REPORTAGE AMATRICE. MAX DE TOMASSI: SE DOMO NON VA AL BRASILE È MARISA MONTE CHE VA A DOMO

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L’intervista di Romina Ciuffa a Max De Tomassi giornalista, esperto di Brasile e uno degli 8 residenti di Domo, dove ha portato in vacanza Marisa Monte pochi giorni prima del sisma.

Sono 69 le frazioni di Amatrice, la più distante è Domo, a 14 chilometri e 24 minuti secondo Google Map. Sita a 870 metri sul livello del mare, ha, d’inverno, 8 residenti. Tra questi il giornalista Rai Max De Tomassi, conduttore radiofonico della trasmissione «Brasil» e profondo conoscitore della cultura verdeoro. La sua casa è caduta, come le altre, il pagliaio, avente un tetto di legno, si è mantenuto. Si trovava all’interno dell’abitazione, alle 3:36 del 24 agosto, sua figlia Benedetta, che trovandosi in salone non è rimasta colpita dalle macerie che sono crollate nella sua camera da letto.

Domo ha una storia sismica interessante: infatti, nel 1639 era già stata completamente rasa a terra da un terremoto, e ricostruita. Ma più in là, dove ora si trova. Max De Tomassi mi descrive la situazione del suo «vilarejo», in portoghese brasiliano letteralmente «villaggio», e titolo di uno dei più noti brani della grandissima cantante Marisa Monte che proprio a Domo aveva trascorso, pochi giorni prima del sisma, le vacanze.

Domanda. Si è fatto molto parlare di Amatrice ma pochi si sono soffermati sulle frazioni che sono, comunque, rimaste colpite dal terremoto.
Risposta. È bene sottolineare l’importanza delle frazioni. Amatrice è un Comune di Rieti, recentemente il decreto ha dato determinate garanzie ai possessori di seconde case. A Domo, come nelle altre frazioni, molti posseggono una seconda casa, si tratta di una delle economie più importanti di Amatrice che riempie di persone tutto il territorio comunale per le vacanze estive ed invernali. Va enfatizzata l’importanza delle frazioni e quindi anche di un posto piccolo come Domo. Non ci sono frazioni particolarmente grandi, si possono trovare una quarantina di persone.

D. Lei è uno degli 8 residenti.
R. Sì, siamo 8, ma di frazioni come Domo ce ne sono tante. Domo è un posto unico, e qui subentra il campanilismo che è in ognuno di noi: quindi per me Domo è il posto più bello del mondo perché ci sono cresciuto, perché lì ho imparato ad andare in bicicletta, perché cacciavo le lucertole, raccoglievo i funghi con le castagne, facevo una vita libera. Domo è la libertà per tutti noi che ci siamo cresciuti e che ci siamo fatti grandi da quelle parti, Domo è il posto in cui i genitori aprono la porta di casa e dicono ai figli: «Torna a pranzo», e i figli rientrano soli perché non ci sono rischi di automobili o di altro tipo. È il posto ideale per meditare, per ritrovarsi, per fare le cose più semplici della vita, che sono anche le più belle: stare davanti al camino, fare passeggiate nel bosco, cercare le sorgenti di acqua purissima, pescare le trote con le mani, parlare con i pastori, mangiare formaggi appena fatti, in una dimensione d’uomo bucolica.

D. Domo è stata colpita dal sisma?
R. È stata colpita da un punto di vista architettonico. La maggior parte delle case sono inagibili, ma non ci sono stati morti.

D. Vi accorperanno nei moduli abitativi con altre frazioni?
R. Al Coc mi hanno detto che daranno moduli abitativi a chi ne farà richiesta e ne avrà il diritto, e li accorperanno in luoghi dove sarà più semplice fare opere di urbanizzazione.

Schermata 2016-11-02 a 13.18.18D. Una delle più grandi cantanti brasiliane, Marisa Monte, è venuta in vacanza a Domo pochi giorni prima.
R. A giugno mi trovavo in Brasile da lei, pranzavamo come sempre a casa sua, e mi ha manifestato il suo desiderio di fare un viaggio in Italia. Le ho proposto di venirmi a trovare in montagna, a Domo, per poi andare insieme al mare, in barca, per farle conoscere il Mediterraneo. Così è arrivata con suo marito e i suoi figli facendo una prima tappa a Venezia, città d’arte, passando per la montagna e quindi arrivando tutti insieme in Sardegna.

D. Ha avuto la fortuna di vedere luoghi che ora non esistono più.
R. Esatto, siamo stati anche a visitare Amatrice. Racconto un aneddoto: da poco mi ero tagliato i capelli dal mio barbiere di sempre, Pietro Serafini, di 84 anni, e incontrandolo lo salutai presentandolo. Così pensarono che sarebbe stata una esperienza farsi fare i capelli «all’italiana», e chiedemmo a Pietro se avesse due posti liberi per loro nel suo negozio. Lui li accolse con gioia e tagliò loro i capelli. Pietro, un simbolo di Amatrice, è morto sotto le macerie. Mi tagliava i capelli fin da quando avevo un anno, era lui ad avermi fatto il primo taglio.

D. La sua casa ha subito danni?
R. È inagibile, va abbattuta e ricostruita da zero.

D. Domo nel 1639 ha subito un altro terremoto, quindi era già stata ricostruita da capo.
R. Sì, ma era stata ricostruita in un’altra area: l’area del terremoto del 1639 adesso è solo un prato 400 metri più in là.

D. Sembrerebbe un triste destino.
R. È un’area sismica: non si può cambiare il destino spostandosi di 400 metri.

D. Ma oggi Domo non è completamente distrutta, si potrà ricostruire sopra lo stesso borgo.
R. Sì, inoltre le tecniche sono diverse, anche perché probabilmente la ricostruzione su case del 1600 sarebbe stata molto più complicata di oggi. Oggi si distrugge e si rifà.

D. Aggiungendo che ora c’è più cultura del terremoto, si potranno fare costruzioni antisismiche, anche se commettiamo spesso gli stessi errori.
R. Sì, ma consideriamo anche l’ignoranza dell’essere umano che dopo il primo terremoto ha costruito palazzi pensando che contro un tale cataclisma bastassero delle pareti profonde 60 centimetri. Con gli anni la legge è cambiata, ma le pareti e le mura sono rimaste le stesse di un tempo, nonostante la legge antisismica imponesse il tetto in cemento: eppure è stato proprio questo tipo di tetto che ha fatto crollare le case. Paradossalmente il mio pagliaio, avente un tetto di legno, non ha subito danni.

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D. Marisa Monte ha scritto una delle canzoni di maggior successo, «Vilarejo».
R. «Vilarejo» significa «villaggio», e già nel mio emotivo identificavo questo «vilarejo» di cui parlava il suo testo nella mia Domo. Quest’estate, quando eravamo a casa mia, sentivo Marisa parlare al telefono con la moglie di Caetano Veloso e le diceva proprio questo: che ci trovavamo in un vero e proprio «vilarejo», dove ci si conosce tutti, si mangia insieme, si vive in collettività.

Anche su Specchio Economico – Novembre 2016

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MAX DE TOMASSI: ECCO COME “CONDUCO” IL BRASILE DA CARDOSO A DILMA, DA GIL A CAETANO, DALLA ROCINHA A GAVEA

Schermata 2015-03-13 a 13.23.12di ROMINA CIUFFA

UNA CONVERSAZIONE TRA ROMINA CIUFFA E MAX DE TOMASSI SULLA NUOVA ERA BRASILIANA E L’EVOLUZIONE DEL BRASILE DEGLI ULTIMI 30 ANNI. Il padre gli regalò, per la maturità classica, un biglietto per il Brasile. Rimase 3 mesi a Rio de Janeiro. Durante la conduzione di un piccolo programma radiofonico a Roma, aveva già conosciuto la manager dei più grandi artisti brasiliani, che contattò una volta giunto a Rio; lei subito lo prese sotto la sua ala protettrice. Famosissima per essere stata la zia dei due rivoluzionari del movimento tropicalista, Gilberto Gil e Caetano Veloso, in quanto zia delle due cugine carnali che i cantanti sposarono, era conosciuta con il nome di Tia Léa, «zia Lea» appunto. Lui è Max De Tomassi, più unico che raro giornalista italiano specializzato nel verdeoro, esperto conduttore di «Brasil», programma di Radio Rai Uno a cura e per la regia di Danilo Gionta. Trasmissione nata nel 2001 quasi per scommessa, allora già in onda da tanti anni su altre emittenti, De Tomassi la propose alla Rai, e iniziò semplicemente coprendo lo spazio lasciato libero nel periodo estivo da un programma di satira. Per poi divenire il riferimento principale, per di più ad origine pubblica, della cultura brasiliana in Italia.

Schermata 2015-03-13 a 13.23.39Domanda. Il Brasile, per quanto grande, è una «nicchia». Come si spiega l’interesse della Rai a portare avanti una trasmissione come «Brasil»?
Risposta. Mi domando sempre qual è il fenomeno che fa sì che il nostro sia il programma musicale più ascoltato di Radio Uno, anche considerando che va in onda la notte della domenica solo a partire dalla mezzanotte, e che è un programma di nicchia all’interno di una programmazione musicale che copre i vari generi. Certo il Brasile propone una vastità di stili musicali di qualità encomiabile, e produce forse la musica più creativa del mondo. A livello di download e poadcast, ossia l’ascolto in streaming delle puntate, abbiamo cifre eclatanti, superiori a tanti programmi di Radio Uno pur essendo in onda solo una volta a settimana. Fino allo scorso anno andavamo in onda tutti i giorni con «Brasil – Suoni e culture dal mondo», ed avevamo alti numeri.

D. Prima del 2001, anno in cui iniziò la sua conduzione di «Brasil», era già coinvolto con la realtà brasiliana?
R. Non esattamente. Lavoravo nel mondo della comunicazione, avevo iniziato in tv nel 1985, ma fare televisione in Italia è difficile se non si appartiene a una certa lobby. Ho fatto il conduttore, il regista, l’autore, ho lavorato per 5 anni a Tele Montecarlo quando i brasiliani comprarono la rete, quindi altri 5 anni in una televisione tematica quando in Italia si cominciava ad andare sul satellite. La Telecom mise in piedi una struttura «stream» che poi venne venduta a Sky, lì realizzavo programmi di cultura, pur essendo assenti gli interlocutori di una televisione di spessore. La radio e la Rai mi hanno dato quello che ho sempre desiderato.

D. Quali sono i cambiamenti che ha percepito nel corso degli ultimi anni nei suoi molteplici viaggi in Brasile?
R. Solo quindici anni fa il Brasile era un Paese del terzo mondo, oggi è la quinta potenza mondiale: abbiamo un periodo storico temporale troppo limitato per poter individuare con esattezza questi cambiamenti. Ma il primo e più consistente è senz’altro l’arrivo al Governo di Fernando Henrique Cardoso, due volte presidente del Brasile dal 1995 al 2003, più sociologo che politico, il quale ha dato finalmente al Brasile gli strumenti per diventare un Paese progredito dal punto di vista sociale, economico e politico. L’ha fatto convincendo non la classe politica, ma i grandi proprietari terrieri e i ricchi del Brasile a guardare all’estero per guadagnare di più, attraverso l’esportazione o l’inclusione di partner stranieri. Giustificazione che ha permesso a un sociologo di operare affinché potesse avvenire un cambio sociale, realizzato poi in concreto dal presidente Lula con il Partido dos Trabalhadores (PT) nella prima decade del nuovo millennio attraverso le rivoluzioni sociali, le leggi ed altro messo in atto dalla corrente più a sinistra del mondo politico brasiliano, ma con gli strumenti già forniti da Cardoso.

Schermata 2015-03-13 a 13.24.31D. È Lula che ne ha preso i meriti?
R. Lula era un personaggio atteso da tantissimi anni, aveva avuto diverse candidature come presidente della Repubblica, e quando fu eletto in effetti le cose cambiarono; ma gran parte della spinta proveniva anche dalla nuova possibilità di dare ai brasiliani una dignità e un’indipendenza economica che prima non c’erano. Paradossalmente quello che gli imprenditori e i latifondisti si aspettavano era più un richiamo verso l’estero che una risorsa interna; le migliori risorse economiche non sono arrivate tanto dagli investimenti stranieri quanto dal maggior potere d’acquisto della società, mentre il valore del Real cresceva. Così il prodotto interno si è alzato.

D. Questo stesso meccanismo economico, unito ai fatti collegati ai megaeventi, ha però condotto a un innalzamento del costo della vita e, se le classi medie ne sono state toccate solo relativamente, il livello di povertà è aumentato insieme alla distanza creatasi tra i livelli più bassi della scala sociale e i benestanti, o coloro che hanno tratto vantaggio dalla crescita.
R. È chiaro che, una volta che il prodotto interno è schizzato in alto, è salito il costo della vita; ma credo che la povertà non si sia accresciuta, poiché anche le classi più povere hanno cominciato ad avere nuove e maggiori possibilità di lavoro. Con il consumismo immediatamente subentra la spirale del credito, e il guadagno concretizzato con contratti a tempo indeterminato o con occupazioni da libero professionista ha fornito una certa indipendenza economica e ha spinto a spendere; la rateizzazione ha fatto il resto, in larga misura responsabile di far spendere alla gente più di quanto non guadagnasse.

D. La rateizzazione del credito, molto in uso in Brasile tanto che nei negozi è più comune trovare i prezzi già divisi in rate che non il totale, creando l’illusione di un affare, non rischia in questi casi di essere un’arma a doppio taglio?
R. Non sono un consumista, e mi piacerebbe che tutti comprassero il minimo indispensabile perché sono convinto che la salute di una nazione e di un popolo non si misura da ciò che si produce né da ciò che viene venduto, bensì dal livello qualitativo della sanità, dell’istruzione, della cultura. Il meccanismo della parcellizzazione sulle carte di credito, che consente ai brasiliani di rateizzare il pagamento di qualunque cosa e che in Italia ancora non ha preso piede, porta l’inflazione e il consumismo a una versione «2.0», ossia aggiornata, ed io la considero una cosa intollerabile.

Schermata 2015-03-13 a 13.24.05D. Istruzione, cultura, sanità ed altro: è tutto molto carente ed è indubbiamente in questo che si misura il vero benessere di un popolo. Eppure il Brasile ha messo in primo piano investimenti di altro tipo, come turismo e megaeventi.
R.  Ma la classe politica meno abbiente ha usato la vetrina gigantesca che il campionato di calcio forniva per attuare dimostrazioni anche abbastanza eclatanti in piazza e reclamare quello che è giusto che il popolo brasiliano reclami, manifestando la necessità di avere un’economia meno frenetica e il desiderio di dare più attenzione alla sanità e al trasporto pubblico. Ricordiamo che il Brasile non ha una rete di trasporto interno su rotaia, ha esclusivamente una rete di trasporto aerea con le sue limitazioni, e su gomma, ma le strade non sono all’altezza delle nostre. L’intero Paese è esteso per 8 milioni e mezzo di chilometri quadrati, è quasi 30 volte l’Italia, è il quinto maggiore del mondo in estensione, ha 200 milioni di abitanti, è dunque una realtà gigantesca che da sola contiene il 22 per cento della terra coltivabile del pianeta, come fosse un immenso giardino dal quale il mondo riesce a cogliere l’alimentazione, quindi è un Paese che, dal punto di vista delle risorse, va trattato «con le pinze». E non parliamo di risorse economiche e tecnologiche, ma di quelle basilari. Il 12 per cento delle riserve di acqua dolce mondiale si trovano in Brasile: la prossima guerra non sarà quella sul petrolio, ma quella sull’acqua.

D. E il petrolio?
R. I brasiliani hanno scoperto il pre-sal, il più grande giacimento di petrolio che rende il Paese totalmente indipendente dal punto di vista energetico, con 600 chilometri di estensione a 2 mila metri di crosta salina sotto l’acqua. Solo grazie alla crescita del Paese sono riusciti a trovare internamente la tecnologia per bucare questo strato di sale ed arrivare ai giacimenti. Il petrolio poi è di una qualità eccellente.

D. Eppure il Paese si è rivoltato contro le «megaspese» per i megaeventi. È giusto investire quei capitali in questo modo, in questo momento?
R. Non riesco a capire se è giusto o sbagliato fare grandi investimenti sul Campionato mondiale di calcio o sulle Olimpiadi, perché non riesco a capire quale possa essere il volume di ritorno: questo potremo dirlo solo in seguito, quando sapremo se spendere soldi per gli stadi e non per gli ospedali o altro oggi possa innalzare le possibilità generali di domani.

D. Da tutto il mondo, l’Italia ai primi posti, c’è una migrazione verso il Brasile, non solo giovanili fughe ma veri e propri insediamenti societari. Conviene?
R. Italiani, inglesi, americani, australiani, giapponesi, cinesi, tutti. Il Brasile ha città gigantesche quali Rio e San Paolo, ma la densità di popolazione è bassa e aprire fabbriche e attività fuori dai centri urbani dal punto di vista strutturale è possibile, anche di fronte a costi di realizzazione molto bassi. Il Brasile continua ad essere un Paese abbastanza conveniente, è in città che i prezzi sono eccessivi.

D. C’è più lavoro in Brasile al momento, per i giovani brasiliani e italiani che non abbiano una base societaria?
R. Non so dirlo con esattezza, di certo il mondo delle professioni in Brasile è molto vasto, e le start up e le nuove iniziative sono sempre benvenute. Oltre a questo, secondo me si può contare sul fatto che il nostro è ancora adesso un Paese molto stimato dai brasiliani nonostante tutto quello che è successo in Italia, nonostante ciò che è stato fatto nell’attuale e nel passato Governo, nonostante i grandi equivoci che ci sono stati recentemente, un esempio per tutti il caso Battisti. Il Brasile continua a guardare con grande esterofilia molti Paesi del mondo, ma fra tutti l’Italia è particolarmente amata e forse sopravvalutata. Il made in Italy è sempre una garanzia.

D. Oggi è ancora più forte il collegamento tra Italia e Brasile, essendo il 2015 l’anno dell’Expo che si terrà in Italia su uno dei temi in cui il Brasile è tra i principali interlocutori mondiali: «Nutrire il pianeta, energia per la vita».
R. Il Brasile è il più grande produttore di soia e di arance del mondo grazie a questa immensa versatilità agricola, e non si può pensare al futuro del mondo senza pensare al futuro del Brasile.

Schermata 2015-03-13 a 13.24.53D. Lei è un esperto delle tematiche brasiliane, ma certamente tra le tante prevale la musica, quella di un Paese che ha pochi eguali, in fatto di gusto e notorietà, nel mondo. Come si è evoluto il mercato discografico nel tempo?
R. L’ho visto evolversi e decadere. Sono entrato in Brasile 33 anni fa, nel 1982, e si vendevano milioni di dischi. Il Brasile allora era il quinto mercato discografico mondiale. Adesso, con internet e YouTube, c’è una frammentazione del mercato musicale, ormai parliamo della vendita di «fonogrammi» non più sul supporto fisico ma su canali quali Spotify e piattaforme digitali, a volte il download è gratuito e sempre si ha la possibilità di guardare video online. Io non accetterei di «guardare una canzone» su YouTube.

D. Sembrerebbe un discorso elitario: le priorità sono mutevoli e al momento, o comunque non più come prima, non si spendono (o non si hanno) soldi per acquistare cd o tracce musicali se si ha l’alternativa gratuita.
R. La musica non può prescindere dal supporto per le informazioni e soprattutto per la qualità sonora, ma ora non siamo in grado di capire ciò che è meglio e ciò che è peggio, ciò che è giusto lasciare indietro e ciò che è giusto mantenere, è questa la grande incertezza umana che rispecchia il grande disorientamento sociale.

D. Il boom economico sperimentato dal Brasile ha contribuito al mercato discografico o ha concentrato la ricchezza solo su alcuni grandi nomi, anche considerata la costante tendenza brasiliana a mitizzare i propri grandi idoli, da Tom Jobim a Caetano Veloso e tutti gli altri?
R. A prescindere dalle vendite, il mercato musicale brasiliano adesso alla punta dell’iceberg non ha Caetano, Gilberto Gil o Chico Buarque de Hollanda, ma fenomeni diversi come la musica country, che è la maggiore venditrice di dischi, o altri generi musicali, i successi dell’estate, la musica usa e getta. Per fortuna, al contrario di quanto accade da noi che vediamo sparire i grandi autori e interpreti a favore dei reality, in Brasile c’è un WWF che difende i grandi autori in via d’estinzione.

Schermata 2015-03-13 a 13.25.30D. Quindi c’è spazio per il nuovo cantautorato e non solo per le interpretazioni dei grandi successi, cosa molto tipica in Brasile tanto da essere un «must» per chiunque faccia musica?
R. È anche vero che i grandi nomi della musica brasiliana continuano ad incidere e ad essere estremamente creativi, artisti come Ney Matogrosso che a più di 70 anni sperimentano ancora. Caetano Veloso potrebbe essere paragonato al nostro Gianni Morandi, ma quest’ultimo non ha mai fatto né fa la sperimentazione che fa Caetano. Quello di Mina, ad esempio, è un falso sperimentare, atipico e asettico, non essendo lei presente in prima persona nella sperimentazione. Un conto è ascoltare i nuovi autori, cosa che nessuno garantisce lei faccia davvero, un conto è confrontarsi, e lei è assente dalle scene. I brasiliani continuano ad essere i primi nella creatività anche perché sono aperti all’incontro anche casuale con i giovani, ai quali aprono molte strade.

D. Ha un’idea sulla pacificazione delle favelas operata dalle forze dell’ordine?
R. Non si può dire niente sulla pacificazione se non cose positive. Le favelas grazie alla pacificazione sono state rese più vivibili sia per coloro che le abitano, sia per coloro che vengono da fuori, fermo restando che stigmatizzo e non approvo l’atteggiamento dei turisti che prendono le favelas per zoo. Pensosamente, per comprare prodotti di cosmetica vado nelle favelas perché hanno un sistema di distribuzione più pratico rispetto ai negozi nel centro di Rio de Janeiro, mi trovo bene e pago con la carta di credito.

D. In quale favela in particolare?
R. La Rocinha.

D. Anche durante una semplice cena nella Rocinha, vedo in continuazione agenti armati, e le pattuglie passano con fucili spianati che escono da tutti i finestrini. Parlando personalmente con gli abitanti («moradores») della Rocinha, mi è stato da tutti riferito che da quando le unità di polizia pacificatrice (UPP) sono entrate nel territorio non si può più dormire con la porta aperta, i furti e le rapine sono all’ordine del giorno, la favela non è più sicura. Questo discorso è estendibile a tutte le altre comunità. Come giustifica questo e i numerosi e sanguinari scontri tra polizia e «moradores», non solo trafficanti, ma anche semplici residenti?
R. Non credo a una sola parola di quello che mi arriva, posso credere solo a ciò che vedo. Il dubbio è se la polizia brasiliana possa o meno difendere il diritto del cittadino. Sui social network si vedono video tragici in cui i poliziotti picchiano chiunque accomunandoli sotto il nome di delinquenti comuni. In generale diciamo che il Brasile, con le riforme sociali e con questo avanzamento economico, auspica un miglioramento dei servizi di sicurezza, della sanità e del trasporto, questo è il primo obiettivo.

D. Hanno sgombrato coattivamente le comunità, ossia le favelas, non dando alternative agli abitanti. È d’accordo?
R. Per carità, non è stata un’azione da elogiare, ma ci sarà stato un motivo per cui è stata compiuta, nella sua tragicità. Prendere una famiglia che ha una baracca, costruita con tanta sofferenza, e sradicarla da un posto solo perché da un punto di vista estetico non è elegante, è sbagliato; ma è pur vero che per la crescita in un Paese tanta gente si deve sacrificare, e i poveri sono quelli che cadono prima.

D. Uno dei quartieri più residenziali e ricchi di Rio de Janeiro è Gavea, che confina con la Rocinha trattandosi di una collina colonizzata in un lato dalla favela, nell’altro dalla città. È plausibile che Gavea via via si estenda dall’altro lato e si residenzializzi, sgomberandola, la Rocinha?
R. In realtà il procedimento è stato inverso: negli anni 90 le casupole della Rocinha erano appena sul cucuzzolo della montagna, adesso stanno scendendo e si stanno espandendo.    (Romina Ciuffa)

 

Anche su Specchio Economico – Marzo 2015
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