C’è un pessimismo dilagante, il mondo va a rotoli. Ma ripassiamo la teoria dell’apprendimento sociale dello psicologo Albert Bandura, con una premessa: l’autoefficacia percepita si distingue dall’ottimismo e corrisponde alla convinzione di «sapere di saper fare». Un alto livello di autoefficacia percepita rende i compiti difficili occasioni per mettere alla prova le proprie capacità con forte aspirazione e impegno e agisce sui sistemi autonomico ed immunitario: aumenta la tolleranza della sofferenza, attiva difese nei confronti delle malattie, tiene le distanze da condotte e agenti patogeni ed integra il concetto di autostima. Dipende da attribuzioni causali: il «locus of control», la percezione che il controllo di determinate situazioni sia interno o esterno alla persona; la stabilità delle cause (la facilità del compito è stabile, la fortuna instabile); la controllabilità sui fattori in gioco. In un momento difficile come questo, è molto probabile che il «locus of control» della nostra vita sia collocato all’esterno: è lo Stato che non ci permette di, è la crisi che non rende possibile il, è la burocrazia, è l’America, sono i dem, sono i conservatori, è la corruzione…
È l’anticamera della depressione: attribuire un insuccesso a fattori esterni, instabili, incontrollabili, fa ritenere che i risultati negativi si verificheranno di nuovo, innescando una spirale di scarso impegno, sfiducia nelle proprie capacità e un senso di impotenza. Martin E. P. Seligman, descrivendo questo stile attributivo come caratterizzato da 4P – permanente, pervasivo, personale, pesante – elabora una vera e propria ricetta per il pessimismo. È invece caratterizzato dalla formula delle 4E l’ottimismo ottuso: sono le «e» che definiscono le situazioni dell’ottimista come estemporanee, esclusive, esterne, esigue, una predisposizione che conduce alla deresponsabilizzazione. Eppure un bicchiere è mezzo pieno e mezzo vuoto nello stesso momento. È il «feel bullish», il sentirsi un toro, a predisporre al bicchiere mezzo pieno, ben rappresentato nella statua del «Charging Bull», toro di Wall Street, opera dell’italoamericano Arturo Di Modica che troneggia nel Bowling Green Park di New York. Ed è anche la locuzione «start up»: la scalabilità è il presupposto essenziale per lanciare sul mercato un’idea.
Era il 1986, avevo 10 anni quando inventai il «car sharing», mentre mio padre era intento a cercare posto per la macchina sotto il palazzo di Valentino: nessuno mi dette credito, ero troppo piccola. Mi trovavo a Piazza Mignanelli, a Roma, e ne parlai a mia sorella Giosetta, della mia stessa età. Internet non esisteva, i numeri di telefono di casa non avevano nemmeno il prefisso. Eppure elaborai un business plan sulla base delle domande che lei, sempre geniale, mi poneva. Avevo previsto la possibilità di installare, nelle vetture, un apparecchio che avesse registrato la carta prepagata dell’utente; che lo stesso sarebbe stato sanzionato per le infrazioni e responsabilizzato per eventuali incidenti; un’assicurazione completa; la possibilità di riparcheggiare le auto ovunque a Roma in modo che altri avrebbero potuto prelevarle nella medesima modalità. Avevo previsto tutto salvo una App, giacché non era tempo di App ed io non avevo ancora inventato Internet e smartphone. Non venni ascoltata se non da mia sorella, che dopo anni mi mandò un articolo sul bike sharing francese: avevamo, a quel punto, circa vent’anni. La vivemmo come una sconfitta personale. La mia intuizione avrebbe cambiato la modalità, l’approccio e la vita automobilistica del Paese. Ma, soprattutto, mi avrebbe resa miliardaria.
Il problema fu che non avevo inventato la start up. Ossia, troppo presa dai miei studi di scuola media, non avevo coscienza dell’esistenza di bandi e fondi per poter far progredire un’idea. E, soprattutto, nessuno mi avrebbe ascoltato, se non la mia gemella. Oggi la start up è il futuro del nostro ottimismo, unica possibilità per sentirsi un toro. Materassi sottovuoto sono quelli di Eve Sleep, prezzi competitivi e consegna a casa; ravioli cinesi con ingredienti italiani consegnati a domicilio quelli di Hujian Zhou, cinese residente in Italia da 20 anni, in società con un macellaio meneghino; cabine-letto per gli aeroporti, quelle notti infinite di scalo, ed ecco la ZzzleepandGo di tre ventenni, che ne hanno realizzato in casa il prototipo automatizzato completo di letto, wi-fi, sveglia, cromioterapia, luci a Led, contenuti multimediali e possibilità di prenotazione, ora presente negli aeroporti di Malpensa e Bergamo-Orio al Serio; ci sono i «supereroi» di Gabriele di Bella prenotabili online: colf, badanti, personal trainer, baby sitter, fisioterapisti, tuttofare.
Il figlio di Mogol, Francesco Rapetti, anziché cantare produce Nuvap, un dispositivo in grado di rilevare l’inquinamento negli spazi chiusi, che uno spedizioniere passerà a ritirare dopo una settimana per poi inviare un report al cliente con le soluzioni per eliminare gli agenti inquinanti. Per la salute c’è il rilevatore di ictus, Neuron Guard, start up di Mary Franzese, 30 anni; c’è Empatica, del trentaduenne Matteo Lai, per il rilevamento dei segnali fisiologici della vita quotidiana; c’è Eucardia, di Francesca Parravicini e del padre Roberto, cardiochirurgo di Milano; c’è D-Eye, prototipo dell’oculista Andrea Russo, che attraverso uno smartphone compie uno screening per una prima diagnostica sull’occhio del paziente. Flavio Lanese a 56 anni cambia vita e inventa SpeedyBrick, un mattone che si monta come i Lego; Solenica, del 24enne Mattia Di Stasi, produce Lucy, una lampada che insegue la luce del sole, idea nata dalla scomodità di un ufficio non luminoso e dall’illuminazione – è il caso di dire – che la luce della strada di fronte potesse essere ridirezionata nel punto giusto. Cinque sardi, riuniti a casa di nonna Elvira, inventano Sardex, una moneta che vale come l’euro, per far fronte alla crisi finanziaria (una sorta di Sardexit?) nella consapevolezza che la crisi della liquidità non corrisponda a una crisi di produttività: basta dare la possibilità di sostenersi a vicenda attraverso un mercato parallelo.
A chi si chiedesse come trovare i soldi per lanciare una start up (oltre trovare sponsor e finanziamenti), ovviamente, rispondono altre startup: Crowdbooks, del 42enne Stefano Bianchi, pubblica libri in crowfunding: chiunque può sostenere un progetto editoriale preacquistando una copia a prezzo scontato; DeRev, portale di raccolta di fondi del salernitano Roberto Esposito, ha trovato 1.463 milioni di euro per ricostruire a Napoli la Città della Scienza distrutta da un incendio; Iubenda, del 27enne Andrea Giannangelo, aiuta i clienti a costituire una start up innovativa in pochi passaggi online. Si può anche fare una colletta su Collettiamo, idea nata da tre giovani marsigliesi che si trovarono a raccogliere i soldi per organizzare la festa di Capodanno con parenti ed amici.
Personalmente, ho una soddisfazione: aver inventato il car sharing a 10 anni. Morale della favola: i bambini, ascoltiamoli. Il plagio, a volte, è telepatico. (ROMINA CIUFFA)