RENATO UGO: AIRI, LA RICERCA INDUSTRIALE PARLA AL FUTURO

Al 1713, quando John Lombe fondò uno stabilimento dotato di una macchina per lavorare la seta impiegandovi ben 300 operai, risale l’inizio della decadenza della protoindustria. La Francia dal 1738 ampliò il sistema stradale fino a contare, nel 1780, oltre 25 mila chilometri di strade. L’Inghilterra apriva canali per la navigazione: il primo fu terminato nel 1761, e 40 anni dopo l’intera rete misurava circa mille chilometri. Questa è industria; l’innovazione ne è il prodotto. E oggi è anche l’adattamento dell’industria alle esigenze ambientali a portare per il futuro un’opportunità, prima ancora che un pericolo. Infatti il sistema industriale affronterà in maniera sempre più pressante problemi di rispetto ambientale, introducendo tecnologie che osservino la sostenibilità nei progetti di ricerca e sviluppo. Per questo più che mai la ricerca industriale ha bisogno di voce: l’Airi, Associazione italiana per la ricerca industriale, rappresenta più del 50 per cento delle strutture e risorse umane operanti in Italia nell’ambito della Ricerca & Sviluppo industriale in Italia, ha sede a Roma e, presieduta da Renato Ugo, riunisce più di 110 soci, tutti in qualche maniera discendenti di John Lombe.

Domanda. Qual è l’obiettivo dell’Airi?
Risposta. Nata 37 anni fa per promuovere lo sviluppo della ricerca e dell’innovazione industriale e stimolare la collaborazione tra settore privato e pubblico, oggi l’ associazione rappresenta più del 50 per cento delle attività italiane di ricerca e sviluppo industriale. Il suo scopo è evidenziare il ruolo che riveste la ricerca industriale come fattore di sviluppo economico, competitività e crescita del Paese. Sono più di 110 i soci, tra cui importanti nomi dell’industria italiana, oltre che di università e enti pubblici di ricerca, ma anche piccole e medie imprese, associazioni industriali, parchi scientifici e istituti finanziari impegnati nel settore della ricerca e del suo sostegno.

D. Com’è costituita la compagine associativa dell’Airi?
R. L’ Airi si pone come primo interlocutore e opinion leader per tutti i decisori coinvolti nel sostegno della ricerca e rappresenta un raccordo tra diversi attori operanti nella R & S; tra i nostri soci vi sono anche enti pubblici come l’Enea e il Cnr e associazioni industriali come Farmindustria, Federchimica, Confindustria, che, dal punto di vista istituzionale, contribuiscono a sostenere e sviluppare le attività di ricerca in consistenti settori industriali. Non siamo portatori dei vari problemi dell’industria, ma promotori dei valori della ricerca industriale.

D. Com’è vista la ricerca in Italia?
R. È considerata principalmente la ricerca universitaria, e non sono spesso prese in considerazione le imprese e gli enti pubblici. Però il Cnr, l’Enea, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Istituto Nazionale per l’Agricoltura svolgono attività di ricerca per un importo annuo di circa 2,5 miliardi di euro e la ricerca industriale per 9,5 miliardi di euro, rispetto a una ricerca universitaria sui 6 miliardi annui. Si tratta di un vasto settore della ricerca svolta in Italia e di un numero elevato di ricercatori cui viene rivolta poca attenzione. Ci proponiamo di portare la ricerca industriale all’attenzione delle istituzioni e dell’opinione pubblica, perché dal suo successo dipendono lo sviluppo e la competitività tecnologica del Paese, e in particolare delle imprese e dei servizi avanzati.

D. In che modo il settore della ricerca industriale affronta la crisi?
R. Questo settore va, se non protetto, per lo meno sostenuto in momenti di crisi quali gli attuali. La ricerca industriale si sta evolvendo: cambiano il quadro delle aziende e quello competitivo diventa globale. Ciò implica un riadattamento al nuovo scenario. Recentemente abbiamo svolto un convegno evidenziando come in Italia aumenti sensibilmente l’outsourcing nella R & S mentre il Paese continua a non attrarre investimenti stranieri. Le industrie tendono sempre di più a delegare all’esterno alcune attività di ricerca per varie ragioni. Nei settori più avanzati e che richiedono un’innovazione più radicale, preferiscono affidare le attività di lungo periodo a università, enti pubblici o privati, mentre all’interno sono mantenute e rafforzate le funzioni di sviluppo tecnologico. L’uso di competenze esterne presuppone un’attività di scouting finalizzata a trovare le strutture più adeguate al raggiungimento degli obiettivi tecnologici e dell’azienda.

D. In che rapporti è il mondo della ricerca con i Paesi in via di sviluppo?
R. Una tendenza non ancora sviluppata in Italia è quella del trasferimento delle attività di ricerca in Paesi a basso costo del lavoro, ma che hanno un buon bagaglio tecnico-scientifico, quali la Cina e l’India, come avviene nei Paesi anglosassoni e in Germania; ma in Italia potrebbe depauperare la struttura della ricerca industriale facendo perdere centri di ricerca e competenze di rilievo. Vi potrà essere un rilevante rischio se verranno a mancare queste competenze. Formare un ricercatore industriale richiede almeno dieci anni e, una volta perdute figure competenti e capaci, sarà difficile ricostruirle. La chiusura di un centro di ricerca di 500 persone è gravosa per il Paese come quella di 10 mila persone di una struttura industriale.

D. Ha parlato, nelle sue audizioni alla Camera, di uno scenario in cui medie e grandi imprese, che in Italia compiono i maggiori investimenti nella ricerca industriale e mantengono masse per operare nella competizione internazionale, convivono con le piccole e medie del Made in Italy, che seguono una diversa logica di ricerca e sviluppo. In che modo queste possono crescere tecnologicamente?
R. Adottare una politica uguale per tutti non ha senso, perché le piccole imprese non svolgono attività di ricerca come le medie e le grandi, mentre per queste ultime i finanziamenti, a partire dall’indizione dei bandi, sono lunghi e farraginosi e non vanno bene né per la tempistica né sotto il profilo finanziario. Le grandi imprese richiedono politiche utili a una pianificazione strategica che consenta di sostenere progetti a lungo o medio termine, anche con un supporto adeguato dello Stato o dell’Europa; le piccole e medie hanno invece bisogno principalmente di una detassazione degli utili che permetta loro di ricevere, nel breve termine, un sollievo fiscale per disporre delle risorse necessarie per apportare miglioramenti al prodotto o al processo. Questa differenza in Italia non è ancora presa in considerazione. Riteniamo che un rilancio dell’erogazione tramite le forme previste nella legge n. 297 del 1999 e nella legge n. 46 del 1982 e tramite un credito d’imposta certificato da severi controlli, possa essere il pilastro di una valida politica di sostegno della ricerca industriale a tutti i livelli e del relativo sviluppo tecnologico. Inoltre per le scelte strategiche del Paese, per la politica della ricerca occorre definire in maniera il più puntuale possibile un metodo di base per la redazione del Programma Nazionale di Ricerca, che ha una cadenza triennale per ragioni di continuità delle attività di ricerca. Fino ad oggi molti dei Programmi preparati dai vari Governi non hanno trovato sufficiente riscontro né tanto meno erano basati su validi metodi di base.

D. In che modo intervengono le Regioni in questo settore?
R. L’idea da seguire è questa: le scelte nel campo della ricerca dovrebbero essere compito dell’Amministrazione centrale, mentre il sostegno dello sviluppo tecnologico e in particolare dell’innovazione, potrebbe essere delegato, anche parzialmente, alle Regioni. Ciò oggi non avviene; si è man mano creata una forte sovrapposizione tra iniziative di ricerca, normalmente di maggior dimensione, delle Amministrazioni centrali e quelle delle Regioni. In questo momento alcune di queste ultime non hanno la necessaria disponibilità finanziaria per incidere sulle attività di ricerca e sviluppo, particolarmente nel Nord. A favore del Sud sono disponibili i vari fondi europei, nazionali e regionali, al punto che le Regioni meridionali talvolta non riescono a spenderli. Il Ministero dell’Università e della Ricerca ha emesso bandi a favore delle aree della convergenza Campania-Sicilia-Calabria-Puglia per un valore di un miliardo e mezzo di euro, mentre il sostegno di attività svolte nel Nord non è contemplato in una parte significativa di questi bandi. Ma la maggior parte delle attività di ricerca e sviluppo tecnologico a livello industriale sono localizzate nel Nord.

D. Qual’è la situazione delle risorse?
R. Rispetto ai Paesi più competitivi del Nord Europa, abbiamo in media il 50 per cento di disponibilità in meno. La spesa per R & S è in Italia tra le più basse dei Paesi industrializzati, solo l’1,2 per cento rispetto al quasi 2 per cento e anche più di Germania e Francia. È essenziale che quanto è oggi a nostra disposizione sia speso bene, nei tempi giusti e senza dispersioni, in modo che porti a un efficiente impatto sulle strutture pubbliche e private del Paese. Per questo l’Airi si occupa di facilitare occasioni di incontro e scambio di esperienze e informazioni sui più attuali temi di politica di sostegno tecnologico e di gestione della R & S industriale anche con gruppi di lavoro ad hoc, che rappresentano un forum in grado di formulare documenti, indagini e proposte.

D. In quale modo la riforma dell’insegnamento universitario ha inciso sul settore?
R. Un nostro comitato sta studiando il problema delle lauree brevi, che per il sostegno alla ricerca e allo sviluppo tecnologico non sono adatte: bisogna arrivare per lo meno ai 5 anni di formazione per operare nella ricerca industriale. Si sta, quindi pensando a un corso di integrazione al triennio con un programma di formazione specialistica all’interno dell’azienda. Il dottorato in ricerca, visto in maniera accademica, è spesso poco funzionale per l’industria. Occorrono strumenti efficienti di formazione ad hoc, che può rendere più efficace il ruolo dei laureati nella ricerca industriale.

D. In che modo l’Airi è attivo nella formazione e nell’aggiornamento?
R. Organizza annualmente convegni, seminari e forum su temi di attualità della ricerca industriale. Oltre a un aggiornamento periodico sulle principali novità in ambito di R & S nel mondo, la nostra associazione raccoglie e pubblica i dati statistici nel settore della ricerca in Italia e nel mondo e pubblica ogni due o tre anni periodicamente «Tecnologie prioritarie per l’industria», in cui sono illustrate oltre 100 tecnologie, di interesse per l’industria italiana. Nel 2003 ha fondato «Nanotec IT» per predisporre un osservatorio permanente delle nanotecnologie e facilitare i contatti e le collaborazioni tra imprese italiane e ricerca pubblica, anche per poter partecipare insieme a progetti di R & S nazionali e europei. Spingiamo affinché il Paese si renda conto che con queste tecnologie in tempi brevi potrebbe recuperare competitività in molti settori, tra cui quelli del «Made in Italy».

D. Quali sono, per l’Airi, i collegamenti con il contesto internazionale?
R. L’industria italiana e il sistema della ricerca industriale operano in un quadro di riferimento internazionale; per questo l’Airi ha sviluppato una fitta e qualificata rete di rapporti internazionali. È membro dell’Earto, che raccoglie organizzazioni, enti e centri di ricerca che, in tutta Europa, promuovono o svolgono attività di ricerca cooperativa o su contratto a favore delle aziende e dell’Apre, l’Agenzia per la promozione della ricerca europea collegata con il Ministero. Siamo inoltre in collegamento con analoghe associazioni di ricerca industriale in vari Paesi e curiamo rapporti diretti con gli addetti scientifici italiani all’estero e stranieri in Italia.

D. Torneranno le eccellenze in Italia?
R. La fuga dei cervelli è sempre esistita ma adesso è un fenomeno rilevante per l’aumento dei laureati nelle facoltà scientifiche e per la prassi di recarsi all’estero per completare la formazione. Oggi vi sono grandi difficoltà per trovare in Italia, negli enti pubblici ma anche nelle aziende, posizioni adeguate ai nostri ricercatori per farli rientrare, ma anche infrastrutture e un contributo economico pari alla competenza raggiunta. Per chi esce la possibilità di un ritorno è quasi nulla. La proposta di far ritornare i cervelli offrendo uno sconto fiscale del 30 per cento sull’Irpef per tre anni è ridicola; occorrono un posto sicuro, uno stipendio adeguato, la qualità delle strutture e il livello scientifico a cui sono abituati.

D. Che avviene all’estero?
R. In Europa e America molti italiani ricoprono posizioni rilevanti come professori di ruolo e direttori di grandi dipartimenti o centri di ricerca specializzati, inesistenti in Italia. Il nostro Paese non ha più le condizioni – nelle università, negli enti pubblici di ricerca e nelle industrie – per mettere in evidenza i talenti e premiare in maniera adeguata le eccellenze nella ricerca. Negli anni 50 due Premi Nobel vennero a lavorare all’ISS perché esistevano in Italia strutture di eccellenza. È ora di ricreare strutture di questo tipo. Malgrado tutto abbiamo ottimi ricercatori. Sono state compiute analisi della loro produttività, del rapporto tra il numero delle pubblicazioni e quello dei ricercatori presenti e siamo risultati tra i primi nel mondo. Se tanti cervelli rimangono all’estero, è perché sono valutati in maniera positiva, ma sono stati preparati nelle università italiane.

D. Quali sono le prime istanze promosse dall’Airi davanti alle sedi competenti?
R. Puntano a una semplificazione degli strumenti pubblici a sostegno di ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, e alla definizione di un quadro certo d’interventi. Il panorama nazionale della ricerca industriale e dello sviluppo tecnologico soffre di un sistema universitario e di enti pubblici di ricerca non sufficientemente premiante per i ricercatori oltreché di un debole sostegno pubblico alla ricerca industriale e di interventi sovrapposti e poco coordinati tra livello nazionale e regionale. Si aggiungono una debolezza strutturale dovuta a forte dipendenza energetica dall’estero, costi del lavoro elevati, infrastrutture di ricerca inadeguate e invecchiate, scarsa attività di capital venture. Chiediamo semplificazioni, per esempio tramite il credito fiscale, maggiore trasparenza per gli strumenti di sostegno, il raggiungimento di un quadro adeguato, una politica che abbia un punto certo e autorevole di riferimento senza troppe iniziative sparse nei vari Ministeri, un rapporto efficace tra ricerca pubblica e privata, specifici incentivi e un’adeguata legislazione.

D. In quali settori è il futuro?
R. Sono 105 le tecnologie del prossimo futuro che abbiamo raccolto nel rapporto, «Tecnologie prioritarie per l’industria», con la collaborazione di più di 100 ricercatori e manager della ricerca industriale, coadiuvati da ricercatori di enti pubblici. Sono espressi i principali obiettivi verso cui si muove la ricerca dell’industria italiana nel breve e medio periodo. Per ogni settore sono delineate le prospettive a medio e lungo termine che configurano le basi scientifiche e tecniche dell’innovazione e lo sviluppo di nuovi modelli produttivi e di nuovi prodotti. Tra le 105 tecnologie individuate sono presenti quelle informatiche e quelle relative a microelettronica, energia, chimica, farmaceutica e biotecnologie, ambiente, trasporti, aeronautica, spazio, materiali.

D. Lei è piuttosto ottimista?
R. Se ci concentrassimo per circa 5 anni nelle aree industriali in cui siamo più forti, per esempio nel vasto settore del Made in Italy, potremmo essere ancora un Paese competitivo. Lo sforzo della ricerca industriale, che richiede mediamente 3-5 anni per il successo sul mercato, presenta un elevato rischio imprenditoriale che potrà essere sostenuto anche con un impegno pubblico a livello regionale, nazionale e comunitario, perché gli obiettivi sono tali che richiedono una partecipazione collettiva. Considerando le dimensioni dei problemi di competitività da affrontare e l’urgenza di realizzare soluzioni tecnologiche da portare rapidamente nel mercato, la ricerca industriale necessita di risorse aggiuntive tali da raggiungere la massa critica, oltre che di una programmazione nazionale della politica della ricerca e dello sviluppo tecnologico continuativa sia come sostegno finanziario sia come obiettivi.   (ROMINA CIUFFA)

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Febbraio 2011




GERARDO LONGOBARDI: ECCO LE NOZZE TRA COMMERCIALISTI ED ESPERTI CONTABILI

Dal primo gennaio 2008 c’è un’alleanza, quella tra i dottori commercialisti e i ragionieri commercialisti, che in altri tempi non si sarebbe attesa. Questa unione ha creato una nuova forza, l’Albo unico che, per scelta, non è stato seguito dalla fusione delle rispettive Casse di previdenza, evenienza anzi considerata la principale minaccia derivante dall’Albo stesso. Istituito con il decreto legislativo n. 139 del 2005, l’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha acquisito un assetto giuridico riflettente l’evoluzione della professione economico-giuridica-contabile, di antica tradizione ma pronta ad aggiornare le proprie competenze in ragione delle esigenze del contesto sociale ed economico. Per questo nell’Ordine sono confluiti gli iscritti dei preesistenti Albi tenuti dall’Ordine dei dottori commercialisti e dal Collegio dei ragionieri e periti commerciali. Nei primi due mandati successivi all’unificazione degli Albi le presidenze spettano ai dottori commercialisti e le vicepresidenze ai ragionieri commercialisti. Nell’Ordine di Roma ora la carica di presidente è ricoperta da Gerardo Longobardi, la vicepresidenza da Luigi Mandolesi. Del nuovo periodo e dei cambiamenti all’interno di quest’Ordine parla il presidente Longobardi.

Domanda. Com’è, oggi, l’Ordine?    
Risposta. Comprende le circoscrizioni dei Tribunali di Roma e di Velletri ed ha il più alto numero di iscritti in Italia, circa 10 mila, cui debbono aggiungersi gli oltre 2 mila praticanti, con tutte le prerogative, le difficoltà e le opportunità che ciò comporta. Il mio mandato scadrà il 31 dicembre 2012: cinque anni che servono per gettare solide fondamenta per costruire l’Albo unico che dal primo gennaio 2008, data in cui ho assunto l’incarico di presidente, unisce i dottori commercialisti e i ragionieri commercialisti.

D. L’istituzione dell’Albo unico è stata utile per far crescere le due categorie e per farsi ascoltare nelle sedi opportune? Quali i principali cambiamenti?
R. Unire le nostre strutture è stata un’esperienza complessa, ma che abbiamo avviato con molti e utili incontri preparatori. Abbiamo esigenze molto sentite sia dai nostri iscritti sia dall’esterno. L’obiettivo del Consiglio è stato quello di avvicinare le istituzioni all’Ordine. Attraverso l’Equitalia Gerit, ad esempio, i nostri colleghi possono non solo ottenere informazioni sulle cartelle esattoriali, ma anche provvedere al loro pagamento mediante assegni, carte di credito, bancomat; l’Agenzia delle Entrate ha messo nella nostra sede uno sportello dedicato ai professionisti e ai loro clienti, ossia alla maggior parte delle imprese operanti nell’area romana, come ha fatto anche l’Inps.

D. In quali rapporti l’Ordine è con il Comune di Roma?
R. Abbiamo ottimi rapporti con il Campidoglio, grazie anche alla lunga amicizia che lega la nostra professione all’attuale assessore al Bilancio del Comune di Roma, l’on. Maurizio Leo. I commercialisti sono al servizio di un Paese che ha bisogno di cambiare pelle e può farlo solo con una spinta da parte di chi è all’interno del sistema economico e riesce a dialogare con le istituzioni. Sul federalismo fiscale, di cui tutti parlano, abbiamo voluto essere anche propositivi istituendo una Commissione che tratta con il Comune di Roma e ha elaborato un documento, lo Statuto del contribuente locale, da diffondersi nei prossimi mesi. Tale Statuto potrà essere fatto valere anche dai cittadini-contribuenti romani, ed è il nostro fiore all’occhiello perché verrà alla luce grazie al contributo della Commissione paritetica costituita dai rappresentanti della nostra Commissione per il federalismo fiscale e dai rappresentanti del Comune di Roma.

D. E in tema di giustizia?
R. Abbiamo instaurato ottimi rapporti anche con il Tribunale di Roma. I tempi per le esecuzioni immobiliari si sono accorciati nella nostra zona grazie all’intervento dei commercialisti nel ruolo di custodi, per cui sono state accelerate pratiche prima lentissime e ciò è stato riconosciuto recentemente anche dai giudici della IV Sezione del Tribunale di Roma. Abbiamo inoltre sviluppato un protocollo d’intesa con la Sezione fallimentare per accelerare la chiusura dei fallimenti, specie quelli aperti da più lungo tempo.

D. La formazione all’interno della professione è seguita anche da una fondazione: di che cosa si tratta?
R. La Fondazione Telos, presieduta dal collega Giovanni Castellani, è una delle due anime culturali dell’Ordine. Nata con il contributo del Collegio dei ragionieri e dell’Ordine dei dottori commercialisti di Roma prima dell’unificazione, essa svolge attività dirette ad integrare la nostra formazione anche con pubblicazioni distribuite gratuitamente ai nostri iscritti; offre corsi, ad esempio il «Business in English» in inglese sull’economia, a costo bassissimo, presso la sede dell’Ordine e in aule limitrofe che danno anche la possibilità a 150 partecipanti di assistere a convegni e ad altre attività. Cura inoltre la pubblicazione della nostra rivista semestrale Telos, che inviamo a tutti gli iscritti e all’esterno. La Fondazione, da noi finanziata, svolge queste attività ad alto livello, dalla ricerca alla pubblicazione di testi. L’ultimo verte sull’abuso del diritto, argomento sul quale la Corte di Cassazione si è pronunciata con tre sentenze del dicembre 2008.

D. In che consiste l’abuso del diritto?
R. La circostanza che un contribuente ottenga dei vantaggi fiscali senza valide ragioni economiche con operazioni quali per esempio fusioni o scissioni. Una lettura restrittiva delle pronunce della Cassazione porta a non investire in Italia e mette in difficoltà gli operatori economici nel momento in cui avviano un’operazione economica rilevante. Nel nostro ultimo testo sono contenute critiche verso questa giurisprudenza, avallata anche dall’Agenzia delle Entrate. In proposito abbiamo anche elaborato una proposta di legge, e abbiamo intenzione di collaborare con i quattro Ordini più numerosi d’Italia, quelli di Milano, Napoli e Torino, e con il nostro Consiglio Nazionale per contribuire a risolvere una situazione che crea gravi difficoltà a tutti gli operatori economici.

D. Cosa è il CPRC, acronimo di Centro prevenzione e risoluzione conflitti?
R. È una costola dell’Ordine, istituito presso la nostra Fondazione Centro Studi Telos. Il Centro si occupa di mediazione, finalizzata alla conciliazione, con l’obiettivo di contribuire a risolvere l’intasamento delle aule dei Tribunali causato dai milioni di controversie in sospeso. Lo scopo è stato quello di creare una corsia preferenziale per talune di esse. I conciliatori riusciranno a sfoltire le pratiche nelle materie previste una volta che la conciliazione diventerà obbligatoria per legge, nel prossimo mese di marzo. Questa novità legislativa ha causato molto fermento in altre categorie professionali, che hanno visto nella conciliazione un restringimento del proprio ambito di lavoro. Noi crediamo che sia necessario, invece, ragionare più da cittadini e meno da professionisti, perché l’ingolfamento delle aule giudiziarie e la lunghezza dei processi riduce la certezza del diritto. Nei prossimi cinque anni la mediazione potrà determinare un alleggerimento della macchina della giustizia e noi ci proponiamo come soggetti mediatori attraverso il nostro Centro, sorto prima ancora dell’esistenza della legge, quando fummo accusati di essere dei visionari. Fino ad oggi abbiamo formato oltre 200 conciliatori e siamo pronti per gli impegni futuri.

D. In che modo fate formazione?
R. La nostra categoria è stata la prima ad introdurre in Italia la formazione professionale continua. I nostri iscritti devono non solo dimostrare di essere validi sul campo ma dare testimonianza della propria preparazione acquisendo 90 crediti nel triennio formativo attraverso la partecipazione a convegni, seminari, master o con la pubblicazione di articoli di carattere professionale. Ciò significa che, oltre alla normale attività, i colleghi devono dedicare alla formazione, in media, almeno 30 ore l’anno per l’aggiornamento. Dobbiamo impegnare una parte del nostro tempo nella formazione e per questo ho immaginato un Ordine dotato di un solido impianto culturale, quello delle Commissioni culturali e della Fondazione. Inoltre prosegue l’attività della scuola di formazione per i futuri commercialisti, la Aldo Sanchini, dal nome di un presidente dell’Ordine scomparso qualche anno fa. Presieduta dal collega Ludovico Zocca, gestisce corsi di durata biennale, con un anno dedicato alle materie giuridiche, l’altro a quelle aziendali. Le lezioni si svolgono nelle aule dell’Università Sapienza di Roma; abbiamo ottimi rapporti anche con l’Università di Tor Vergata, con la quale il nostro Ordine partecipa in modo paritetico al Consorzio Uniprof, che sviluppa attività di ricerca e di organizzazione di eventi.

D. Internet può aiutare la formazione e abbassare i costi. Lo usate?
R. Il progetto di formazione a distanza tramite internet, voluto inizialmente dal compianto presidente dell’Ordine di Milano Luigi Martino, si basa sul fatto che, per essere continua, indispensabile, utile ma anche meno gravosa, la formazione professionale deve essere erogata anche a domicilio, a costo zero, con rilascio di crediti formativi e con il riconoscimento garantito dell’identità dell’utente. Due anni fa abbiamo presentato il progetto, già operativo, nell’aula Campidoglio del Comune di Roma; vi partecipano gli Ordini di Milano, Napoli e Roma di avvocati e commercialisti, ossia circa 70 mila professionisti. Solo a Roma sono 30 mila gli avvocati e i commercialisti.

D. Ha parlato di due anime culturali all’interno dell’Ordine. Oltre alla Fondazione, qual’è la seconda?
R. L’altro braccio culturale è costituito dalle Commissioni. All’interno dell’Ordine ne abbiamo 37, competenti per aree, alcune istituzionali (Albo, disciplina, parcelle, praticanti), altre squisitamente culturali, dedicate alle aree fiscale, aziendale, societaria, giudiziale. Insieme alla Fondazione, tutte garantiscono lo svolgimento della formazione, avendo raggiunto nel 2010 una media di 1,7 convegni al giorno. Inoltre, ai 350 convegni gratuiti l’anno organizzati dall’Ordine, dalla Fondazione Telos e dalle associazioni di categoria, se ne aggiungono un centinaio a pagamento organizzati dalla Fondazione o da terzi. Questa attività, di cui siamo orgogliosi, ci ha permesso di assicurare a tutti gli iscritti una formazione gratuita di alto livello, anche valutando i risultati ottenuti dai docenti. Questa esperienza credo sia difficilmente ripetibile in futuro, quantomeno a costo zero: la nostra è attività di volontariato rivolto ai professionisti e indirettamente alla loro clientela.

D. Avete trovato resistenze nel procedere alla creazione di un Albo unico?
R. Qualsiasi cambiamento porta reazioni e critiche, ma l’unificazione ci ha offerto l’opportunità di rappresentare le nostre categorie all’esterno in modo unitario. I problemi di carattere tecnico esulano dal nostro Albo e riguardano principalmente la gestione delle Casse di previdenza dei dottori commercialisti e dei ragionieri, le cui sorti abbiamo ritenuto di affidare ai nostri rappresentanti istituzionali.

D. Vi ha aiutato il numero degli iscritti?
R. Mancava un Ordine di grandi dimensioni che ha in sé molte risorse e può farsi conoscere a livelli superiori. Abbiamo investito molto sulla comunicazione; il sito dell’Ordine registra oltre 2 mila contatti al giorno, lo stesso vale per i siti del Centro prevenzione e risoluzione conflitti e della Fondazione Telos. Abbiamo un direttore generale, 20 collaboratori tra dipendenti e consulenti, un ufficio stampa, inviamo un bollettino settimanale a tutti gli iscritti e a chi ne fa richiesta, curiamo una rassegna completa della giurisprudenza della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, e tutte le sentenze da essa rese, di mese in mese vengono commentate e inviate ad iscritti e a chi le chiede.

D. In che rapporto siete con gli iscritti?
R. Bisogna andare loro incontro in un momento di crisi economica; di fatto assumiamo il rischio d’impresa dei nostri clienti, visto che questi preferiscono pagare prima i loro fornitori poi i loro consulenti. Siamo impegnati a cercare opportunità professionali nuove. La nostra attività principale è la consulenza fiscale: circa il 75 per cento di essa è «dedicata alle tasse». Occorrono altre possibilità per sviluppare la nostra professionalità, non solo occupandoci di tasse ma, ad esempio, attraverso la conciliazione, la consulenza e l’assistenza finanziaria alla clientela. In questo periodo stiamo anche stilando intese con le banche più importanti.

D. Quale il futuro per i giovani professionisti di oggi?
R. I giovani iscritti al nostro Albo sono tanti e, per avvantaggiarli, ai nuovi chiediamo un contributo minore nei primi 5 anni. Gli introiti che percepiamo sono destinati in larga parte al nostro Consiglio Nazionale; possiamo contare su un’entrata di circa 2 milioni 300 mila euro. I giovani si trovano in situazioni difficili anche per l’assenza di sbocchi professionali, e non intendiamo gravarli di una quota eccessiva; siamo altresì attenti a creare le strutture di aiuto nei settori dell’informazione e della formazione professionale perché possano poi scegliere le strade confacenti alla loro preparazione. Abbiamo una bacheca dove i giovani possono offrire ai più anziani la loro collaborazione.
D. Si parla di giovani professionisti, ma in realtà gli ostacoli non consentono loro di avviare la professione prima di una certa età. Tutto ciò non li penalizza?
R. Per diventare commercialisti ed essere iscritti all’Albo oggi sono necessari una laurea triennale, due successivi anni per conseguire la laurea magistrale, tre anni di praticantato e il superamento dell’esame di Stato. Si può dire che la professione si comincia con i capelli bianchi, di certo non prima dei 30 anni di età. Se si compie il praticantato in uno studio, è necessario avere prospettive che compensino il disagio subito fino a quel momento. È obbligo dell’Ordine dare la possibilità ai giovani di compiere scelte meditate, per questo l’attività del Consiglio dell’Ordine di Roma sarà dedicata soprattutto ad essi e alle opportunità per la professione.

D. Cosa conta, per lei, più di tutto in questa professione?
R. La deontologia professionale è un nostro biglietto da visita: lealtà e correttezza nei rapporti tra gli iscritti e con la clientela. La considero l’equivalente dell’educazione del cittadino. All’esterno, invece, sarebbe opportuno che, soprattutto in materia fiscale, si ponesse una maggiore attenzione nella produzione legislativa perché, se essa consentisse una contribuzione fiscale corretta, aiuterebbe l’evoluzione del Paese. Noi commercialisti siamo dalla parte dei contribuenti e non degli evasori: sulla distanza la correttezza e la professionalità pagano.             (ROMINA CIUFFA)

Anche su SPECCHIO ECONOMICO – Novembre 2011




DIANA TEJERA, FIL DI FERRO

DIANA TEJERA. FIL DI FERRO di Romina Ciuffa. Trovo che sia un razzo in partenza per un pianeta di sola psiche, dove si fermano solo coloro che maneggiano anima. I suoi testi riflettono uno sforzo di materialità, per concretizzare l’emozione, ma i suoi occhi sono ad amo e scavalcano il nunc. Anni fa fu Tiziano Ferro ad intervistarla, quand’era speaker di una radio di locale, e a chiederle un autografo; nascono con lui «E fuori è buio» e «Scivoli di nuovo», quest’ultima scritta per un’amica, su basi armoniche di Diana. Ma lei è molto altro: il primo gruppo, le Pink; i Plastico, a Sanremo con “Fruscio”; l’Andalucia, da cui proviene; Trastevere, dove vive; Rio de Janeiro, che l’ha accolta con le braccia aperte come una statua in cima al Corcovado. La caccia. L’inconscio. Il filo costante al quale appendere pensieri da una finestra all’altra. Figlia di due psicologi, per questo tesa all’analisi e condannata a una costante sperimentazione della profondità; una dea della caccia, impavida nello scrutare dentro sé come ad indagare una selva in cui dimorano gli animali selvatici e pericolosi che descrive ed affronta, dando a ciascuno dignità. Oggi esce “La mia versione”, album nel quale son contenuti, senza pudore, tutti i panni da lavare a casa e il fil di Ferro cui sono appesi.

LA TUA VERSIONE

  • La tua o quella di Tiziano Ferro? La mia e la sua, perché amo le diversità.
  • Fuori è ancora buio? Sì, stanno tutti a casa.
  • La parola più vuota. Vuoto.
  • Come inizia un saggio sul costume e sul bontòn? Con un sorriso, un invito a entrare, una tavola apparecchiata e 2 candele.
  • Tra due versioni, esiste una verità? No, una sola verità non esiste.
  • La più sofisticata nudità è nuda o vestita? È seminuda… in biancheria intima, comunque educata.

SCIVOLI DI NUOVO

  • Le parole che non hai pronunciato, dinne 3. Io parlo troppo, ma: 1. No 2. Aiuto 3. Basta.
  • Quanto contano gli “altri”? Tantissimo.
  • Nel diritto penale l’omissione è equiparata all’azione. Vale anche nella vita? No, nella vita a volte aiuta (verità utile).
  • L’importanza dell’errore. Fondamentale per conoscere ed evolvere.
  • Che forma di governo ha un mondo di intenti? Anarchia.
  • Si vive solo facendo? Si vive anche sognando. Ma in questo mondo frenetico, grave di scopi, si rischia di sembrare incapaci e disadattati se non si ottengono risultati.

MA UNA VITA NO

  • Quanto romantica è una storia sbagliata? Non credo nelle storie sbagliate: anche quelle più distruttive hanno dentro qualcosa che ha bisogno di essere visto-affrontato.
  • Come oltrepassi una linea che divide “te da me”? Non lo so fare e, nonostante abbia sempre questa grande tentazione, forse è giusto non oltrepassarla. Mi piacerebbe rispettarla senza sentirla una distanza.
  • Rinasci: dove? In Brasile.
  • Il tuo fiore è… Profumato: il gelsomino.
  • Amore-ombra: in una giornata molto calda accetti il compromesso? Non più… Preferirei tuffarmi in acque fresche e trasparenti.
  • Il vecchio film che preferisci. Ultimo tango a Parigi
  • Il tuo eroe. Maria Schneider
  • Definisci “futilità”. Ciò che non produce.
  • Il massimo dei giorni a disposizione per soffrire. Per amore massimo 3 mesi, per il raffreddore una settimana, per il mal di gola 4 giorni.
  • Di cosa è fatta una vita? Percezione, curiosità, sensi, incontri, sorprese, spazi illimitati, sentimenti, passioni, abitudini, novità.

DEGNI DI ESISTERE

  • Il disgusto esiste? Esiste, si raggiunge e vale la pena raggiungerlo per potersene liberare, per combattere ciò che ci offende e non ci appartiene.
  • Una mente infelice e irrisolta può essere oggetto di un amore puro? Non credo. Ma l’amore puro per me è ancora un mistero.
  • I disturbi della personalità spesso non sono riconosciuti da chi ne soffre. Fuggi o resti? Resto fin quando non provo disgusto ma, ahimè, sono molto resistente e cerco di comprendere profondamente l’altra persona… se riesco senza oltrepassare i miei limiti.
  • L’accusa peggiore mai ricevuta. Egoista.
  • Il confine tra sogno e incubo lo si comprende da svegli. Un tuo sogno, un tuo incubo, un tuo risveglio. 1. Prendere la rincorsa, lentamente sollevarmi in volo e planare con il mio corpo leggero sopra il verde delle colline. 2. (ricorrente) l’aereo che precipita. 3. Raggio di sole che illumina il cuscino e un miagolio rauco.
  • La bugia più grande. Che esistono certezze.
  • Quanto odio c’è nel perdono? Nel vero perdono non c’è odio.

BLACK OUT (con Barbara Eramo)

  • Come ti piace esser legata? Con un doppio nodo.
  • Quanta trasgressione c’è in te? Tanta… ma mi camuffo da brava ragazza.
  • Hai una corda e delle manette, cosa ne fai. Lego mani e piedi e poi uso l’immaginazione.
  • Inventa un alibi per occultare un segreto. Uscendo dal dentista ho preso l’ascensore quando è andata via la luce e son rimasta chiusa lì dentro 2 ore… non c’era nessuno… poi… che complicazione, fa acqua da tutte le parti!
  • Dov’eri durante il blackout di Roma 2003? Non ricordo. Diciamo “black out”…
  • Torna la luce: come ti ritrovo? Confusa e scapigliata.
  • La divisa ha un fascino? Sì, io amo i piloti.
  • La sindrome di Stoccolma implica un’identificazione con l’aggressore. Qual è il tuo meccanismo di difesa predominante in una relazione? Forse la proiezione.
  • Hai mai fatto la parte della sequestratrice? No… ma mi sta piacendo l’idea.

SCOLLATI LE CIGLIA

  • Hai fretta in amore? Sempre.
  • Il proibito cos’è? Ciò che ostacola.
  • Truccata o struccata? Struccata.
  • Preferisci l’imprevisto o la conoscenza? L’imprevisto nella conoscenza.

SOGNO IMPERFETTO (con Alessandro Orlando Graziano)

  • Che forma ha il labirinto? Quadrata.
  • Ascolti l’inconscio nella notte? Sempre.
  • L’imperfezione di un sogno è la perfezione delle proprie paure? No, è la perfezione dell’imperfetto.
  • Un’altra ombra, un altro rapporto in difetto, un altro notturno di perplessità. Perché? Perché i rapporti non sono semplici e io ho un bisogno tremendo di capire…
  • Lo specchio specchia Diana? Quale? A volte quella che aspetto, altre no.

SENSO PRIMARIO

  • Non dormi nemmeno qui, anche se una volta c’è della seta al tuo risveglio. C’è una canzone in cui dormi e fai pure un bel sogno? Arriverà prestissimo.
  • Qual’è della tua vita il senso primario? I rapporti interpersonali e la musica.
  • Di te stessa che giudizio hai? Severo: tutta colpa del narcisismo.
  • 3 cose in cui credere. Corpo, parole, cambiamenti.

MERCURIO

  • Ancora una persona abile. Resti di nuovo? Amo le sfide.
  • Una tua (salda) teoria, inattaccabile. Quella che mi fa sentire che ne vale la pena: la vita è una.
  • La divinità, il pianeta o il termometro? Il termometro.
  • Sei veloce? Velocissima.
  • Le tue ali dove sono attaccate? Ai piedi.
  • Attrattiva dell’agonia. È un’agonia la discontinuità ma il momento del piacere è così intenso da far dimenticare tutto il resto.

L’ARTISTA

  • Cos’è un artista? Colui che possiede la bellezza.
  • L’egocentrismo aiuta? Certo.
  • L’arte è… la vita come dovrebbe essere
  • Il fenomeno da baraccone e l’artista sono distinguibili oggi? Sì, ma i media tendono a confondere.

SOSPENSIONI

  • Ancora sogni! Si può sognare a comando? No. I sogni sono bellissimi proprio perché impertinenti, sfacciati, puri, non hanno sovrastrutture e non si comandano.
  • La tua fantasia più smarrita… Temo di averla voluta dimenticare.
  • Rapporti sempre difficili per te? Sì, speriamo sempre meno… anche se non credo “nell’amore tranquillo”.
  • Dove sei sospesa ora? Tra le note di una nuova canzone… su un filo di parole imprecise. Cerco di fare l’equilibrista.