LGBT: CARA CIRINNÀ, MA CHI “SÌ” CREDE DI ESSERE?
LGBT: CARA CIRINNÀ, MA CHI “SÌ” CREDE DI ESSERE? di Romina Ciuffa. Ciò che innanzitutto colpisce di Monica Cirinnà, senatrice (per il momento) del Partito democratico, è il suo avvio cattolico in una famiglia di valori conservatori, tanto da frequentare una scuola di suore della Capitale. Suore che non sapevano che quella Monica avrebbe poi condotto la battaglia per le coppie omosessuali che, l’11 maggio 2016, sarebbe divenuta normativa attraverso il decreto legge che prende il suo nome, intitolato “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, introducendo l’unione civile tra omosessuali quale specifica formazione sociale e la disciplina sulla convivenza di fatto sia gay che etero.
Già dai tempi delle suore la Cirinnà decise di trasferirsi al Liceo Classico “Tacito” di Roma, partecipando al movimento studentesco e, nel tempo, facendo proprie le istanze animaliste: dopo alcuni anni di collaborazione alla cattedra di Procedura Penale di Franco Cordero, è stata lei a fondare l’Arca, l’Associazione romana per la cura degli animali, “con l’obiettivo di prendersi cura delle colonie feline e dei gatti e di assistere i loro amici umani – a Roma detti gattari – in tutte le situazioni difficili”, oltre ad aver combattuto per l’approvazione, poi avvenuta, di una legge che anche in Italia vietasse la soppressione di cani e gatti nei canili comunali (di questo periodo, e in veste di Verde, la nomina, ad opera del sindaco Francesco Rutelli, come consigliera delegata alle Politiche per i diritti degli animali e vicepresidente della Commissione Ambiente). Fin qui tutto bene. Tutto bene anche nella sua successiva nomina come presidente della Commissione delle Elette, legata ai problemi connessi ai diritti delle donne e alla valorizzazione della differenza di genere, e partecipando alla nascita della Casa Internazionale delle Donne, nel complesso monumentale del Buon Pastore di Trastevere a Roma. È suo il contributo per la trasformazione dello zoo di Roma in Bioparco, come quello per la creazione dell’oasi felina in luogo del vecchio canile di Porta Portese e per l’emanazione (reggente Walter Veltroni) del Regolamento capitolino per la tutela degli animali.
Icona gay, a questo punto. E se gli animali potessero parlare, probabilmente anche icona animale. Il popolo LGBT ha bisogno di punti di riferimento, ed è indubbio che il Partito democratico ha svolto, nella sua persona e – perché negarlo – in quella del precedente sindaco capitolino Ignazio Marino, nonché in altri sporadici personaggi, un lavoro ineccepibile, che ha portato l’Italia quasi ai livelli europei. Ora è possibile per gli omosessuali, nonché per i conviventi more uxorio, fare liste di “nozze”, mutata mutandis liste di “unioni civili”, nei negozi vicini al Campidoglio: al centro di Roma, insomma. E questo non è poco. Grati a quei “rivoluzionari” della sinistra che hanno lottato per avvicinare l’Italia all’Europa e al mondo anche dal punto di vista delle scelte sessuali e famigliari, andando oltre una Costituzione dalla lettura cattolica. Perché, vorrei ricordarlo, il nostro testo fondamentale all’art. 29 stabilisce, tra i principii fondamentali, il seguente dettato:
- La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.
- Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare
Specifico: non v’è nessun riferimento alla religione. È riconosciuta una famiglia fondata sul matrimonio. Il punto qui è dare al matrimonio una definizione. Se in esso includiamo, infatti, la possibilità che esso si svolga tra persone appartenenti allo stesso sesso, allora la norma dell’art. 29 tutelerà anche questa tipologia matrimoniale e garantirà ai coniugi (a quel punto, sostantivo neutro) eguaglianza morale e giuridica. Il problema legato all’art. 29 Cost. è proprio quello del suo collocamento all’interno di un sistema più vasto che definisce la famiglia solo in un certo modo. Il merito della Cirinnà (leggasi: di tutti coloro che hanno partecipato alla proposta, discussione, emanazione del decreto portante il suo nome, ben lungi dall’essere una battaglia personale della senatrice come l’uomo di strada è portato a credere ma frutto di un’attività complessa e partecipata) è quello di aver dato al concetto di famiglia un’accezione più amplia, al concetto di matrimonio una interpretazione moderna.
O preferisco dire antica, se è vero che sin dai Greci, dai Latini, dai nostri antenati più lontani, l’omosessualità era moderna, la vita eterosessuale era concepita nel senso di una vita riproduttiva e non era legata necessariamente al concetto di amore, giacché le coppie matrimoniali erano formate dai genitori alla nascita dei pargoli ed a questi imposte, e – è cosa nota – gli uomini erano tenuti a far pratica sessuale con i fanciulli per potersi far trovare pronti ad una vita sessuale. Ce ne parlano Erodoto, Senofonte, Platone, quanti altri, dei quali non possiamo solo prendere ciò che ci fa comodo: le Storie del primo; le pratiche di guerra del secondo; l’amor platonico, la giustizia, la teoria delle idee, la filosofia del terzo. Non possiamo soprassedere alla allor comune pederastia di cui essi ci rendono edotti (da non confondere con la “nostra” pedofilia, la pederastia assecondava una relazione stabilita tra una persona adulta e un adolescente al di fuori dell’ambito familiare, che prescindeva dal desiderio sessuale nei confronti di un impubere: il sessuologo Erwin J. Haeberle ne critica così l’uso “moderno, risultante da un fraintendimento del termine originale e dall’ignoranza nei riguardi delle sue più profonde implicazioni storiche”). Il ragazzo apprendeva virtù che avrebbero fatto di lui un uomo adulto durante un periodo di isolamento in cui avrebbe convissuto con un uomo, nella cui compagnia era introdotto alle regole della vita sociale: l’adulto sarebbe stato al tempo stesso maestro e amante. Antichità.
Tornando alle nostre modernità, e senza entrare nel merito della discussione, la Costituzione non definisce il sesso dei coniugi. Lo fa il Codice civile, ma esso è legge ordinaria, proprio come il decreto Cirinnà di pari livello, con le conseguenze che ne derivano e che saranno anche definite dalla giurisprudenza che produrremo (non mancheranno giudizi dinnanzi alla Corte costituzionale).
Fin qui tutto bene. Il problema non è nel precipitare, ma nell’atterrare.
Io capisco, e sono perfettamente consapevole, che l’impegno politico non è discutibile. Senatrice del PD, renziana, Cirinnà non può non appoggiare le scelte del suo Segretario. Il punto deteriore, a mio parere, è la strumentalizzazione. In campagna referendaria, fortunatamente volta al termine, tutto è concesso, ed è normale il suo appoggio al Sì. Ciò che mi permetto di non condividere, e che di fatto non condivido, è l’aver fatto dei LBGT un esercito per la riforma costituzionale. Lunghi post sui suoi canali di social network dando per scontato il voto della “sua” comunità-esercito per un Sì, anche strumentalizzando il “sì” matrimoniale in funzione della campagna renziana. Il motto “Basta un sì”si affianca in via strumentale all’immagine di una coppia omosessuale che ha potuto, grazie al Ddl Cirinnà, “dire sì”: ma è un “sì, lo voglio”. Voglio sposare la persona che amo.
Non è la stessa cosa. Il popolo LGBT deve poter votare sì o no formandosi una coscienza personale che prescinda dalla possibilità, attualmente concessagli, di fare pubblicazioni in Campidoglio. Non è la stessa cosa modificare drasticamente la Costituzione e, intanto, formarsi una famiglia. Sono due punti che vanno completamente scissi e ragionati in termini di riflessione personale. Non si può votare Sì perché Vladimir Luxuria voterà Sì, o perché la condottiera Cirinnà ha fatto proseliti. La legge che ella ha contribuito ad emanare (rectius decreto legge) è un atto di eguaglianza e di equità, l’applicazione pura e semplice del secondo comma dell’art. 3 del nostro testo costituzionale che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pragmatismo e alla concretezza di un’eguaglianza formalmente canonizzata nel primo comma (per questo i due dettati sono conosciuti come, il primo, principio di uguaglianza formale, il secondo, principio di uguaglianza sostanziale). In poche parole, un “atto dovuto” da un politico che sente il mondo.
Questa riforma non ha nulla a che vedere, direttamente o indirettamente, con la popolazione LGBT. Fare seguaci ed attirare masse gay e transgender verso il Sì renziano con la ridondanza del motto “Basta un Sì” impiegato per la legalizzazione delle coppie civili è una manovra politica di basso livello – sebbene di alto impatto, se è vero che la maggior parte di essi voterà proprio in senso positivo alla sostituzione costituzionale. Bisogna imparare a comprendere quando si è strumenti di un gioco più grande, più infido, più infimo, sottile, sbagliato. Negli Stati Uniti è in questo modo che ha vinto Donald Trump: manovrando il populismo, l’ignoranza, la necessità di essere rappresentati e di appoggiare chi sembra essere più simile. Ancora: l’impiego dei social network, l’appoggio dei media, l’importanza di chiamarsi Ernesto ed essere sposato con Ernesto2. Sentirsi rappresentati non comporta la condivisione sic et simpliciter delle idee del rappresentante, ci vuole riflessione reale: l’importanza di chiamarsi Onesto (è di Oscar Wilde stesso il doppio senso su “earnest”, Ernesto ed onesto). La modifica della Costituzione non si gioca sull’orientamento sessuale. È umiliante vedere costruire, da parte del PD, truppe di omosessuali pronti a combattere per la causa partitodemocratica, solo perché la Cirinnà con la sua chioma bionda monta un cavallo bianco.
Questa strumentalizzazione, cara Monica, la riporta a quel collegio di suore lontano nel tempo, dal quale lei scappò per studiare l’umanesimo al Tacito di Roma. Sa quando le suore usavano la religione per indicarle i passi da seguire? Ricorda i sensi di colpa che le muovevano? Sa dirmi quante volte si è chiesta, con fastidio, astio o almeno curiosità morbosa, perché esse vestissero tutte uguali e lasciassero da parte ogni istanza identitaria, ogni modalità di identificazione di se stesse rispetto alle altre, per seguire Dio?
Monica, non è quello che sta facendo ora con la comunità LGBT? Vuole davvero strumentalizzare la religione dei diritti per rendere tutti i suoi proseliti identici, persone che vogliono sposarsi pure loro, che vogliono adottare figli pure loro, che vogliono farne pure loro, che vogliono usare bagni giustificati sul gender, senza attribuire ai medesimi una taratura di uomini e donne intelligenti, in grado di pensare, riflettere, scegliere a prescindere dal suo decreto legge; vuole di fatto lei stessa – una “paladina” – renderli tutti identificabili con un unico scopo: il suo? (Romina Ciuffa)