PSICOLOGIA DELL’ASTRONAUTICA: DA GAGARIN AL CONVEGNO ITAPA

di ROMINA CIUFFA. La Psicologia dell’Astronautica inizia nel 1961 con il lancio del primo uomo nello spazio. Alla pubblicazione “La psicologia e il cosmo”, che Jurij Gagarin (astronauta che il 12 aprile 1961 compiva il primo volo orbitale attorno al globo) scrisse insieme a Vladimir Lebedev, può farsi risalire – dicono – il primo testo di psicologia dell’aviazione, del tipo spaziale. Il volumetto era già pronto, ma venne pubblicato postumo: uscì dopo la scomparsa – avvenuta il 27 marzo 1968 nel corso del collaudo di un aereo sperimentale, precipitando con l’apparecchio in un campo a trenta chilometri da Mosca – del suo autore astronautico, colto dal fascino pioniere di una nuova umanità volante e stellare, e da emozioni che aveva già messo per iscritto in “Non c’è nessun dio quassù” e in “Quello che ho visto nello spazio. Psicologia e cosmo nell’esperienza del primo uomo a volare tra le stelle”. Cosa è dei valori dell’uomo, del suo legame con il mondo, con la vita a terra, con i suoi cari e con l’umanità in genere, quando si trova immerso in un’atmosfera estranea a tutto ciò che è “esistenza” o “casa”? Come sono alterate le percezioni, le valutazioni distorte, modificati i criteri di obiettività? Cosa vuol dire essere lontanissimi dalla comfort zone?

Probabilmente, come in guerra, si arriva facilmente a raggiungere un disturbo da stress post traumatico, seppure, anziché la trincea o la morte dei soldati, l’uccisione dei nemici, le ferite, si viva l’esperienza più grande ed “esistenzial-attiva” che una qualunque forma sulla Terra (dalla foglia al girino all’uomo) possa sperare di compiere. E, guardando indietro, non si vede una trincea, non si sente l’odore del sangue: lì, guardando dietro a sé, si staglia un muro di grandezza e infinità, il muro dello spazio. Ossimoro che può spingere chi è stato lassù – per la prima o per l’ultima volta, in un giro orbitale o mettendo il piede sul suolo lunare, lavorando o semplice passeggero miliardario di una missione “sightseeing” – a morire di “nullità”.

Fu attribuita a Gagarin la frase “non c’è nessun dio quassù”, ma sembra (da quanto dichiara colonnello Valentin Vasil’evič Petrov, docente presso l’accademia aeronautica militare intitolata allo stesso Gagarin, suo intimo amico) che fu il politico Nikita Chruščëv a pronunciarla per sostenere la campagna antireligiosa dell’epoca (“Perché state aggrappati a Dio? Gagarin volò nello spazio, ma non vide Dio!”, aveva detto nel corso di una sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista sovietico). Di certo la sua psicologia, però, ne fu colpita, a prescindere dall’anelito spirituale, e il poeta Salvatore Quasimodo parlò di una esaltazione della “intelligenza laica dell’uomo” relativamente al carattere essenziale del volo di Gagarin, come riportato nella quarta di copertina del testo pubblicato da Editori Riuniti. Tanto che “La psicologia e il cosmo” può essere considerato il primo testo di Psicologia dell’aviazione.

Lo fece notare anche Vladimir Lebedev – primo essere umano a lasciare la sua capsula spaziale per rimanere sospeso liberamente nello spazio compiendo la prima attività extraveicolare della storia – a Lorenzo Mezzadri, presidente dell’Italian Flight Safety Committee (IFSC), l’associazione italiana di esperti di sicurezza del volo impegnata nel miglioramento della sicurezza aerea all’interno della comunità aeronautica italiana. L’Italian Flight Safety Committee nasce sull’esperienza di quanto già realizzato con successo in altri Paesi: Stati Uniti (Flight Safety Foundation) e Regno Unito (UK Flight Safety Committee). La denominazione anglofona dell’associazione è frutto di questo retaggio.

Mezzadri ne parla nel corso di un incontro – lo scorso 6 maggio a Roma – in cui si sono riuniti i maggiori esperti italiani ed europei sulla psicologia dell’aviazione per il primo convegno organizzato dall’Associazione italiana Psicologia dell’Aviazione (ITAPApresieduta da Alessandra Rea, sodalizio formato da psicologi ed esperti di human factor che opera dal 2019 e che rappresenta oggi il polo italiano di aggregazione culturale sul tema. Alla presenza di Alessio Quaranta, direttore generale dell’ENAC, Maurizio Paggetti, CEO dell’ENAV, e David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi, che lo hanno introdotto, si è snocciolata la tematica dell’Aviation Psychology e della salute mentale e benessere dei professionisti dell’aviazione, includendo la parte spagnola con Adela González Marín (presidente dell’AEPA, Asociación Española de Psicología de la Aviación) e Francisco Santolaya Ochando (presidente del Consejo General de la Psicología).

Mezzadri, oltre a presiedere l’IFSC, è docente presso l’Università La Sapienza di Roma della materia Psicologia aeronautica ed aerospaziale, insegna presso l’Ispettorato superiore di Sicurezza del volo dell’Aeronautica militare italiana e presso l’Università statale “MGU” di Mosca, è ricercatore negli studi sul fattore umano nei voli spaziali internazionali di NASA, ESA e Rosskosmos e lavora con l’ATO Urbe Aero.

Riassume Mezzadri: 

“Nel 1957 si lancia lo Sputnik, ed è la prima volta che un oggetto costruito dagli umani riesce a superare l’atmosfera e a rimanere in orbita; nello stesso anno il primo essere vivente, la cagnetta Laika (il nome non era quello, “Laika” si riferisce alla razza) viene lanciato nello spazio. Si arriva alla psicologis aerospaziale con il 1961, quando l’Unione Sovietica lancia il primo uomo nello spazio, Jurij Gagarin, dunque la prima donna nel 1963, Valentina Tereskova. È del 1965 la prima attività extraveicolare (EVA), la prima volta che un uomo apre un portellone di una nave spaziale ed esce con la propria tuta, senza sapere se potrà sopravvivere a temperature estreme, mancanza di ossigeno e di atmosfere: fu Aleksej Leonov, con cui ho avuto l’onore di lavorare, che è venuto a mancare poco tempo fa, innamorato del nostro Paese e della psicologia: fu proprio lui a regalarmi un libro, che considerava essere il primo libro sull’Aviation Psychology, scritto dallo stesso Jurij Gagarin insieme a Vladimir Lebedev”.

 
Vladimir Lebedev

Prosegue:

“Il primo volo sulla Luna, Apollo 11, è del 1969; del 1971 la prima stazione permanente Salyut 1, del 1975 il primo incontro e attracco nello spazio tra Usa e Urss con Apollo e Soyux con Aleksej Leonov. Era momento di massima tensione tra i due Paesi, e i due presidenti di allora avevano deciso di dare un segnale di disgelo e di mandare i loro uomini nello spazio per mostrare che si poteva dialogare, e mi fa piacere dirlo adesso, nel momento in cui stiamo, sperando che psicologia e astronautica possano riunire piuttosto che dividere. Nel 1981 fu effettuata la prima missione nello spazio dello Shuttle Columbia, e nel 1986 toccò alla stazione spaziale russa MIR. Nel 1998 si ebbe la prima vera cooperazione spaziale internazionale, la ISS, International Space Station (giapponesi, europei, canadesi ed americani). Il 2004 è un’altra data fondamentale perché abbiamo l’ingresso dei privati nell’esplorazione spaziale, in orbita bassa, con Space Ship One, e nel 2008 in volo orbitale con SpaceX Falcon I, mentre nel 2012 attracca alla ISS la prima navicella privata SpaceX Dragon, fino al 2020, anno del primo volo con equipaggio creato da un ente privato, SpaceX Crew Dragon”.

Le istituzioni, in questo caso la NASA, sono sempre presenti coordinando le attività dei privati. La motivazione è giuridica: i privati possono compiere questo tipo di attività, lanciare razzi o satelliti, però se avviene un incidente in volo di aviazione responsabile è la compagnia aerea con le sue assicurazioni, per quanto riguarda il trattato sulla liability internazionale nello spazio, invece, responsabile diretto è il Paese di lancio e non la società privata che lo ha effettuato. Questo il motivo per cui gli Stati Uniti in questo caso sono coinvolti con la Nasa in prima persona.

Quando si parla di aeronautica, e quando di astronautica? 

“Quando parliamo di psicologia dobbiamo capire subito qual è l’ambito di appartenenza e l’ambiente in cui ci si trova ad operare. La differenza tra astronautica e aeronautica è fissata nel bounder della Kármán Line, una linea immaginaria posta ad un’altezza di 100 chilometri (330.000 ft) sopra il livello del mare che segna convenzionalmente il confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno, oltre la quale lo spazio è di tutti. Infatti, la rarefazione dell’aria oltre quel limite non consente all’aeroplano di sostenersi ancora con le leggi dell’aeronautica, ed interviene il fattore velocità: per questo le capsule spaziali non hanno una forma particolarmente aerodinamica, non essendo questa importante per il volo oltre certi limiti. Questa è la prima divisione tra aeronautica e astronautica”.

Il primo problema che hanno gli psicologi dello spazio è la scarsità di materiale umano. Nella storia dell’esplorazione spaziale abbiamo solo 565 astronavi dal 1957, 500 uomini e 65 donne, di cui 7 astronauti italiani (Roberto Vittori e Paolo Nespoli ne hanno fatte tre), ed è difficile lavorare con questi dati, essendo statisticamente molto bassi.

“È molto difficile riprodurre quello che succede in orbita qui sulla Terra, cosa abbastanza diversa rispetto al mondo aeronautico dove si hanno simulatori molto sofisticati. L’assenza di gravità è l’ostacolo più ingombrante. Esistono dei voli parabolici, ossia dei voli in cui gli aerei compiono parabole salendo e scendendo per circa trenta volte, ma il momento in cui si sperimenta la fluttuazione non dura oltre 30 secondi, per cui è difficile abituare l’astronauta all’assenza di gravità che sperimenterà nello spazio. Nelle piscine, invece, ci si immerge con una tuta riempita d’aria per simulare le attività extraveicolari, che consente di galleggiare sott’acqua senza salire e senza scendere. Si fanno corsi di sopravvivenza, nel caso nel rientro qualcosa andasse storto: a parte lo shuttle, si cade giù come sassi”.

Uno dei problemi nella psicologia degli astronauti prima della missione è il workload management. L’addestramento viene fatto in tre luoghi diversi: Giappone, per la presenza di simulatori di una parte della ISS, a Colonia per altre parti, negli Usa, e infine nel Paese di lancio, in un solo anno. Ciò comporta problematiche anche culturali e di background professionale, a partire dal team building. Se prima gli equipaggi erano composti da soli americani o soli russi, da un certo punto in poi si è cominciato ad avere degli equipaggi misti, necessitandosi così degli approcci diversi.

Durante la missione, gli astronauti devono scontrarsi con:

  1. stress sensoriale e motorio (zero G di gravità);
  2. mancanza di privacy;
  3. disturbi del sonno (un giorno sulla Terra equivale a 90 minuti nello spazio);
  4. rischio di conflitti interpersonali a bordo;
  5. lontananza dalla famiglia e dalle persone care; in una parola sola, dalla Terra.
Dopo la missione, i problemi riguardano:
  1. il riadattamento alla gravità;
  2. il reinserimento nella vita quotidiana;
  3. la sindrome dell’adattamento post missione (depressione, ansia, difficoltà di adattamento).

Rispetto a questi punti psicologici, Mezzadri cita il libro “Moondust – In Search of the Men Who Fell to Earth”, in cui il giornalista Andrew Smith rintraccia i nove membri sopravvissuti del gruppo d’élite che ebbe l’opportunità di essere a bordo delle missioni Apollo, per trovare le loro risposte alla domanda: “Dove vai dopo essere stato sulla Luna?”. L’intervista venne interrotta da una telefonata che annuncia la morte di uno dei dodici moonwalkers, Pete Conrad.

Romina Ciuffa