DROGHIAMOCI SULLE ALI DELLA LEGALIZZAZIONE

DROGHIAMOCI SULLE ALI DELLA LEG-ALI-ZZAZIONE di Romina Ciuffa. Pervasi dal braccio di ferro tra Hillary Clinton e Donald Trump, grande mela in bocca a colpi di Adamo ed Eva (l’amore tra i due è simile: la tentazione di conquistare l’America è più grande di quella del serpente divino) perdiamo di vista altre questioni che sono all’esame degli americani. Prima fra tutti la legalizzazione della marijuana: gli stellati blu e rossi sono infatti chiamati oggi a decidere se fumare liberamente spinelli ad uso ricreativo. Vexata quaestio, che da sempre vede in opposizione da un lato le esigenze dell’inviolabilità dei diritti e delle libertà, secondo cui non c’è nessuno che, in uno Stato democratico (anche ove conservatore, che comunque è solo una tonalità della democrazia), possa vietare a un cittadino (abitante di una città, e solo per questo oggetto di e soggetto a regole) di compiere su se stesso le azioni che ritenga funzionali, anche quelle disfunzionali. Un esempio lampante, quello dell’aborto: il miliardario americano proporrà alla Corte Suprema un giudice conservatore che si “destreggerà” l’argomento in senso restrittivo, l’ex first lady – in quanto donna e in quanto democratica – tutelerà il diritto all’aborto oltre a “sinistreggiarsi” nelle questioni umane, gay friendly, femminili quando non femmniste. Dall’altro lato, innegabile, la consapevolezza che, allo scoccare della liberalizzazione della marijuana, quest’ultima consentirà un incasso governativo non indifferente con un ROI (ritorno dell’investimento) che è il caso di definire stupefacente. Certo togliendo (ma davvero?) il mercato dalle mani dei trafficanti (chi fuma legga: l’erba sarà più buona), ma mettendolo nelle mani dei politici (associati dall’uomo di strada e pro forma a droghe pesanti, soprattutto al consumo di cocaina). Un po’ come il nostro monopolio delle sigarette: meglio comprarle al tabacchi che per strada da un africano sotto gli occhi della polizia.

I diritti li abbiamo. Non mi spaventano. Ricordo ogni mattina, appena mi alzo e subito dopo le preghiere, l’articolo 2 della Costituzione italiana che già nel 1947, primo dopoguerra, riconosceva e garantiva (attraverso la Repubblica) i diritti inviolabili dell’uomo. Ma anche l’articolo 32, che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività (e garantisce cure gratuite agli indigenti). In materia di legalizzazione della marijuana, queste due norme vanno lette in combinato disposto, come fossero una sola. E deve farsi un rinvio formale al concetto di salute, mutevole nel tempo: cos’è oggi la salute? La marijuana fa bene?

Sì, la marijuana fa bene. A scopi curativi. Nulla quaestio.

Procediamo: la marijuana fa bene, a scopo ricreativo? Da una risposta approssimativa e rapida, da tavolata, diremmo di sì: fa ridere, fa socializzare, fa addormentare. Aggiungo però: fa stordire, fa guidare male, ricrea una situazione comparabile allo stato d’ubriachezza. Causa sedazione, stato stuporoso, sonno. Prima eccezione: ma l’alcol è legale. Perché allora non una droga leggera? Entrambi – alcol e stupefacenti, più in generale sostanze con effetti psicoattivi – sono inseriti nel DSM, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, sistema nosografico per i disturbi mentali e psicopatologici più utilizzati da medici, psichiatri e psicologi di tutto il mondo, nella pratica clinica e nella ricerca. Ogni disturbo è suddiviso in varie classi, e ciascuno di essi ha una dedica: “Disturbi correlati ad alcol o altre sostanze”, ossia è possibile che un disturbo mentale, anche grave, possa essere causato dall’uso o abuso di sostanze farmacologicamente attive, in cui è presente un agente chimico che produce effetti sull’organismo alterando le normali funzioni biologiche, psicologiche e mentali, modificando il tono dell’umore, i processi cognitivi di vigilanza, attenzione, memoria, la percezione sensoriale, e non da ultimi i comportamenti, spesso provocando temporanee o irreversibili modificazioni delle funzioni cerebrali. 
Tornando a noi. Fa bene la marijuana usata non a scopo terapeutico e perché l’alcol è legale? Non c’è un motivo ben preciso, oltre a ricordare il superato proibizionismo americano. Indubbiamente, bere un bicchiere di vino non induce a berne un secondo; fare un tiro da uno spinello impone con effetti immediati all’organismo di farne un secondo e proseguire. La dipendenza è immediata, anche se transitoria. Se ad essere colpito è l’abuso, non già l’uso, allora si può con certezza dire che è più semplice per un giovane responsabile non abusare di alcool che non abusare di cannabis o marijuana, che sono come le ciliegie: una tira l’altra. 
Ma tornando ai diritti inviolabili ed al collegamento con il diritto alla salute, potremmo comunque rivendicare allo Stato molta della nostra salute che non ci viene garantita (un esempio fra tutti: la mala sanità italiana), ed è altresì assurdo che lo Stato non paghi alle donne gli assorbenti mensili. Ma la questione non viene passata al vaglio, in quanto è più importante soffermarci, a tavola, a disquisire sulla necessità che vi sia una legalizzazione delle droghe cosiddette leggere. USA: sono 4 gli Stati che acconsentono all’uso quasi libero della marijuana, Colorado, Alaska, Washington ed Oregon; sono chiamati invece a votare, nella giornata di oggi, Arizona, California, Nevada, Maine e Massachusetts. Si tratta di referendum per l’uso delle droghe leggere a scopo ricreativo, prescindendo dagli Stati che già lo hanno ammesso a scopo medico.

A New York, oggi basta fare una telefonata ad un amico di fiducia, che darà per scontata la nostra richiesta. Ad un orario ben precisato giungerà il delivery: un ragazzetto ben vestito, non troppo, ma che possa sembrare un professionista, uno stagista, non uno spacciatore dei nostri. Giungerà forse in skate, comunque con uno zainetto. Citofonerà in casa ed entrerà. Si parlerà del più e del meno per un po’, come buoni amici. Lo si inviterà a sedere sul divano. Non uscirà dalla casa per un po’, per non destare sospetti, e per un momento avrete il vostro migliore amico ospite, a lui offrirete un succo di frutta o dei pasticcini. Così lui aprirà la sua valigetta, contenuta nello zainetto, e vi brilleranno gli occhi: sarà amplissima la scelta. Una serie di tubetti ben confezionati, con nome e foto che contraddistinguono le spezie. Il frontman vi indicherà gli effetti di ciascuna di esse: lei fa più ridere, lei è più forte, lei è più calmante e così via. Un avviso: la cannabis si trova raramente e costa molto. Ma si può richiedere e comprare con facilità. Così lui, il vostro migliore amico dallo zainetto verde, vi farà provare la vostra scelta e, soprattutto, la proverà con voi. Come la guardia del corpo di un boss mafioso che prova il suo piatto prima, per verificare che non sia avvelenato. Potete provarne varie. Quindi, sceglierete la vostra, la pagherete, e dopo altre chiacchiere il vostro migliore amico andrà via. Alla prossima. Non ci sono africani per strada, il rischio penale è troppo alto. Non di certo quello che c’è in Italia, dove i nostri spacciatori sono lasciati a spacciare davanti alla polizia che retate non fa. D’altronde, negli States essere ubriachi alla guida di un’autovettura costituisce reato penale.

Io non mi preoccupo della concettualizzazione dello spaccio legale. Io mi preoccupo delle persone. Conosco la società in cui mi trovo e so che è una società in cui non si hanno limiti, né li hanno i politici, né li hanno i cittadini. Mi spiego meglio: so che se le droghe “leggere” fossero legalizzate, liberalizzate, non sarebbe quel mondo ideale alla “vogliamoci bene”, un nuovo ’68, un Che Guevara piegato alla causa, centri sociali finalmente puliti, case popolari e lotti di Garbatella impiegati per davvero dalle nonne che li hanno avuti per diritti quesito. So anche che si instaurerebbe un regime fastidioso, quello della politica, che spenderebbe i suoi bla bla bla per impossessarsi delle migliori partite di marijuana, o appaltarle ai nipoti con gara pubblica. Quale droga vogliamo fumare? Come vogliamo intossicarci?

In Italia non è possibile dimenticare la psicologia dell’utenza: se ci danno una mano, ci prendiamo un braccio. Se ci danno una canna, torniamo a casa con il lanternino. Non siamo ad Amsterdam, non siamo olandesi che lavorano, hanno uno stipendio concreto, un apparato governativo funzionante, regole e limiti. Qui non ci siamo messi la cintura fino a poco tempo fa, mentre in tutta Europa era obbligatoria, ed ancora giriamo con dei gingilli in macchina da inserire al suo posto per non farla suonare. Noi andiamo ad Amsterdam a farcele, le canne. Ma qui il costo delle sigarette è aumentato, la gente fuma tabacco per risparmiare e compra cartine e filtri dal bengalese che gira per i locali e per le strade. Inoltre non esistono più pacchetti di sigarette da 10, “per tutelare i più giovani che, avendo meno disponibilità finanziaria, avranno così più difficoltà a comprarle”: no, perché vendere pacchetti da 20 sigarette conviene di più, dà un incasso maggiore e obbliga a non scegliere. Così, improvvisamente, mi viene in mente Rio de Janeiro, dove almeno il brasiliano di strada e le edicole stesse mi vendono una sigaretta o due, se voglio, e sono io a scegliere il numero del mio consumo. Ovviamente ad un costo maggiore, ma di mia opzione.

Non mi fido dell’Italia. Le droghe non sono a scopo “ricreativo”: la ricreazione si fa con un film, con gli amici, con un libro, suonando, scrivendo, vivendo, emozionandosi. Non tarpandosi le ali, che con la leg”ali”zzazione sono solo il centro di una parola che i nostri nonni non avevano nemmeno in mente, presi com’erano a superare guerre, a coltivare terre, ad educare i figli, a guardarsi negli occhi, ad affrontare i problemi.  (Romina Ciuffa)