NO POTHO REPOSARE, PER IL GHETTO DI BAULENI IO NON DORMO

Innanzitutto, questo video. Confesso: si piange. Va ascoltato e visto come una delle canzoni d’amore più grandi di tutti i tempi e, nelle sue immagini, un significato ancora più forte, che descriverò qui sotto. Ma, innanzitutto:

 

PER DONARE RESTA MENO DI UN MESE:
https://www.musicraiser.com/it/projects/9415-africa-sarda-studio

Figlio di un contadino e di una casalinga, l’avvocato sardo Badore (Salvatore) Sini (Sarule, 1873 – Nuoro, 1954) il 23 luglio del 1915 – estate rovente fresca di una guerra iniziata da due mesi e destinata ad annidare tragedie e morte, il resto è storia – scrisse la poesia A Diosa, lettera di un innamorato che parte per il fronte. Con A Diosu, la risposta di lei, il puzzle si chiudeva in un poema di corrispondenza tra i due amanti lontani. Gli addii di quei giorni, quelli di chi non sarebbe mai tornato dalle trincee, mutatis mutandis erano già il “post” di un RIP attuale. Così si esprimeva: “E avessi avuto le ali per volare, sarei volato da te mille volte: sarei venuto almeno per salutarti o anche soltanto per vederti appena”. In dieci minuti – Sini non poteva sapere – aveva scritto quello che sarebbe a breve divenuto il testo di una delle canzoni più rappresentative e romantiche della Sardegna, l’O Sole mio napoletano: Giuseppe Rachel (Cagliari, 1858 – Nuoro, 1937) la musicò nel 1920 e ne face un valzer inglese, inserendola nel repertorio del Corpo musicale filarmonico di Nuoro da lui diretto. La si conobbe con il nome di No potho reposare. Riposo non trovo.

Ma chi l’avrebbe detto, chi, che oggi quel brano sarebbe stato interpretato da un gruppo di ragazzini africani intrappolati in un uno slum? Che avrebbe risuonato in un ghetto sporco, povero, invisibile quando non inesistente, nel bel mezzo dello Zambia? In un compound, quello di Bauleni, che la cantante sarda Carla Cocco – tra le cui collaborazioni altisuona il brasiliano Toquinho – ha preso talmente a cuore da creare Africa Sarda Studio, avente ad oggetto la realizzazione di uno studio di registrazione e di una scuola di musica all’interno del ghetto, per il quale non dorme più. No potho reposare, per l’appunto.


Toquinho e Carla Cocco, Auditorium Parco della Musica

Questo brano ne è (solo) uno dei risultati: africani che, con lei, cantano in sardo. Già questo, un miracolo. Sono Francisca, Alan, Florence, Ethel, Julia, Romance, Madaliso, Jaco e il fratello Jay, ed anche Daniela Schiavone, del servizio civile per In&Out of the Ghetto, associazione coinvolta nell’impresa. È Jaco ad aver prodotto il brano con due casse e un mixer arrangiatissimi, in quello che è solo l’abbozzo del futuro studio: una sedia ed un tavolo. Lavorando senza voler fare pause pranzo per due giorni di seguito, costruendo da sé le basi a partire da zero. Carla, intanto, istruiva in loco i ragazzi al brano e al canto. Poi, la produzione.

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Non è la guerra di Badore questa, non è la prima guerra mondiale, in un certo senso è peggio: il destino del Compound di Bauleni è segnato, non è legato alle sorti di un conflitto, di alleanze, di fughe, di comandi, di territori, di diplomazia. Esso è bensì segnato dalle stesse condizioni intrinseche che lo fondano. “No potho reposare” divenne patrimonio universale, oggi è qualcosa di più (non mi riferisco alla versione dei Tazenda o di Anna Oxa): entrare in uno dei ghetti più poveri dell’Africa e risuonare da lì – per essere portata nel mondo ed avere la capacità intrinseca di togliere dei ragazzi dalla strada, dar loro se non un futuro un presente fatto di talento e obiettivi – va oltre i riconoscimenti per l’arte e la commercializzazione. L’arte non è il delirio onnipotente di un futurismo che crede che un pennello possa portare al futuro, su parametri oppositivi quali modernità contro antico, velocità contro stasi, violenza contro quiete; né è un quadro tutto blu esposto al Moma-NYC di Manhattan , davanti al quale mi sedevo in tutte le mie pause pranzo – diverse da quelle di Jaco – lavorando da avvocato Corporate a Times Square: osservavo e riosservavo, segretamente agli antipodi di una sindrome di Sthendal, con l’intimo intento di cercare di capire il monocromatismo di Yves Klein che, con Blue Monochrome, rappresentava, secondo la sua idea, una “finestra aperta sulla libertà” ed evocava nelle intenzioni l’immaterialità e l’utopia, tanto che a quel blu veniva dato un nome, International Klein Blue. Lo ritengo alla stregua di “petaloso”. Arte non è questo:

Arte non è utopia. Come musica non è X-Factor o talent, non sono parolacce da parte di una giuria di incompetenti ed influencer, non è divismo né autografi in uno store. Musica ed arte, insieme, sono quelli dell’African Voice Band, l’opera prima di chi ha qualcosa da realizzare, quando non solo immaginare, quando non solo desiderare. A volte nemmeno “utopizzare”. Carla Cocco sta facendo tutto questo da sola, richiedendo solo piccoli contributi attraverso la piattaforma di Musicraiser, acceleratore di crowdfunding per trovare fondi online, vere e proprie donazioni alla causa in cambio di “ricompense” che vanno da cd a house-concerts, gadgets e quant’altro. Nel caso di Africa Sarda Studio, è possibile anche ricevere oggetti artigianali creati dagli abitanti del ghetto: direttamente dalle mani di Mary (anche lei cantante del disco in uscita Africa Sarda & is Amigus) e della sua mamma Delia: portamonete, zaini, borse, coperte patchwork made in Bauleni, realizzati con il kitenge, tessuto africano. QUI: https://www.musicraiser.com/it/projects/9415-africa-sarda-studio.

“No potho reposare” recita: (ROMINA CIUFFA)

IL TESTO ORIGINALE E LA SUA TRADUZIONE
Non potho reposare amore, coro,
nè in dispiaghere o pessamentu.
Non trovo riposo, cuore mio:
il pensiero è sempre rivolto a te.
Non essere triste, gioia d’oro,
non dispiacerti e non stare in pensiero per me.
Ti giuro di desiderare te soltanto perché ti amo, ti amo, ti amo.

pro venner nessi pro ti saludare,
Amore mio, tesoro da voler bene,
il mio affetto è riservato a te.
Se avessi avuto le ali per volare,
sarei volato da te mille volte:
sarei venuto almeno per salutarti
o anche soltanto per vederti appena.

sas formas e furavo dae chelu

unu mundu bellissimu pro tene
pro poder dispensare cada bene.

Se mi fosse possibile prendere
le forme spirituali di un angelo invisibile,
ruberei dal cielo sole e stelle per formare
un mondo bellissimo tutto tuo
cosi da poter dispensare ogni bene.

Amore meu, rosa profumada,
amore meu, gravellu olezzante,
amore, coro, immagine adorada.
Amore, coro, so ispasimante,
amore, ses su sole relughente,
Amore mio, rosa profumata; amore mio,
garofano odoroso; amore, cuore,
immagine venerata;
amore, cuore, io spasimo per te; amore.
Sei il sole lucente che spunta la mattina in oriente.

lizzu vroridu, candidu che nie,
semper in coro meu ses presente.
Amore meu, amore meu, amore,
Sei il sole che mi illumina
e mi esalta il cuore e la mente;
giglio in fiore, candido come la neve,
sei sempre presente al mio cuore.
Amore mio, amore mio, amore:
ti auguro di vivere senza amarezza e dolore.


in fundu de su mare a regalare
a tie vida, sole, terra e mare.

Se avessi potuto prendere tutto in una volta
la luce delle stelle e del sole
e il bene dell’universo,
mi sarei immerso come un palombaro
in fondo all’oceano per farti dono di vita,
sole, terra e mare.

s’essere istadu eccellente iscultore,
Ma non balen a nudda marmu e tela
Se fossi pittore ti farei un ritratto,
se sapessi scolpire degnamente ti dedicherei una statua di marmo.
Invece dico con dolore:
non so fare queste cose.
Ma il marmo e la tela nulla contano in confronto alla vela d’oro dell’amore.

Ti cherio abbrazzare egh’e basare
ma da lontanu ti deppo adorare.
chi de sa vida nostra tela e tramas
Vorrei abbracciarti e baciarti
per unire la mia anima al tuo cuore.
Ma debbo venerarti da lontano.
Il pensiero del tuo amore mi conforta,
tela e trame della nostra vita
hanno lo stesso destino in virtù del tuo amore.

sos profumos, sos cantos de veranu,
sos zeffiros, sa brezza relughente
sas menzus cosas dò a tie, anghèlu.

L’incanto dei tramonti, la prima alba.
L’aurora, il sole splendente, i profumi,
i canti della primavera, gli zefiri,
la brezza che fa splendere il mare.
L’azzurro del cielo sono tutti doni per te,
mio angelo.




AFRICA SARDA STUDIO: DA CARLA COCCO AL GHETTO DI BAULENI, IL NOSTRO “WE ARE THE WORLD”

Qui esplicitamente a chiedere di collaborare per la realizzazione di un progetto di solidarietà con il compound zambiano di Bauleni, in cambio di “ricompense” come indicato al link: https://www.musicraiser.com/it/projects/9415-africa-sarda-studio

Il punto è che fare musica non basta. Come non basta scrivere e nemmeno costruire i palazzi. C’è una sorta di meta-trasformazione di ciò che si fa in ciò che si è che va valutata (e sviluppata) ogni qualvolta si intenda rendere il proprio talento concretezza. Che un album sia pubblicato non significa, per me, nulla. Oggi ancor di più, potendolo scrivere e produrre in casa anche con l’apporto dei più grandi artisti globali che dalla loro abitazione non hanno mosso un passo, se non fatto click per l’invio del file audio come partecipazione al disco. Non serve a nulla, salvo considerare l’ascolto e, in questo millennio, le visualizzazioni, le quali certo non corrispondono a un “la so”. Il “la so” è per chi la sa, ossia la ha ascoltata, interiorizzata, ne conosce il testo e, mi spingo oltre, anche il video, considerando che personalmente so rifare per intero tutto il videoclip di Faith nella persona di George Michael e il moonwalker di Michael Jackson, nonché il balletto di Thriller. Sto dicendo una cosa: tutto deve avere una funzione. Come dire: l’atto sessuale provoca piacere intrinseco, sì, ma si può anche usare per la riproduzione.

Carla Cocco provoca piacere, prima, poi genera. Figli. Neri. Ecco come. Un progetto, quello di Africa Sarda Studio, che sto seguendo e che ascolto in anteprima mentre lo si registra in Africa, nel compound di Bauleni, in Zambia. Qui, esattamente:


Mutatis mutandis, parte una campagna di crowfunding per un ghetto africano, su https://www.musicraiser.com/it/projects/9415-africa-sarda-studio. Classe 78, cantante sarda di origine greca che vive a Roma da 20 anni, Carla Cocco ha scelto, per il suo quarto album, di finalizzare il proprio impegno in qualcosa di ri-produttivo. Non riproduzione solo musicale, una vera e propria gravi-danza. Nel 2015, quando rappresenta musicalmente l’Italia a Lusaka (Zambia) per la XV edizione della Settimana della lingua italiana nel mondo, ha l’occasione di visitare il compound di Bauleni e conoscere gli African Voice Band, una band di adolescenti nata nei cortili del ghetto. È lì che nasce l’idea, il sogno: Africa Sarda Studio, uno studio di registrazione e insieme una scuola di musica all’interno del ghetto, per permettere ai ragazzi di studiare, esercitarsi, incidere autonomamente la propria musica e portarla fuori dal ghetto stesso, anche attraverso l’organizzazione di una serie di concerti, lontano da una realtà che è ben nota. In tal modo i ragazzi sarebbero (saranno) i protagonisti attivi dello sviluppo della comunità in cui vivono e verrebbero (verranno) sottratti al loro inevitabile destino di povertà, analfabetismo, delinquenza e tossicodipendenza. Si darebbe (darà) loro la possibilità di costruirsi un futuro diverso, nuovo, positivo. Ed una stanza nel ghetto è stata già predisposta e pensata solo per lo studio (50 mq circa).

Con In&Out of the Ghetto (www.africass.it), associazione zambiana guidata dall’educatore Diego Cassinelli, la cui filosofia è: “C’è posto per il bello e il brutto ma non più per il pietismo. Basta bambini con le mosche in faccia e il pancione”. Azione.


Diego Mwanza Cassinelli

A Natale 2017 Carla torna a Bauleni, da sola, per iniziare la produzione del disco e condividere la vita del ghetto. Sono prodotti così i primi brani, creata la base della nuova struttura.

Cos’è Bauleni? Il compound, nato come insediamento non autorizzato, è fuori dalla responsabilità e dall’interesse dell’amministrazione della città; vi è, in Bauleni come negli altri slum, una strumentalizzazione di numeri da parte di terzi per trarne vantaggio, per esempio l’aumento di cifre inerenti la popolazione del compound stesso, il numero di persone particolarmente vulnerabili e altri dati sensibili ai fini di ottenere fondi. Questo insediamento ha origine nel 1945, e prende il nome dal vecchio proprietario della terra, Mr. Boulen, ex soldato tedesco in pensione o fuggito dopo la sconfitta dalla Germania nel conflitto mondiale. Successivamente il suo cuoco, proveniente dal Malawi, con l’aiuto di altri braccianti si incaricò del funzionamento dell’intera farm.

“Dall’inizio della formazione del compound di Bauleni la popolazione cresce anno dopo anno in maniera preoccupante”. Spiega Cassinelli“Il conteggio della popolazione è un aspetto problematico, abbiamo dati poco credibili e gonfiati di alcune agenzie, che stimano una cifra di 90 mila abitanti su 8 mila abitazioni; questo vorrebbe dire una media di 11 abitanti per casa, cosa che non corrisponde a ciò che ho potuto osservare nei miei 2 anni di frequentazione del compound. Altre fonti non ufficiali abbassano il numero a 30/35/40 mila. Una delle azioni prioritarie è la quantificazione in modo più puntuale e neutro attraverso ricerche sul campo, attraverso l’aiuto dei giovani del compound: questo può diventare un progetto per i giovani dei bar”. 

Altro? L’accesso all’acqua potabile è garantita da 3 pozzi, da 3 cisterne in differenti zone e un numero non precisato di rubinetti sparsi nel compound (da ricercare). All’interno e nelle vicinanze non ci sono ospedali, bensì una clinica fondata dalla collaborazione dei Governi dello Zambia e della Danimarca, con un reparto maternità, “struttura non sufficientemente preparata a far fronte alla ingente quantità di persone affette da diverse malattie che si riversano ogni giorno per cure, terapie o per semplice consulenza”. Vi sono inoltre una clinica privata di dimensioni notevolmente più contenuta e meno attrezzata, e un dottore locale che esercita legalmente.

La campagna di crowdfunding AFRICA SARDA STUDIO, lanciata da Carla Cocco, serve a coprire in parte i costi per la realizzazione dello studio di registrazione nel ghetto; le spese per un corso di formazione di fonia per i ragazzi e i costi per la realizzazione del disco al quale parteciperanno in tanti, che si sono offerti di dare il loro contributo. Più avanti, l’organizzazione di concerti per far muovere il ghetto dal ghetto e farlo tornare, più deciso, nel ghetto. Più pronto. Più forte. Con spalle più grosse.

“Musica vuol dire condivisione, vuol dire empatia, vuol dire amore–dichiara la cantante–, ecco perché ho pensato al crowdfunding: una famiglia, la nostra, quella che costruiremo insieme, che permetterà la realizzazione di un sogno che potrebbe cambiare per sempre la vita di questi ragazzi e la nostra, perché ne saremmo gli artefici. Abbiamo tanto da imparare da loro, dalle loro risate, dai loro sorrisi. Se riusciremo a raggiungere e superare la cifra per ora fissata su Musicraiser, quella di 5 mila euro, saremo stati capaci di creare insieme una nuova sinfonia, degna dei più grandi compositori”.  

Personalmente credo che fare gli auguri di Natale da Cortina serva a ben poco. A livello globale, intesi. Per chi mastica social condividendo link senz’anima come un “adesso spogliati”. Che sia più utile un’esperienza in cui i vestiti di cui adesso spogliarsi non ci sono nemmeno, quale quella vissuta dalla Cocco in Africa, in quei giorni e nei giorni che verranno, per funzionalizzare il concetto del “la so” ed integrarlo con quello di “la do”, ossia donare i propri sforzi ad un impegno superiore. La causa può essere diversa, sono molte le cose da fare oltre allo scroll sui social. In questo caso si possono acquistare cd, concerti in casa di Carla, ed anche una settimana di “soggiorno” nel Compound di Bauleni: sono le ricompense per i donatori, tutte ben esplicitate nella piattaforma di Musicraiser. È il vero “like”, il mi piace dell’attivo. Non c’è bisogno di fare uno sforzo filosofico sul “c’è chi sta peggio” né di muoversi a compassione. Tali emozioni non servono, sciare non è vietato; ciò che è utile è l’azione. La funzionalizzazione. L’oltre. Cantare con Toquinho va bene, essere scelta per rappresentare i 100 anni di Vinicius de Moraes all’Auditorium Parco della Musica di Roma va bene, affiancare Ornella Vanoni va bene, ma scegliere come partner ufficiale del prossimo disco il Compound di Bauleni fa bene. Tutti possiamo, a nostra misura, riscrivere “We are the World”. (ROMINA CIUFFA)

GALLERY

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SOLETERRE (DAMIANO RIZZI): PSICO-ONCOLOGIA, IL CANCRO NON DEVE ESSERE UNA «TERRA SOLA»

Il cancro è una malattia a base somatica, che colpisce il corpo. Ma non risparmia la mente: l’abbattimento psicologico che si verifica a causa delle difficili cure e dell’aspettativa di vita, spesso declinata in negativo, ha una componente molto forte sulle possibilità di guarigione, a partire dall’influenza sullo stile di vita cui il paziente oncologico aderisce. La famiglia è coinvolta integralmente nel processo psicologico. La Sipo, Società italiana di psico-oncologia, ne prende atto sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1985: sorta come associazione integrante le figure professionali (psicologi, oncologi, psichiatri e altri operatori sanitari) che lavorano nell’ambito dell’oncologia e dell’assistenza alle persone malate di cancro e alle loro famiglie, promuove la conoscenza, il progresso e la diffusione della psico-oncologia in campo clinico, formativo, sociale e di ricerca.

Iniziativa di rilievo l’indizione di una giornata nazionale di psico-oncologia, quest’anno (22 settembre) alla sua seconda edizione. Vi ha partecipato la Fondazione Soleterre-Strategie di pace onlus, organizzazione umanitaria che opera per garantire i diritti inviolabili degli individui nelle «terre sole», con progetti e attività a favore di soggetti vulnerabili in ambito sanitario, psico-sociale, educativo e del lavoro, per l’affermazione di una cultura di solidarietà. Oltre che in Italia (a Pavia), è attiva in Ucraina, Costa d’Avorio, Marocco, El Salvador, Congo e Uganda, dove adotta metodologie di partenariato e di co-sviluppo per promuovere la partecipazione dei beneficiari degli interventi nei Paesi di origine e in terra di migrazione, e garantire la loro efficacia e sostenibilità nel tempo.

È presieduta da Damiano Rizzi che, dopo aver collaborato con organizzazioni umanitarie internazionali, nel 2001 ha, con altre 5 persone, creato Soleterre. Ha così lavorato e coordinato progetti di sviluppo umano in Bosnia Erzegovina, Kosovo, Costa d’Avorio, Albania, Romania, Marocco, Moldavia, Ucraina e Italia. Per le iniziative a favore di bambini poveri e malati di cancro in Ucraina ha ottenuto la targa d’argento della Presidenza della Repubblica italiana.

Domanda. La seconda giornata nazionale della psico-oncologia: chi coinvolge?
Risposta. Coinvolge a livello nazionale, regionale e provinciale diversi professionisti e associazioni che garantiscono ai pazienti malati di tumore e ai loro familiari sostegno e supporto psicologico e sociale, con una visione che considera le dimensioni complesse della malattia oncologica.

D. Quali sono i suoi obiettivi?
R. L’intenzione è quella di offrire un’assistenza attenta a una migliore qualità di vita durante tutto il percorso di malattia. Una caratteristica fondamentale del modello dell’oncologia pediatrica, sviluppato in Italia all’interno dei centri Aieop, Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, è proprio quella della gestione multidisciplinare della cura. In particolare, l’avere indetto una giornata su questo tema significa impegnarsi a diffondere e sostenere ruolo e funzioni nella psico-oncologia fra i cittadini, per diffondere un approccio integrato alla conoscenza e alla cura delle malattie neoplastiche.

D. In che modo Soleterre ha partecipato al progetto?
R. Soleterre è impegnata fin dalla sua nascita, nel 2002, in progetti e interventi in difesa del diritto alla salute intesa, come indicato dall’Organizzazione mondiale della sanità fin dal 1948, come «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità». Dal 2010 ha attivato il Piop, Programma internazionale per l’oncologia pediatrica, per garantire accesso alle cure in Paesi a basso e medio reddito e cure di qualità in Italia. La Fondazione aderisce alle principali società scientifiche internazionali che si occupano di oncologia, quali la Uicc, Union for international cancer control, o la Cci, Childhood cancer international. In occasione della seconda giornata nazionale della psico-oncologia, Soleterre è intervenuta a Brescia al convegno «I bisogni psico-sociali del malato e del caregiver. Esperienze sul campo in Lombardia», presentando i dati di una ricerca realizzata sui principali bisogni dei bambini malati e dei loro genitori, condotta in Costa d’Avorio, India, Marocco e Ucraina comparandoli con i dati italiani. Abbiamo anche presentato la Carta dei servizi di psico-oncologia realizzata presso l’oncologia pediatrica dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico San Matteo di Pavia.

D. Quali sono i bisogni psicosociali del malato e del caregiver?
R. I dati sono stati raccolti nel corso del 2013 da una ricerca finalizzata alla creazione di un confronto internazionale di bisogni e necessità dichiarate da medici, psicologi e familiari di pazienti affetti da tumore infantile. In linea con gli studi in letteratura focalizzati sulla costruzione di rappresentazioni mentali di malattia (RM) e con la teoria dell’autoregolazione di Leventhal, il principale bisogno psicologico espresso attiene alla sfera delle conoscenze e delle aspettative circa la malattia. Dalla nostra indagine risulta che per definire il percorso di senso occorre avere maggiori informazioni utili alla possibilità di rielaborazione personale, oltre ad un atteggiamento empatico dei medici e del personale. Tale tipo di bisogno espresso, in termini più generali, atterrebbe alla sfera della psico-educazione nella sua componente cognitiva, e dell’educazione socio-affettiva nella sua componente emotiva, che se considerate correttamente possono migliorare la capacità di contenimento emotivo dei genitori e dei bambini migliorando anche la compliance terapeutica, ossia la componente comportamentale. Per quanto attiene alla sfera sociale, dalla ricerca emerge che i principali bisogni espressi riguardano le complesse condizioni del contesto socio-economico e della difficoltà di accesso ai sistemi sanitari e alle cure, «difficoltà finanziarie e costi troppo elevati» in Costa d’Avorio, «un luogo migliore in cui ricevere cure» in India, «costo degli esami e delle medicine troppo elevato» in Marocco e «cure troppo care e trasfusioni a pagamento» in Ucraina.

D. Come nasce e in cosa consiste, esattamente, la Carta dei servizi di psico-oncologia della Provincia di Pavia?
R. Nasce dal bisogno di pubblicizzare i tanti servizi attivi nel territorio pavese, dentro e fuori gli ospedali, allo scopo di far sapere all’utente che esistono e che sono a sua disposizione. Lo scopo è diffondere tali materiali in collaborazione con ospedali e università al fine di fare incontrare la domanda di servizi e la sua offerta.

D. Siete operativi, come Soleterre e Sipo, solo in Lombardia, o anche nel resto del territorio?
R. Soleterre è attiva in campo oncologico pediatrico in Italia a Pavia e nel mondo in Costa d’Avorio, Marocco, Ucraina e Uganda. La Sipo è attiva in tutta Italia e a livello internazionale attraverso l’Ipos, ossia International psycho-oncology society.

D. Quali sono le vostre iniziative specifiche? Che impatto hanno?
R. Le nostre iniziative specifiche di supporto psicologico riguardano 10 ospedali, 29 associazioni e 18 enti pubblici in 5 Paesi di 2 continenti. Aiutiamo 1395 nuclei familiari che oltre al sostegno psicologico ricevono anche aiuti in termini economici per accedere a diagnosi, medicinali, materiale sanitario ecc. attraverso un fondo d’emergenza creato per fornire aiuto economico diretto alle famiglie meno abbienti. Il sostegno psicologico riguarda anche 347 tra medici e medici specialistici, infermieri e altre figure socio-sanitarie per cui è a disposizione il servizio e che ricevono formazione continua sul tema dell’oncologia pediatrica. Inoltre, la Fondazione Soleterre in ogni casa-famiglia ha attivato un servizio di psico-oncologia. Le case-famiglia in Ucraina, Costa d’Avorio e Uganda hanno accolto 293 famiglie garantendo vitto e alloggio, supporto psicologico e attività ricreative.

D. Qual è l’attuale stato delle ricerca oncologica prima, e psico-oncologica poi, in Italia e nel mondo? E quale lo stato delle strutture ospedaliere e cliniche private nel nostro Paese, anche in confronto con la situazione globale?
R. In Italia e nel mondo occidentale la ricerca oncologica è sempre in evoluzione. Grazie all’immunoterapia, alle terapie target, a chemioterapia, chirurgia e radioterapia, i pazienti oncologici vivono più a lungo. In Italia il vero problema resta quello del finanziamento pubblico alla ricerca, che è presente in una logica «emergenziale». Per fortuna esistono tante organizzazioni private che la finanziano. Le condizioni degli ospedali sono molto eterogenee tra loro con una difficoltà evidente in alcune aree del sud del Paese. Nei Paesi a basso e medio reddito, oltre a non fare ricerca, spesso non si ha accesso nemmeno a quella del mondo occidentale. Le condizioni degli ospedali pubblici sono troppo spesso insufficienti nei servizi di base, dalla diagnostica ai protocolli di cura.

D. In che modo la psicologia può aiutare il paziente oncologico e le sue famiglie?
R. Le evidenze scientifiche indicano che gli interventi psico-oncologici comportano una significativa riduzione del dolore, dell’ansia e della depressione, un miglioramento della qualità di vita e un’azione positiva su diversi parametri biologici indicatori di stress, quali il cortisolo. Il supporto psico-oncologico è considerato «l’altra metà della cura» e influisce positivamente sui risultati delle terapie.

D. Siete attivi anche nella psico-oncologia pediatrica: come?
R. Lo siamo quasi esclusivamente in ambito di oncologia pediatrica attraverso attività di educazione alla salute, diagnosi precoce, accoglienza, cure mediche, sostegno psico-socio-educativo, networking, sensibilizzazione e advocacy.

D. Il cancro è una «terra sola»?
R. Il cancro è una malattia che va curata e per fortuna i bambini, se ben curati, possono avere alti tassi di sopravvivenza. Purtroppo in molte aree della terra i bambini malati di tumore non vengono curati, e allora il cancro diviene una «terra sola».

D. Fondazione Soleterre: come nasce, cos’è, di cosa si occupa, com’è strutturata, come si regge, in che modo è supportata: una descrizione generale della Fondazione.
R. Soleterre è una fondazione partecipata nata circa 15 anni fa con l’intenzione di affermare per tutti gli individui il diritto ad essere curati. Lo abbiamo sempre fatto con tutte le nostre forze grazie all’aiuto di tanti donatori italiani e non solo. Soleterre è anche una concreta possibilità di cambiare davvero con tenacia e pazienza le cose che non vanno, poco a poco ma con tanta speranza e fiducia. Siamo circa 100 professionisti con competenze in diversi ambiti – medicina, psicologia, gestione e sviluppo dei progetti umanitari, comunicazione, raccolta fondi – che credono nel dovere di applicare veramente i diritti umani scritti nelle diverse costituzioni e leggi.

D. Lei di cosa si occupa?
R. Mi occupo, come psicologo, della supervisione nell’ambito del supporto psicologico e sociale del Programma internazionale per l’oncologia pediatrica. Ho personalmente contribuito ad avviare i progetti nelle aree di intervento e, come presidente della Fondazione Soleterre, curo i rapporti istituzionali e una parte della raccolta fondi. Cerco ogni giorno di dare speranza e futuro per poterne regalare una parte consistente alle altre persone. Sono sposato e ho due figli a cui vorrei dire un giorno di avere fatto al meglio la mia parte per migliorare le cose che non vanno. (ROMINA CIUFFA)