CASO WEINSTEIN: DALLA CONSIDERAZIONE DELLA DONNA ALLA «consiDESIDERIzzazione»

Parlo da uomo a uomo e non mi nascondo: sono più maschilista che femminista. Oltre a ciò, sono sempre stata dichiaratamente darwiniana, e con ciò intendo sollecitare riflessioni sulla natura umana: animale. Dotato di maggiore intelletto l’essere umano (forse), pur sempre un predatore il maschio. Ma, poiché tutta la vicenda Harvey Weinstein (rinvio ai giornali in cerca di click per comprendere la polemica scatenata dall’attrice Asia Argento) ha sollevato un polverone contro il sesso maschile, mi permetto di concentrarmi sull’altro punto di vista non molto considerato, quello dell’uomo, a partire da un tweet dell’attore Alec Baldwin in risposta alla stessa Argento (dopo, si sono reciprocamente bloccati su Twitter, rendon noto i media più educativi): «I casi sono due: se dipingi tutti gli uomini con lo stesso colore, o finisci il colore o finisci gli uomini».

Anzi, parto da un attimo prima, il momento in cui io stessa dico: quanto piace alle donne essere oggetto di considerazione? La definirei, coniando, una «considesiderizzazione», invero. Da che mondo è mondo, la donna fino ad una certa età ha un fare scocciato in reazione alle «molestie» subite da passanti che le sussurrano (o gridano) commenti eleganti o impropri sulle sue bellezze; dopo quella certa età, i commenti tendono a diminuire (in proporzione seni e labbra tendono ad aumentare a suon di chirurgia, per ristabilire l’equilibrio dalla natura violato). Non mi sono mai sentita infastidita da tali complimenti, in qualunque modo mi fossero espressi, tutt’altro: li ho sempre ritenuti – commenti e tentativi più sfrontati – sintomo di un’umanità che, fortunatamente, resta stabile nel suo divenire riproduttivo, istintivo. La considero non una questione «maschile», bensì educativa, scolastica, didattica, formativa, culturale. Avrei dovuto, dovrei, denunciarli tutti?

Parrebbe di sì, ora che so che la modella italo-filippina Ambra Battilana Gutierrez (anche testimone antiberlusconiana nel Ruby bis) ha guadagnato un milione di dollari a seguito di un accordo firmato con Weinstein, sebbene con esitazione e la motivazione che «con quei soldi avrei potuto aiutare mia madre e dare un futuro a mio fratello». Dichiarare questo le fa onore? «Armiamoci e partite». Resto cieca senza capire perché, se tanto molestata ed affranta, non abbia sporto denuncia, piuttosto abbia compensato l’amor proprio con una somma di denaro, quantificandosi. E cieca sono nei confronti di Asia Argento, che parla di maiali nonostante il padre abbia firmato il film «Phenomena» (non dovrebbe impressionarsi più di tanto) ma oggi si sveglia patrocinante di una class action con un mandato tacito firmato da tutte le donne del mondo che «hanno subito molestie» senza dichiararle nella sede ad uopo adibita.

Quando è accaduto a me, un no secco, anche educato, ai «big», ha fermato il mio conto in banca a un livello meritocratico. Avevo già la garanzia di un bestseller, cui mi opposi declinando l’offerta sinallagmatica del mio proponente di turno. Il quale non mi offese, né mi offende, tutt’altro: mi spinse a dimostrare quanto valessi a prescindere da quanto piacessi, e sulla mia autostima ciò ha avuto un effetto dirompente, quello di sentirmi più bella, in quanto desiderata, ma principalmente quello di scrivere meglio oggettivamente. Migliorarmi per migliorare l’intero sistema. Fare.

Per me una ballerina usa la testa prima dei piedi, un’attrice la capacità prima della recitazione. La verità è che le donne vogliono essere corteggiate, provocare, avere posizioni di prestigio «a costo di» sedurre. Per chiunque mastichi il Codice penale, la locuzione «a costo di» è sinonimo di una declinazione dell’elemento soggettivo del reato: il dolo eventuale. Meglio detto: l’agente (in questo caso la seduttrice) non vorrebbe commettere l’azione, ma al fine di ottenere lo scopo primario accetta anche le conseguenze eventuali di una condotta (in questo caso, la seduzione). L’esempio da manuale è la corsa in automobile su una strada trafficata: non c’è dolo diretto di uccidere ma è molto probabile che, in certe circostanze, possa provocarsi un incidente. È escluso qui il dolo volontario, in quanto l’agente non «vuole» in cuor suo che esso accada, ma non si è nemmeno nell’ambito della colpa; tanto che il penalista parla di «colpa cosciente» per indicare il caso sottostante in cui colui che agisce si rappresenta e prevede il risultato offensivo e, tuttavia, erroneamente ritiene con certezza che detto risultato non si verificherà nonostante la condotta. Siamo ad un passo dalla responsabilità oggettiva che la nostra Costituzione nel suo art. 27 esclude, affermando senza giri di parole che la responsabilità penale è personale; e che il delitto preterintenzionale (oltre l’intenzione) fa rientrare dalla finestra del Codice penale.

Ritengo che, in molti degli improvvisi casi segnalati dalle «attricette» e dalle altre professioniste (alcune delle quali presenti ad Arcore o in altri luoghi simili in cui si pratica bunga-bunga), la vittima possa assumere un ruolo attivo, e oscilli tra colpa cosciente e dolo eventuale. Gli artt. 609bis e seguenti del nostro Codice penale proteggono la libertà sessuale e il diritto di esplicare liberamente le proprie inclinazioni personali, impedendo altresì che il corpo possa essere senza consenso utilizzato da altri ai fini di soddisfacimento erotico. Le violenze vanno distinte dalle molestie dell’art. 660, che richiedono una petulanza (ed escludono il reato continuato per definizione) od altro biasimevole motivo negli atti di disturbo (spesso integrati nel mobbing). È qui impossibile non chiamare in causa la famosa «sentenza dei jeans», la quale però ha tutt’altro «sex-appeal». Infatti, in essa si parlava di stupro decontestualizzato, disfunzionale.

Asia Argento e Harvey Weinstein al Festival di Cannes (2004)

Ciò di cui parla Asia Argento (con le dichiarazioni sulle molestie subite dal produttore 20 anni fa) è (nel codice italiano almeno, e cercando di valutare la situazione in termini generali dal punto di vista del nostro ordinamento) l’abuso di autorità, che la legge n. 66 del 15 febbraio 1996 inserisce accanto alla violenza e alla minaccia a scopo sessuale. Fossi il giudice, chiederei all’accusa di definire il concetto di autorità: è tale quella di colui che sceglie chi parteciperà o meno alla produzione di un film multimilionario? Non entro nel merito del caso Weinstein, non ero presente quelle centinaia di volte che il grande seduttore ha violentato le sue inconsapevoli e sorprese vittime durante un provino, un colloquio, una cena; né lo ero negli altri innumerevoli casi di star oggi accusate dello stesso crimine (e non faccio a meno di tener presente il film «Rivelazioni», in cui le molestie sono commesse, in mobbing, da una donna – l’attrice Demi Moore – ai danni di un suo dipendente di sesso maschile – l’attore Michael Douglas -).

“Rivelazioni”, con Demi Moore e Michael Douglas

Distinguo tra stupri, molestie, violenze e abusi generici, da una parte, e sistemi che si sono sempre nutriti di tale consuetudine, dall’altra. I primi sono coperti a tutti gli effetti dalla fattispecie penale; i secondi entro certi limiti. E invito a esporre denuncia, strumento funzionale al perseguimento del criminale, non dei propri scopi, il quale va utilizzato in giudizio, non a mezzo stampa. In quest’ultimo caso, come dalla fattispecie di abuso sono stati tratti vantaggi dalla vittima, così similmente dall’impiego dei media: l’ottenimento di una copertina, di un titolo, di una presenza nel talk show, magari una parte in un film. Sicuramente un posto di rilievo dal parrucchiere.

L’uomo è predatore, ma – se è l’uguaglianza di genere che sosteniamo – la donna non è preda. Usa le armi della seduzione e, ove non lo faccia, non è vittima inerme di un sistema patriarcale. Non più. Ha posti di rilievo in politica, in azienda, nel cinema, ovunque voglia; sa tenere testa a un uomo. Quando, per forza fisica, non vi riesca, è stupro. Quando, per forza intellettuale, non vi riesca, è stupida. O fin troppo intelligente. Ed ora basta chiacchierare: tutte a lavorare. (ROMINA CIUFFA)

 




ALIMENTAZIONE 2.0: GALLINA CHE NON BECCA HA GIÀ BECCATO

All’inizio era il darwinianesimo. Processi di selezione naturale basati sulla meritocrazia non solo di un vivente, ma delle sue stesse parti corporali: la coda serviva – restava. Non serviva, via. Così le abilità. Si può dire che Darwin fosse un meritocratico, sebbene avesse ricevuto una raccomandazione, quella del naturalista John Stevens Henslow, per salire a bordo del Beagle, brigantino britannico in partenza per una spedizione di ricognizione scientifica intorno al mondo, in qualità di naturalista non stipendiato, e sebbene la sua ipotesi, esposta per la prima volta nel 1858, fu presentata contemporaneamente da Alfred Russel Wallace, che era giunto indipendentemente alle medesime conclusioni.

Corrette o meno, o correggibili, le teorie della selezione naturale sono utili a rispondere a chi vuole convincere il mondo – a prescindere da qualsivoglia cultura, antropologia, credo, dunque bandendo il relativismo in favore di un’assolutismo ideologico – a non mangiare carne. Esse sono basate, infatti, sull’assunto di una specie più forte all’interno di un ecosistema perfettamente autonomo. Homo homini lupus, d’altronde. Oggi la carne fa male, le tossine che sprigiona l’animale, mentre muore soffrendo, sono quanto di peggio si possa ingerire. Non è sbagliato ma, per quanto ciò sia vero, si scontra con l’eccesso. Le nonne dicevano: «Allora non è vera fame», quando si chiedeva da mangiare insistentemente e poi non si gradiva il brodino, la carne. Non è vera fame, no. Si voleva il gelato, diciamolo.

Ed eccoli qui, i nuovi affamati: onnivori (i polifagi), locavori (mangiano cibi prodotti nel raggio di un centinaio di chilometri dal luogo del pasto), ecotariani (scelgono cibo la cui sparizione causi un impatto minore sull’ecosistema), macrobiotici (no carne), vegetariani (no carne, no pesce), flexitariani (vegetariani che mangiano solo a volte carne e pesce), vegani (no ai cibi di origine animale, come latticini, miele e uova), freegan (che rifiutano in blocco la società consumistica, non comprano nulla, recuperano gli scarti anche dai bidoni, si nutrono pure di carcasse di animali morti trovate per strada), crudisti (amano cibi crudi di cui non sia superata una certa temperatura per mantenerne le proprietà di attivazione enzimatiche), fruttaliani (solo frutta e verdura), fruttaliani crudisti (escludono frutta e verdura cotte), fruttariani (solo frutta cruda, meglio se dolce), fruttariani simbiotici (solo frutta cruda e mangiata dagli alberi curati in proprio), via via verso il trionfo della concezione biocentrico-igienista.

Nonne, non abbiamo finito. È un melodramma quello dei melariani, per i quali le piante soffrono, tutte tranne i meli: le mele si donano all’uomo con piacere, i melariani lo sanno. Una mela al giorno leva il medico di torno (se il medico mangia solo mela, un peccato originale). Più avanti ci sono i respiriani: loro respirano. Vivono di sola luce. Assorbono prana (energia vitale, spirito) dal naso. Possono concedersi di ingoiare qualcosa solo se ciò non li fa sentire in colpa, «perché stiamo mangiando per gusto, perché ci piace e non per necessità», spiega una di loro in un’intervista. Aggiungendo: «I cambiamenti fisici più rilevanti sono stati la crescita costante di energia e luminosità e la scomparsa del bisogno di defecare. A un livello di pulizia totale si smette anche di urinare, rimettendo i liquidi in circolo e attivando un processo autotrofo». Alcuni riescono a non dormire, a diventare immortali, assicura la respiriana. Oltre, ci sono i raeliani, che meriteranno la reincarnazione scientifica e vivranno per sempre sul pianeta degli Elohim, dove il cibo sarà portato loro senza dover fare il minimo sforzo.

Dopo, ci sono solo i morti.

L’estremizzazione è una componente essenziale della media. Bukowski scriveva: «Non mi fido delle statistiche: un uomo con la testa nel forno e i piedi nel congelatore ha una temperatura media». Così è garantito un livello di maturità e intelligenza al centro, che solleva dall’idea di dover scegliere per forza tra il congelatore ed il forno. Ma si stava meglio quando si stava peggio. Prima non era un problema mangiare; oggi l’attenzione cade sul cibo al punto tale da essersi sviluppati in senso più ampio disturbi alimentari di forte gravità. L’aver posato lo sguardo su di essi li ha fatti emergere, e così avanti l’anoressia, avanti la bulimia, il «binge eating», la pica etc. Che, infine, sono ricollegati all’accudimento materno. E si torna alla madre, comunque: l’alimentazione inizia con la suzione, non con il respiro. Il latte materno proviene da un animale, facente parte della catena alimentare, ma oggi si dice: il latte è la cosa più pericolosa che c’è. Seno buono e seno cattivo, li chiamava Melanie Klein, l’assenza di integrazione dei quali condurrebbe, nello sviluppo evolutivo umano, alla formazione della posizione schizo-paranoide, utilizzata come difesa. Per l’appunto.

Cosa è accaduto, cosa ha portato a vivere di sola aria? A far credere che l’astensione dal cibo sia l’alimentazione corretta? A nutrirsi con il naso, non con la bocca? Nell’epoca degli «apericena» poi. La disperazione individuale, la distruzione planetaria, due facce della stessa medaglia; la psicosi come malessere. L’oncologo Umberto Veronesi, scomparso di recente, direttore dell’Istituto europeo di Oncologia, ha studiato la relazione tra cibo e cancro elaborando una dieta per la prevenzione dei tumori, incentrata su un consumo più coscienzioso dei diversi alimenti; una dieta non lontana da quella mediterranea, vicina a quella vegetariana ma con correttivi. Ma la dieta migliore è la coerenza.

Esagerare nella scelta di un regime alimentare e renderlo ideologia conduce a disturbi mentali, ossessioni, fissazioni, carenze. Una convinzione – di qualunque tipo essa sia – può modificare gli schemi neuronali del cervello, a livello individuale e collettivo, al punto da generare un effetto Pigmalione, la «profezia autoavverantesi» di Robert K. Merton, il quale con William Thomas sosteneva che «se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze». Anche definito effetto Rosenthal, il postulato sottolinea come una previsione possa realizzarsi per il solo fatto di essere stata espressa. Così una corretta disciplina nell’alimentazione supporta fisico e mente; un’eccessiva disciplina li distrugge, e pone in circolo premesse che condurranno all’adempimento della predizione che le ha generate. Accenderemmo un fuoco sapendo che il tronco dell’albero ne soffre? Come potremmo riscaldarci? Oggi, con l’energia solare. Ma poi, dove sedersi, su quali sedie? Per terra. «Per terra» acquisisce un significato talmente pregnante, a questo punto del ragionamento, da poter citare un altro gruppo, quello degli scalzisti o «barefooters», che vanno sempre in giro scalzi. E siamo noi a doverci fare il callo.

Si dice anche: “Gallina che non becca ha già beccato”. Si fa riferimento al fatto che si ha già la pancia piena. Ed, in un certo senso, è così: la reificazione della metafora conduce a dire che sì, si ha la pancia piena, di troppe cose. Abbiamo tutto. Non c’è più pane e patate, altro che guerra. Non c’è più l’istinto di sopravvivenza, è tutto a portata di mano, il grano è nel pollaio e non lo becchiamo. Galline restiamo.

Quella di oggi è vera fame? Nell’epoca del consumismo più sfrenato, dei click, dell’abuso, si può rispondere: no, non è vera fame. Tale nonna, ancora viva, non può più fare il ragù ai nipoti, non può sbattere un uovo per lo zabaione o la sua crema, le è inibito spadellare. Oltre a doversi abituare, con rassegnazione anziana, ad un mondo che svanisce, che lei non aveva distrutto ma che i suoi figli hanno massacrato senza esitare, ora non può che preparare, per il pranzo di Natale, un buon prana, e sapere che, nell’esalare l’ultimo respiro, almeno per quella volta ancora potrà tornare a dare da mangiare ai nipoti. Basterà per tutta la famiglia?   (ROMINA CIUFFA)

Anche su Specchio Economico – luglio/agosto 2017