzare al fine di evitare a monte lo sfruttamento del turismo sessuale?
R. Abbiamo ottenuto dei servizi televisivi con «Le iene» di Italia Uno, anche perché gli italiani insieme ai tedeschi si contendono la palma d’oro per lo sfruttamento. Ci sono interessi economici legati al turismo sessuale, che non conosce crisi, e non solo in Brasile.

D. Cosa fate per i pernambucani?
R. Joaquim Nabuco è un paese rurale di 17 mila abitanti situato a 118 chilometri da Recife. È la prima città indipendente fondata alla fine dell’800 dagli schiavi. Il lavoro ruota attorno alle «usinas», fabbriche di lavorazione della canna da zucchero, che durante i sei mesi della raccolta danno impiego; nei restanti sei mesi il numero di personale impiegato viene ridotto dell’80 per cento. Ciò porta a condizioni di povertà estrema, molti finiscono in strada crescendo in una realtà di delinquenza, analfabetismo, prostituzione e droga. Dal 1991 le suore del Divino Amore svolgono una missione di solidarietà in quel comune e noi le abbiamo sostenute con affetto all’inizio della loro opera in Brasile. Per loro ha fatto tanto anche il gruppo di padre Luigi de Rocco di Belluno. Abbiamo quindi realizzato il primo progetto di solidarietà a distanza e dal 1992 ad ora sono state sviluppate diverse attività di sostegno umanitario, formazione personale e collettiva, creando fortissimi rapporti tra gli autoctoni e i volontari italiani. Attualmente la nostra associazione sostiene la Fondazione Giovani di Joaquim Nabuco per la vita con sede nella Casa dei giovani, acquistata nell’agosto 2004, resa abitabile e dotata di un computer con connessione a internet per dare modo a tutti i ragazzi di cercare lavoro e mantenere i contatti con amici e famigliari lontani. Oggi 450 bambini partecipano alle attività della casa.

D. Lo Stato del Piauì è uno dei più poveri (e sconosciuti) del Brasile. Le pessime condizioni di vita hanno portato alcune città, come Acaua e Guaribas ad avere il triste primato di città con la minor aspettativa di vita dell’ intero Brasile: 58 anni contro una media nazionale di ben 10 anni superiore. Come siete presenti?
R. Il Piauì, coprendo il 3 per cento del territorio nazionale, è il decimo Stato brasiliano in ordine di estensione, grande quasi quanto l’Italia. Il 70 per cento della popolazione fino a 10 anni fa era senza energia elettrica; i suoi abitanti, che sono circa 6-7 milioni, sono sparsi in tutto il Brasile. Abbiamo portato avanti un progetto di agricoltura per far sì che i ragazzi restino a vivere dove sono, nati senza dover migrare. Puntiamo al sostegno all’agricoltura familiare e alla scuola con formazione agricola della comunità di Tapera, alla realizzazione dell’orto comunitario, a programmi imperniati sull’autosufficienza e la sicurezza alimentare, sulla tutela e valorizzazione delle risorse umane, con un occhio di riguardo al ruolo delle donne e dell’infanzia. Altro progetto è quello del Centro di formazione Mandacarù, entità filantropica che aiuta le famiglie della zona del cosiddetto «Semi-árido» a migliorare la qualità di vita. Inoltre, problema ricorrente nel Piauí e principalmente nella regione di Pedro II, è recarsi in città, in media a 40 chilometri di distanza, senza nessun tipo di sicurezza, al sole e alla polvere: la creazione della scuola polivalente di Tapera, con l’appoggio delle istituzioni italiane, consente ai bambini della regione di studiare in una migliore struttura. E ancora: vogliamo rendere possibile e gratuito l’accesso all’acqua per migliaia di famiglie.

D. A Goiania, invece, che fate?
R. È una città che conta un milione e mezzo di abitanti: moderna, con eleganti grattacieli, che però è circondata da una popolosa periferia i cui abitanti vivono in povertà o in condizioni di vera miseria. Lì sosteniamo l’associazione Todos os Santos, ossia con tre asili-scuole che ospitano fino a circa 600 bambini compresi fra i tre e gli otto anni; abbiamo contribuito a costruire una scuola per il rinforzo scolare dei maggiori di 8 anni, che segue il P.E.T.I., programma di «sradicamento» del lavoro infantile, e supportiamo la scuola di informatica Bairro Capua.

D. Modena Terzo Mondo inoltre sostiene da anni moltissimi progetti in diverse città di Goiás. Può dircene alcuni?
R. Per la Radio Vila Boa Fm, con il sostegno di Modena Terzo Mondo, sono state costruite la sala d’incisione, la cabina di regia e sono state fornite le attrezzature per la trasmissione della musica: la radio oggi ha il 60 per cento degli ascolti. Il progetto Scuola Famiglia Agricola ha l’obiettivo di impedire che i giovani figli di contadini si sradichino della loro terra. Ancora: la Diocesi di Goiás, assieme alla Pastorale del Migrante, dopo aver assistito centinaia di persone povere costrette a un costante esodo, ha deciso di creare un centro di accoglienza, chiamato Casa del Migrante, che noi sosteniamo. Sulla spinta della richiesta di famiglie alla ricerca di trattamenti per alcolisti e tossicodipendenti con difficoltà ad entrare in centri di recupero, sono nati l’istituzione Chácara de Recuperação Paraíso e un progetto di reinserimento sociale per promuovere ricongiungimenti familiari e sociali. E molto altro. Ma, in genere, il lavoro non finisce mai.  (ROMINA CIUFFA)

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