• facebook
  • youtube
  • instagram
SUL PEZZO

L’AMORE INDIFFERENTE: GUARDAMI!

image_pdfimage_print

   COMPRA IL LIBRO

L’AMORE INDIFFERENTE: GUARDAMI!. Torno oggi a raccontare l’amore in questo blog che nasce dal mio ultimo libro, AMORE MIO TU SOFFRI. Inutile nascondersi dietro a un dito: l’amore patologico a noi piace. Cognitivamente lo odiamo, ma poi quando è finito ci manca più dell’amore stesso. Soffrire per amore è uno dei maggiori accessi alla felicità perché dà il senso delle cose. Meglio non soffrire, questo è certo, ma anche un amore sereno, felice, si appiattisce e finiamo per esserne stanchi, quasi provati, deboli. La noia, sentimento di intelligenza incantata, sembrerebbe essere il più grande nemico dell’amore, quando l’amore vuol dire sentire e la noia appare dire “non sentire!”.

Ieri sera, a cena con un’amica, abbiamo toccato questi argomenti e abbiamo distinto la noia dall’indifferenza, che è quella che, dopo un certo periodo trascorso insieme “amandosi” o anche solo a causa del carattere di uno dei due partner, l’uno dà all’altro. Lei mi ha detto: l’indifferenza è una forma di violenza, mentre le parlavo della sofferenza di non essere visti in una coppia, di non essere stimati, ammirati, seguiti, ascoltati, bensì essere “solo amati”. Che fortuna!, direbbe qualcuno: eppure no. Dare indifferenza o farla provare è una violenza melliflua, mi diceva, poiché è lì ma non la si può accusare, è come uno sgambetto, non un pugno. Le ho dato ragione. C’è chi pagherebbe per “sentirsi amato”, senza calcolare che amare non include necessariamente amore: l’amore si presenta con l’amare, certo, ma è “di più”, è vedere, ascoltare, abbracciare, coccolare, guardare, modulare, sapere, partecipare.

Stamattina ascoltavo una conferenza di Daniela Lucangeli, professoressa di Psicologia dello sviluppo all’Università di Padova (a questo link) che, parlando della neuroplasticità del cervello, indicava la necessità delle carezze in un senso molto ampio: conoscerle innanzitutto, ed impiegarle per far sì che ciascuno possa vedere il futuro non come l’attuale ansia o angoscia suggeriscono, contro le quali il cervello cognitivo non può nulla e che mettono a rischio la salute dello stesso individuo, bensì nel senso di una iniezione preziosa di ossitocina. Inutile dire: “Non soffrire!”, “Non temere!”, “Il tuo cervello deve far sparire i tuoi attacchi di panico!”, perché è impossibile per la nostra struttura cognitiva, che impiega anni per imparare anche solo a parlare, avere potere sulle strutture che comandano le emozioni, le quali hanno milioni di anni evolutivi in meno: è la dimensione di potere che avrebbe una pozzanghera rispetto a uno tsunami.

Ma un modo c’è. Basterebbero trenta secondi di carezze per alleviare una persona da un dramma: il sistema neurale comanderà all’amigdala di produrre l’ossitocina perché avvengano tutti i meccanismi di cura. Quando non si può accarezzare, è sufficiente anche solo guardare, modulare il tono della voce, svolgere azioni empatiche – è in questo modo anche che devono dirsi i “no”. Così nell’amore. L’indifferenza nuoce; non si può smettere di carezzare, guardarsi, parlarsi con toni dolci e modulati. Non si può dare indifferenza o si deve ripensare l’amore (non c’è o non è buono). Bisogna mettere complicità nel rapporto per affermare un amore grande, immenso, meno doloroso di altri; serve dialogo, il vero e proprio colloquio, il ricevimento dai professori in cui la coppia parli senza timori della coppia stessa e ciascuna delle due parti sia in grado di dare e avere senza urla, minacce, paure (che, altrimenti, rimarranno nel cervello neuroplastico ad interpretare il futuro).

Il dolore dell’indifferenza dell’altro alle volte è talmente irriconoscibile da far sentire in colpa chi lo prova: quella sensazione di insoddisfazione, di angoscia, di flebile paura ogni volta che si voglia dire qualcosa. Tornare a casa con una pagella piena di 10 e sentirsi dire: “Hai fatto il tuo dovere”, questo avviene anche in amore, quando l’uno non si interessi degli interessi dell’altro, delle sue conquiste, delle sue vittorie, ma metta al centro della vita di coppia le proprie. Questo amore va ritoccato. Entrambe le parti devono rendersi conto non solo dei propri limiti, ma anche dei punti che convergono in un insieme, ossia della loro sconfinatezza d’amore. Il male di indifferenza deve poter essere dichiarato e accolto senza che nessuno si arrabbi. Se è difficile, se si litiga, è utile il ricorso a un mediatore, uno psicologo, ma non si lasci questo scomodo parassita così, a tormentare, a mietere.

La solitudine è qualcosa di estremamente positivo, che deve essere incentivato come meccanismo di sopravvivenza e di amor proprio; ma se la solitudine si sperimenta all’interno di una coppia, ossia di un duo, essa diviene presente, pressante, un meccanismo di difesa totalmente corroborante destinato a logorare l’amore. Si provi a ballare insieme, con della musica che piaccia ad entrambi; si cucini insieme, anche se uno dei due non sappia farlo; si provi a camminare mano nella mano, l’uno insegni una cosa all’altro; si facciano domande e si rimanga ad ascoltare la risposta e darvi seguito; si diano baci qua e là nella giornata, sparsi, senza ragione; si stimoli il sesso, che stimolerà a sua volta l’amore. Ma non si resti soli ad essere soli, la solitudine non è amore, non è coppia, non è due. 

Romina Ciuffa, 17 aprile 2025

Libro in tutti gli store

https://www.booksprintedizioni.it/libro/saggistica/amore-mio-tu-soffri

Previous «
Next »