RESUSCITARE?
RESUSCITARE?
Il mio tasso di mortalità
è elevato.
Muoio in stragi di me causate
dall’incuria
dall’erronea interpretazione del mio ridere
e frignare
dal fallimento dell’effetto Rosenthal
dall’inconcludenza dell’effetto Hawthorne
dalla realizzazione dell’effetto nocebo
dall’inconsistenza dell’effetto sorpresa
dall’inglesizzazione dell’effetto wow.
Mi estinguo nella mia dissociazione ove i me oggettivizzano gli io
e di stenti d’affetto ancor muoio
per la presenza di favole a lieto fine a irradiare
la mia infanzia pre-mortem
condendola di illusioni
metaforiche
mentre in giovane età io insieme a me in due morivo
come avviene alla rinuncia
di senso (non metaforico/esistenzialista/trascendentale ma)
solo semplicemente sensato, normale
lancinante di affilate teorie
sul perché Romina deve vivere
e invece Misery non deve morire.
Sono quel tricheco
che infine congela dal caldo
la Terra surriscaldata con freddezza
il ghiaccio che si ritira
mille leghe sotto i mari
un romanzo la cui fine è lasciata ad un ghost writer quando il suo scrittore è morto
d’aneurisma cerebrale.
Sono il duello tra me e me in un Far West ricreato nei laboratori del Dams.
Nota solo per alcune delle mie morti
– alcune essendo insabbiate
altre rinnegate
nessuna rivendicata –
salto quando penso
che reincarnadomi (Dio non voglia) in una rana, un canguro, un saltimbanco, un saltimbocca
potrei farmi trovar pronta
nel saltar tutte le tappe, quindi volare.
Salto per non stare ed insieme non andare,
salto perché è l’unica
che in effetti non so fare.
Fosse stato Cristo crocefisso a 43 anni, non avrebbe avuto le forze
cognitive
psicologiche
fisiche
spirituali
per resuscitare,
nemmeno per suo padre
– soprattutto per suo padre –
a quarantatré malanni.
A 33 la Pasqua si può anche organizzare,
poi arriva la stanchezza,
il ma che lo faccio a fare:
mettermi a
resuscitare?
Romina Ciuffa, 5 gennaio 2020