GIULIANO ZUCCOLI: ASSOELETTRICA, IL GIUSTO MIX ENERGETICO ALLA BASE DELLE NOSTRE ESIGENZE

Assoelettrica riunisce circa 120 imprese che operano nel libero mercato assicurando circa il 90 per cento dell’energia elettrica generata nel territorio nazionale. Guidata dal presidente Giuliano Zuccoli, l’Associazione nazionale delle imprese elettriche è nata il 25 settembre 2002 dalla fusione dell’Unapace con l’associazione sindacale delle imprese elettriche private, al termine di un’azione avviata nel 1946 dalla prima e che l’ha portata a conquistare negli anni l’autorevolezza necessaria per divenire interlocutore significativo sia nel settore energetico sia nel contesto politico e istituzionale. Durante il periodo successivo alla nazionalizzazione del sistema elettrico le azioni intraprese dall’Unapace si rivolsero, oltre che alla salvaguardia degli interessi rappresentati, anche a favorire il superamento dei vincoli e a consentire l’allargamento degli spazi a disposizione degli operatori industriali. Un primo significativo risultato in questa direzione si ebbe con l’approvazione della legge n. 308 del 1982 e, successivamente, delle leggi n. 9 e 10 del 1991, che permisero una parziale liberalizzazione della produzione di energia elettrica, favorendo l’introduzione di tecnologie innovative e lo sviluppo di nuove rilevanti realizzazioni. Con il recepimento della direttiva europea 92 del 1996 e l’introduzione delle nuove norme in tema di liberalizzazione e apertura dei mercati elettrici, sono stati avviati ulteriori significativi cambiamenti. Dal maggio 2009 è a capo dell’Assoelettrica Giuliano Zuccoli, laureato in Ingegneria elettrotecnica nel Politecnico di Milano, che ha ricoperto varie cariche nel settore dell’energia: già amministratore delegato, presidente e consigliere delegato dell’Aem, presidente di Federelettrica, di Federutility e di Edipower (consorzio acquirente di Eurogen, una delle Genco vendute dall’Enel), nell’ottobre 2005 è diventato presidente di Edison e nel marzo 2008 presidente del Consiglio di gestione di A2A, nata dalla fusione tra l’Aem e l’Asm Brescia.

Domanda. In che modo l’Assoelettrica si pone al centro del dibattito sull’energia elettrica in Italia?
Risposta. La nostra Associazione tutela in tutte le sedi, istituzionali, politiche ed economiche, gli interessi degli associati, assumendone la rappresentanza e promuovendo e coordinando le opportune iniziative comuni. Lo fa prima di tutto ricercando con continuità le soluzioni più appropriate per assicurare al Paese l’energia elettrica di cui ha bisogno alle migliori condizioni economiche, di affidabilità e sicurezza, e per consentire una piena liberalizzazione del settore energetico e una migliore competitività del mercato elettrico. A tal fine promuoviamo studi e confronti per una più ampia conoscenza delle attività e delle iniziative settoriali, e analizziamo tutti i problemi energetici, con particolare attenzione alla riforma della legislazione e della regolamentazione del settore elettrico.

D. Che cosa è accaduto nel settore elettrico in questo nuovo millennio?
R. Nell’arco di dieci anni il volto dell’industria elettrica italiana è radicalmente mutato. In luogo di un operatore pubblico monopolista, affiancato da alcune imprese municipali, vediamo oggi un sistema articolato in centinaia di produttori di energia elettrica di ogni dimensione, che fanno ricorso a un ventaglio di fonti energetiche dall’idroelettrico all’eolico, dalle biomasse al gas naturale, dal carbone ai gas di sintesi e, speriamo presto, al nucleare. Dieci anni fa si parlava ancora di GenCo, le cosiddette Generation Company, assemblate dal precedente operatore monopolista e poste sul mercato: si è avviato così un mutamento strutturale del mercato nella generazione di energia elettrica, al punto che il principale operatore copre ora una quota ormai inferiore a un terzo del totale. Oggi l’80 per cento circa della produzione elettrica italiana è suddivisa tra 7 operatori, una situazione che non trova confronto in nessun Paese europeo, con l’unica eccezione della Gran Bretagna.

D. Quale tipo di investimenti sono stati fatti per raggiungere questo nuovo risultato?
R. L’ammontare degli investimenti realizzati nel settore della generazione nell’ultimo decennio può essere stimato in oltre 25 miliardi di euro, quasi 8 dei quali indirizzati allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Oggi il nostro Paese dispone di una potenza aggiuntiva, altamente efficiente, di quasi 20 mila megawatt. Uno sforzo enorme, che non trova alcun confronto di recente, neppure guardando all’industria elettrica degli altri grandi Paesi europei nei quali, semmai, si è assistito a un sostanziale ristagno degli investimenti che solo in alcuni di essi, e soprattutto sulle rinnovabili, paiono essere in ripresa soltanto da un paio d’anni. Questi interventi hanno permesso di accrescere in misura molto rilevante l’efficienza del parco di generazione. Gran parte degli investimenti nel comparto termoelettrico si sono infatti concentrati sulla tecnologia del ciclo combinato a gas naturale. Questo per vari motivi: più rapida realizzazione degli impianti, riduzione dei costi, migliore accettabilità sociale di impianti che presentano emissioni meno rilevanti delle centrali tradizionali, minori costi logistici connessi alla presenza di una capillare rete di gasdotti nel territorio nazionale.

D. In che modo ciò ha accresciuto le capacità energetiche italiane?
R. Oggi il parco termoelettrico italiano è il più efficiente su scala europea, se non mondiale, con livelli di efficienza in vari casi prossimi al 60 per cento e con una media complessiva ormai vicina al 50 per cento. Escludendo dal calcolo il nucleare, questo colloca il sistema di generazione termoelettrico del nostro Paese al primo posto in Europa in emissioni di anidride carbonica per chilowattora prodotto: un eccellente risultato, che comporta però anche alcune conseguenze non altrettanto positive e che la crisi economica internazionale sta accentuando. Il massiccio ricorso al gas ha comportato uno squilibrio del mix di fonti primarie: oggi più della metà dell’energia elettrica viene prodotta in Italia impiegando il metano, ciò che, unitamente all’assenza di un sistema di generazione nucleare, rende il sistema elettrico italiano ancora assai vulnerabile. Certo, siamo lontani dai tempi in cui la capacità di generazione nemmeno bastava a far fronte ai picchi di domanda, comunque occorre agire per migliorare questi aspetti. Dopo aver soddisfatto la richiesta di sviluppare in misura quantitativamente adeguata e qualitativamente efficiente il sistema di generazione elettrica, le imprese del settore sono chiamate a guardare ancora più in là e a proiettarsi in una prospettiva temporale più ampia in cui ridisegnare il mix delle fonti primarie.

D. Com’è la situazione dei prezzi per l’energia elettrica in Italia e nel resto dell’Europa?
R. Il mix è una delle condizioni perché i prezzi dell’energia elettrica in Italia si riallineino a quelli medi europei e, soprattutto, a quelli dei Paesi nostri diretti concorrenti industriali. A questo proposito, però, bisogna fare chiarezza: i prezzi praticati nei confronti di alcune categorie di consumatori domestici e in qualche caso anche di consumatori industriali sono in Italia inferiori alla media europea. Da decenni è infatti in vigore un sistema di sussidi, solo parzialmente modificato di recente, i cui costi si riversano su tutti gli altri consumatori. D’altra parte, mentre in Italia si usano per circa l’80 per cento combustibili fossili, in Francia quasi l’80 per cento dell’energia elettrica viene prodotta dal nucleare, in Germania nucleare e carbone di produzione nazionale valgono insieme più di due terzi dell’energia generata e non molto diversa è la situazione della Spagna. La media europea vede oltre un quarto di produzione nucleare, altrettanta con il carbone, poco meno del 30 per cento con il gas naturale e l’olio, il resto con fonti rinnovabili.

D. Qual è il giusto mix affinché i consumatori italiani possano avere tariffe di energia elettrica analoghe a quelle in vigore in altri Paesi?
R. È necessario modificare il mix attuale. All’Italia serve un grande rilancio del nucleare e un più ampio ricorso al carbone con impianti efficienti e dotati dei più moderni dispositivi in grado di ridurre le emissioni. Il nucleare non è un’alternativa alle rinnovabili. Modificare in questa direzione il mix delle fonti primarie permetterà di ridurre la vulnerabilità energetica del Paese, diversificando le aree geografiche di approvvigionamento. Il ricorso sempre più ampio al gas naturale ha comportato una crescita della dipendenza da pochi fornitori. La soluzione è nota: lo sviluppo di un parco di rigassificatori che permetterebbe di alleggerire la dipendenza dalle condotte che uniscono l’Italia e l’Europa ai Paesi esportatori.

D. Ha sostenuto che i conti tra richieste di realizzazione di impianti rinnovabili entro il 2020, per un ammontare di 150 megawatt, e il picco di domanda totale in Italia di 54 megawatt, sono troppo sbilanciati per non intervenire e creare un sistema razionale di incentivi. Perché?
R. Non è pensabile che siano incentivati investimenti che alla fine fanno ulteriormente aumentare i costi dell’energia, da noi già alti. In un mondo ideale preferiremmo un sistema che non ha bisogno di incentivi. Quello reale non è così, serve un meccanismo di incentivi mirato al rispetto dei vincoli europei, una quota del 17 per cento di fonte primarie rinnovabili al 2020, altrimenti gli investitori privati non si muoverebbero a causa del rischio regolatorio e non avendo certezza del ritorno degli investimenti.

D. Che pensa dei certificati verdi, titoli negoziabili che corrispondono a una certa quantità di emissioni di anidride carbonica?
R. Non è più sostenibile l’obbligo di acquistarli, malgrado sia prioritario scongiurare una così marcata riduzione del prezzo di ritiro dei certificati verdi anche in considerazione dei già elevati risparmi conseguibili con la riduzione della quota d’obbligo. Insieme ad incentivi coerenti con criteri generali di equa remunerazione per i rifacimenti degli impianti, in particolare gli idroelettrici, l’Assoelettrica chiede una maggiore gradualità nella riduzione della quota d’obbligo di acquisto di energia da fonte rinnovabile a carico dei produttori termoelettrici, spostando l’annullamento delle quote a non prima del 2016, mentre oggi è fissato al 2015.

D. Quando il consumatore potrà avvertire il cambiamento nella produzione di energia attraverso un risparmio sulla bolletta?
R. Tutto questo potrà dare risultati tangibili e significativi soltanto quando la rete di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica venga finalmente adeguata alle esigenze del Paese. Terna sta lavorando molto intensamente in questa direzione, ma occorre metterla nelle condizioni di operare nel modo migliore, evitando che le autorità locali interessate alla realizzazione dei nuovi elettrodotti provochino ritardi e blocchi dei lavori anche per anni. Oggi si assiste al triste spettacolo di impianti di generazione ad alta efficienza, costruiti con le migliori e più recenti tecnologie, che vengono sottoutilizzati perché la rete non è in grado di trasmettere tutta l’energia che essi potrebbero produrre, mentre altri, meno efficienti e quindi più costosi, sono talvolta tenuti a produrre al massimo delle loro potenzialità per rispondere a una richiesta che la rete non è in grado di ripartire nel modo migliore e più conveniente per tutti, operatori e consumatori.

D. Quali sono i parametri per procedere lungo questa nuova fase energetica?
R. Il perimetro entro il quale fissare una strategia energetica è quello fissato dai cosiddetti obiettivi europei del 20-20-20: riduzione del 20 per cento delle emissioni di anidride carbonica, sviluppo delle fonti rinnovabili fino al 20 per cento dei consumi finali di energia, miglioramento dell’efficienza energetica del 20 per cento. L’Europa ci ha affidato l’ambizioso obiettivo di uno sviluppo delle fonti rinnovabili dall’attuale 7 per cento, calcolato sui consumi finali complessivi, al 17 per cento. Per ottenere un simile risultato occorrono strumenti efficaci, capaci di orientare i comportamenti delle persone e indirizzare i nuovi investimenti in direzione di un minor consumo di energia primaria a parità di crescita economica e di condizioni di benessere, capaci di incentivare il necessario sviluppo delle fonti rinnovabili e di restituire all’Italia un sistema di generazione elettronucleare di peso europeo.

D. Quali sono i tempi istituzionali per tutto questo?
R. Molti passi avanti sono stati compiuti grazie anche alla determinazione del Governo. L’Agenzia per la Sicurezza nucleare ha finalmente cominciato a svolgere il proprio lavoro. Il programma nucleare si sta avviando e auspichiamo che nuove imprese e operatori decidano di scendere in campo per raccogliere l’invito a riportare il Paese agli allori degli anni Sessanta, quando era tra quelli maggiormente impegnati in questo fronte. La valutazione dei costi e dei benefici del nucleare è visibilmente e totalmente positiva: il nucleare non produce anidride carbonica, e questo aiuta a combattere l’effetto serra, permette di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili di energia e dai Paesi che le possiedono ma, soprattutto, costituisce una sfida industriale decisiva. Nella sola Cina è in programma la realizzazione di oltre 200 impianti nucleari; l’industria italiana, le tante aziende elettromeccaniche che hanno comunque mantenuto delle competenze apprezzate dal mercato, non possono restare fuori.    (ROMINA CIUFFA)

 

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Marzo 2011